NBA: Dinastia Warriors, anno secondo (anzi, quarto)
Lo scorso anno finì con i Golden State Warriors in festa |
E’ iniziata da pochissimi
giorni la stagione NBA destinata a fare da spartiacque nella storia recente del
gioco, principalmente perché la prossima estate potrebbe essere quella della
partenza di LeBron James da Cleveland destinazione Lakers, e già questo
basterebbe non solo a farmi salire la bilirubina oltre il livello di guardia,
ma anche a spostare gli equilibri. O meglio, a spostarli ulteriormente visto
che, come al solito, l’Ovest è già tre-quattrocento volte più competitivo
dell’Est. Ma potrebbe essere anche la stagione in cui si insedia
definitivamente la dinastia dei Golden State Warriors, ovvero il Rinascimento
del basket nel segno della bellezza.
Come già per la
presentazione delle scorse stagioni, non compilerò un ranking delle singole squadre ma le inserirò in fasce di merito. Ci
saranno le pretendenti al titolo, quelle destinate ai playoff, quelle che ci
proveranno e infine le squadre che stanno ricostruendo. La prossima puntata, invece, sarà dedicata alle previsioni per i premi stagionali. Insomma, una bella
quantità di pronostici sui quali sparare cazzate, come IlMaxFactor vi ha
ampiamente abituati finora. Anche perché: 1) notoriamente me ne fotto delle
previsioni degli esperti; 2) solo chi non fa pronostici non li sbaglia e blablà
blablà. Partiamo.
Prima
fascia-pretendenti al titolo.
Inutile sottolineare
che i Golden State Warriors (*****) sono la squadra più forte della
Lega. Potrebbero diventare la più forte di sempre se riusciranno a vincere con
continuità e cancellare l’incredibile – e immeritata – sconfitta del 2016.
Nonostante le incognite del salary cap,
i fenomeni di coach Steve Kerr sono rimasti tutti sulla Baia: Kevin Durant ha
addirittura accettato una decurtazione di stipendio. In più, dal Draft (nel
quale non avevano prime scelte) è arrivato con la numero 58 Jordan Bell, ala da
Oregon che ricorda sinistramente il giovane Draymond Green.
La fenomenale coppia di guardie dei Rockets (nbarevolution.com) |
Le rivali: a Ovest
sarebbero principalmente due, ovvero Houston
Rockets (****1/2) e Oklahoma City Thunder (****1/2).
Con Chris Paul e James Harden, la squadra di Mike D’Antoni ha forse la coppia
di guardie più forte dell’intera Lega insieme a Steph Curry-Klay Thompson,
Saltato l’arrivo di Carmelo Anthony che li avrebbe resi praticamente
immarcabili, il resto è molto… dantoniano: in ala piccola giocatori “3&D”
come Trevor Ariza e PJ Tucker, lunghi con range
di tiro come Ryan Anderson o votati alla difesa e alla lotta a rimbalzo come
Capela, Nene e Tarick Black. OKC invece ha fatto un mercato di straordinaria intelligenza:
blindato il rinnovo dell’MVP Russell Westbrook, ha dato a Paul George
un’alternativa alla mediocrità di Indiana nell’ultimo anno di contratto, con la
fondata speranza di tenerlo, e ha aggiunto in extremis proprio Carmelo Anthony.
Se i tre riusciranno a non fermare troppo la palla in attacco, l’impressione è
che la finale di Conference sia un obiettivo realistico, ma – come per
Cleveland, d’altra parte – sarà decisivo il supporting
cast.
Così sono finiti i sogni di gloria di Boston (dailynews.com) |
Anche a Est le contender sarebbero state due senza
l’infortunio che ha tolto di mezzo per tutta la stagione Gordon Hayward,
approdato alla corte del suo ex allenatore di college Brad Stevens per fare
grande Boston (****); senza, i Celtics non sembrano, per profondità e alternative
nel roster, in grado di competere con Cleveland
(****1/2) che ha sì perso la
stella Kyrie Irving andato proprio a Boston, ma ha aggiunto un tre volte campione
Nba come Dwyane Wade, Derrick Rose come playmaker di riserva (titolare fino al
rientro di Isaiah Thomas) e una serie di giocatori di complemento che sembrano
ideali per sfruttare gli spazi aperti da raddoppi e aiuti su LeBron James.
Rivali fino alla finale di Conference? Probabilmente nessuna, come al solito.
Seconda
fascia-playoff con ambizioni.
