mercoledì 25 ottobre 2017

NBA: Dinastia Warriors, anno secondo (anzi, quarto)

Lo scorso anno finì con i Golden State Warriors in festa
E’ iniziata da pochissimi giorni la stagione NBA destinata a fare da spartiacque nella storia recente del gioco, principalmente perché la prossima estate potrebbe essere quella della partenza di LeBron James da Cleveland destinazione Lakers, e già questo basterebbe non solo a farmi salire la bilirubina oltre il livello di guardia, ma anche a spostare gli equilibri. O meglio, a spostarli ulteriormente visto che, come al solito, l’Ovest è già tre-quattrocento volte più competitivo dell’Est. Ma potrebbe essere anche la stagione in cui si insedia definitivamente la dinastia dei Golden State Warriors, ovvero il Rinascimento del basket nel segno della bellezza.

Come già per la presentazione delle scorse stagioni, non compilerò un ranking delle singole squadre ma le inserirò in fasce di merito. Ci saranno le pretendenti al titolo, quelle destinate ai playoff, quelle che ci proveranno e infine le squadre che stanno ricostruendo. La prossima puntata, invece, sarà dedicata alle previsioni per i premi stagionali. Insomma, una bella quantità di pronostici sui quali sparare cazzate, come IlMaxFactor vi ha ampiamente abituati finora. Anche perché: 1) notoriamente me ne fotto delle previsioni degli esperti; 2) solo chi non fa pronostici non li sbaglia e blablà blablà. Partiamo.

Prima fascia-pretendenti al titolo.
Inutile sottolineare che i Golden State Warriors (*****) sono la squadra più forte della Lega. Potrebbero diventare la più forte di sempre se riusciranno a vincere con continuità e cancellare l’incredibile – e immeritata – sconfitta del 2016. Nonostante le incognite del salary cap, i fenomeni di coach Steve Kerr sono rimasti tutti sulla Baia: Kevin Durant ha addirittura accettato una decurtazione di stipendio. In più, dal Draft (nel quale non avevano prime scelte) è arrivato con la numero 58 Jordan Bell, ala da Oregon che ricorda sinistramente il giovane Draymond Green.

La fenomenale coppia di guardie dei Rockets (nbarevolution.com)
Le rivali: a Ovest sarebbero principalmente due, ovvero Houston Rockets (****1/2) e Oklahoma City Thunder  (****1/2). Con Chris Paul e James Harden, la squadra di Mike D’Antoni ha forse la coppia di guardie più forte dell’intera Lega insieme a Steph Curry-Klay Thompson, Saltato l’arrivo di Carmelo Anthony che li avrebbe resi praticamente immarcabili, il resto è molto… dantoniano: in ala piccola giocatori “3&D” come Trevor Ariza e PJ Tucker, lunghi con range di tiro come Ryan Anderson o votati