I nuovi Clippers, Teodosic e Gallinari (sport.sky.it) |
A guardare i nomi,
l’età e gli acciacchi, se non si chiamasse San
Antonio (****) non sarebbe
sicuramente così in alto nel ranking,
ma si sa: gli Spurs sono una franchigia speciale, con un coach speciale come
Gregg Popovich e due-tre giocatori come Ginobili e Parker ai limiti del
soprannaturale. Il 40enne Manu ha rinnovato per due anni ma Tony è infortunato
e fino al suo rientro i minuti da play se li divideranno Patty Mills e Dejounte
Murray visto che Chris Paul e Kyle Lowry hanno scelto altrimenti. Forse
eccessivo il rinnovo triennale da 72 milioni di euro per LaMarcus Aldridge, la
chiave resta Kawhi Leonard ormai maturo per il suo primo titolo di MVP.
Restiamo a Ovest con una squadra affascinante come nessuna: i Los Angeles Clippers (****)
“orfani” di Chris Paul ma che, dopo essere riusciti a trattenere Blake Griffin
e con DeAndre Jordan al top, hanno finalmente una signora ala piccola in Danilo
Gallinari, più una coppia di playmaker ben assortita. Patrick Beverley,
difensore e agonista, più Milos Teodosic, che dopo aver dominato l’Eurolega per
un decennio approda a trent’anni nella NBA e ha già fatto sollevare più di un
sopracciglio con la sua sopraffina arte del passaggio. Visto cosa succede
quando prendi Jerry West come consulente di mercato? Occhio a sottovalutare i
Clips. Rivoluzionata anche Minnesota (****); via Rubio e dentro Jeff Teague,
ma soprattutto un campione sui due lati del campo come Jimmy Butler al fianco
del talentuosissimo Wiggins e con il lungo in prospettiva più forte della Lega,
ovvero Karl-Anthony Towns. Coach Tim Thibodeau ha pure una panchina lunga, sarà
la volta buona per la franchigia da più tempo senza playoff?
Giannis Antetokounmpo: pronto per essere MVP? (nba.com) |
A Est, subito dietro la
prima fascia c’è ovviamente Washington
(****), con la coppia dietro John
Wall-Bradley Beal che ha poco da invidiare a quelle delle contender dell’altra Conference. Brutta tegola l’infortunio di
Markieff Morris, la chiave di volta sarà il rendimento di Otto Porter che deve
meritarsi il rinnovo da 106 milioni in quattro anni. Subito dopo Toronto (***1/2) che ha perso DeMarre Carroll, sostituito in quintetto da CJ
Miles, e diversi panchinari. DeMar DeRozan è reduce dalla migliore stagione in
carriera, Kyle Lowry quasi ma la sensazione è che il ciclo dei canadesi sia in
fase calante. Mentre è in rampa di lancio, anche se non ancora a velocità supersonica,
Milwaukee (***1/2) che ha in Giannis Antetokounmpo un credibile candidato MVP
e chiede al Rookie dell’anno Malcolm Brogdon un contributo ancora maggiore
soprattutto fino al rientro di Jabari Parker dall’ennesimo infortunio. Se metto
qui Miami (***1/2), infine, è soprattutto per due motivi: perché dopo aver
chiuso la stagione con 30 vittorie nelle ultime 41, fallendo i playoff solo per
gli scontri diretti sfavorevoli con Chicago, ha mantenuto l’ossatura dello
scorso anno aggiungendo il lungo Olynyk e il rookie Adebayo dietro Hassan Whiteside, ma soprattutto ha un Goran
Dragic reduce da un Europeo da MVP: sarà sempre di più lui il leader degli
Heat.
Terza
fascia-in lotta per la postseason.
Noterete subito che
anche in questo lotto c’è una bella differenza tra le squadre che lotteranno
per un posto nei playoff a Ovest e quelle che potrebbero ritrovarsi alla postseason a Est. Dove, per intenderci,
quintetti come Portland (****) e New Orleans (****) farebbero probabilmente la voce grossa. Nell’Oregon
le “stelle” sono Damian Lillard e CJ McCollum, coppia di esterni da oltre 40
punti di media a partita. Solido il contributo sotto le plance di Jusuf Nurkic,
arrivato a metà stagione da Denver, il resto è un po’ un’incognita in una
competizione dura come la Western Conference. Discorso simile per i Pelicans,
che hanno la coppia di lunghi più ricca di talento dell’intera Lega con Anthony
Davis e DeMarcus Cousins reduci però da uno scorcio di stagione (dopo lo
scambio con Sacramento) trascorso più che altro a pestarsi i piedi in campo. E
siccome “Boogie” da solo non è abbastanza pazzo, è arrivato anche Rajon Rondo a
fare il gioco dei doppioni in cabina di regia con JRue Holiday. Anche qui il supporting cast non pare all’altezza. Le
outsider nella corsa ai playoff sono tre squadre rivoluzionate dal mercato ma
che hanno comunque parato i colpi nel modo migliore. Memphis (***1/2) ha avviato
il ringiovanimento del roster lasciando andare Zach Randolph, Tony Allen e
Vince Carter ma ha tenuto ovviamente le due “stelle” Mike Conley, al secondo
anno di un quinquennale da 153 milioni, e Marc Gasol. Firmato in extremis
JaMychal Green, avrebbe bisogno di punti da Chandler Parsons e Tyreke Evans ma
resta sempre pericolosa. Denver (***1/2) ha messo un realizzatore come Paul Millsap
accanto al “Joker” Nikola Jokic, forse il lungo che passa meglio la palla in
tutta la NBA, La rotazione delle guardie è profonda (Mudiay, Murray, Harris,
Barton e l’eterno Jameer Nelson), manca qualcosa in ala dopo la partenza di
Gallinari, tanto da far immaginare molti quintetti “piccoli” per coach Brendan
Malone. Altra squadra che sarebbe potuta uscire dalla offseason a pezzi e invece è ancora lì è Utah (***), che ha perso
la “stella” Gordon Hayward e il playmaker George Hill (rimpiazzato con Ricky
Rubio). I Jazz sono fortissimi sotto canestro, specie in difesa, con Rudy
Gobert e Derrick Favors, ma sembrano avere davvero pochissimi punti nelle mani.
Una soluzione potrebbe essere Dante Exum da guardia in un quintetto “piccolo”
con Rodney Hood.
Simmons, Embiid e Fultz: Philadelphia diventerà grande |
Come ovvio rovescio
della medaglia, le seguenti squadre dell’Est se si trovassero nell’altro
tabellone potrebbero più che altro programmare una stagione da lottery: basti pensare che la più forte
sembra Detroit (***): Avery Bradley per Kentavious Caldwell-Pope è un upgrade soprattutto in difesa, manca
però un lungo da affiancare a Andre Drummond mentre Reggie Jackson viene da una
stagione enigmatica. Un passo sotto Charlotte
(***), costruita intorno all’All
Star Kemba Walker, tanto da non avere una guardia tiratrice da quintetto.
Dwight Howard non è più Superman, ma può sempre dare un contributo sotto le
plance. Chi tra quattro-cinque anni, mantenendo questo gruppo, sarà la favorita
per il titolo è Philadelphia (***), che riabbraccia Ben Simmons dopo
una stagione da rookie saltata
interamente per infortunio e spera di avere Joel Embiid sano per tutto il
campionato, perché il camerunense è un fenomeno vero. JJ Redick dà punti e
pericolosità sugli scarichi per punire i raddoppi in vernice, la prima scelta
assoluta Markelle Fultz ha potenzialità mostruose e anche il resto della rosa
appare ben assortito. Certo, sono giovanissimi, inesperti e tanto, tanto a
rischio infortuni.
Quarta
fascia-lavori di (ri)costruzione in corso.
Ottimo inizio di stagione per il Beli ad Atlanta (gazzetta.it) |
Dopo un’estate di
mercato con tanti colpi di scena è normale che siano tante le formazioni
catapultate improvvisamente di nuovo all’anno zero, per quanto con obiettivi e
prospettive diversi. A Est il punto di domanda è Indiana (***), che ha
perso Jeff Teague, All Star nel 2015, e Paul George, All Star sempre,
praticamente per nulla in cambio. L’unica addizione di rilievo è il ritorno a
casa di Victor Oladipo, ex Indiana University; poi due play di discreto livello
come Darren Collison e Cory Joseph e soprattutto il centro Myles Turner, reduce
da una stagione favolosa e con enormi margini di miglioramento visto che ha
appena 21 anni. Ma in fila davanti al cantiere, come un pensionato con le mani
incrociate dietro la schiena, sono in tante. Innanzitutto Brooklyn (***), che nell’accettare
il contrattone di Mozgov e la cessione di Brook Lopez per costruire la squadra
del futuro intorno allo scintillante ma discutibile talento di D’Angelo Russell
avrebbe avuto forse bisogno della prima scelta 2018 (ceduta a Cleveland) e
della presenza, accanto al play ex Lakers, di Jeremy Lin che invece si è
infortunato e resterà fuori tutta la stagione. Chi invece il salto di qualità
lo fa ora o… taccia per sempre è Orlando
(***), che ha innestato panchinari
esperti su un roster giovane e futuribile anche se non ricchissimo di talento,
Aaron Gordon a parte. Situazione analoga ad Atlanta (**1/2), con la
partenza di Paul Millsap e Dwight Howard che ha lasciato gli Hawks senza lunghi
di peso. Tutto ruota intorno a Dennis Schroeder, con un ruolo (meritato) da
protagonista per Marco Belinelli che infatti ha iniziato molto bene. I “casi
umani” dell’Est sono però le squadre di due metropoli: New York (**1/2) e Chicago (**1/2). Nella Grande Mela si è consumato un chandleriano lungo addio con Carmelo Anthony che
lascia la squadra in mano al fenomeno lettone Kristaps Porzingis. Attorno a
lui, di promettenti ci sono solo il play Ntikilina e il lungo Willy
Hernangomez, il resto (compreso Tim Hardaway jr. con annesso quadriennale da 71
milioni!) non dà garanzie di una ricostruzione rapida e indolore. Da Chicago
sono andati via addirittura Jimmy Butler e Dwyane Wade (più Rajon Rondo), e
visto che Kris Dunn, la prima scelta del 2016 arrivata in cambio di Butler
insieme a Zach LaVine, ha avuto un’annata da rookie trascurabile, il futuro appare veramente plumbeo. Una luce?
Certamente Lauri Markkanen, ala finlandese che prima di giocare contro l’Italia
stava impazzando a Eurobasket.
A Ovest le squadre con
il cartello “lavori in corso” sono di meno, ma ad esempio una ha già cambiato
allenatore dopo tre sconfitte consecutive, due delle quali con 40 e 50 punti di
scarto. Via Earl Watson, Phoenix (**1/2) si trova a dover fronteggiare,
dopo il grave infortunio a Brandon Knight, il desiderio di Eric Bledsoe di
essere ceduto. Devin Booker è una potenziale superstar ma non c’è molto altro.
Squassata da un paio di sessioni di mercato senza esito, a partire da quando DeAndre Jordan decise di tornare ai Clippers dopo aver firmato in Texas, Dallas (**1/2) deve affrontare la transizione dall’era di Dirk Nowitzi a
quella di Dennis Smith jr., che però a parte il centro Nerlens Noel e l’ala
(deludente in relazione al contratto) Harrison Barnes non avrà un contorno così
giovane e futuribile. Qui il valore aggiunto potrebbe essere il coach: Rick
Carlisle, l’artefice (con WunderDirk) del titolo del 2011 e uno dei migliori
della Lega. Sacramento (**1/2) è la squadra che da più tempo
manca i playoff dopo Minnesota ma, a differenza dei Wolves, il digiuno è
destinato ad allungarsi ulteriormente. De’Aaron Fox, prima scelta al Draft, è
un gran bel prospetto e con Buddy Hield, Skal Labissiere, Willie Cauley-Stein e
anche Malachi Richardson forma un quintetto molto interessante in prospettiva,
ma allora perché firmare un quarantenne come Vince Carter e un 36enne
problematico come Zach Randolph?
I giovani Lakers: servirà tempo per tornare grandi |
Manca, come avrete
capito, una sola squadra da analizzare: i Los
Angeles Lakers (**1/2-***). La
squadra più affascinante della Lega, nonché quella per cui batte il cuoricino
de IlMaxFactor, è reduce da un’annata, la prima di Luke Walton in panchina (ma
anche la prima dell’era post-Kobe), iniziata in maniera promettente, e poi
naufragata per motivi innegabilmente legati a un roster inadeguato. Magic
Johnson e Rob Pelinka, dopo che finalmente erano stati giubilati il gm Mitch Kupchak
e il comproprietario Jim Buss, hanno subito fatto rumore spedendo D’Angelo
Russell ai Nets e liberando spazio salariale per la prossima estate, quando –
a sentire Magic – uno, forse due free agent di primo livello approderanno a
Hollywood. I nomi? Si va dagli ex UCLA Westbrook e George (ma il primo sta per
rinnovare con Oklahoma City) a LeBron James, che a L.A. ha casa e interessi
commerciali e che, una volta portato il titolo a Cleveland, ha estinto il “debito”
con la propria città. I Lakers non avranno prime scelte e non sembrano
orientati a una trade durante la
stagione, anche perché pensano di aver un nucleo di grande prospettiva con
Lonzo Ball, Brandon Ingram e Julius Randle. Il play appena approdato dalla NCAA
con la scelta numero 2 (che ha sfiorato la “tripla doppia” già alla sua seconda
partita) è uno di quei talenti che passano una volta nella vita, con una
visione di gioco che ricorda proprio Magic e caratteristiche tecniche e fisiche
vicine a un Jason Kidd. Però deve ancora dimostrare tutto, soprattutto di
essere in grado – come i due totem appena evocati – di migliorare i compagni
con la sua sola presenza sul parquet. La stagione non porterà i playoff perché,
per il basket di Luke Walton, mancano almeno due tiratori da tre e lo stesso
Randle non è un’ala forte in grado di allargare il campo. Atteso a grandi
progressi il talentuosissimo Ingram, occhio a qualche outsider in uscita dalla panchina come il già sorprendente Kyle
Kuzma. Ci risentiamo a luglio.
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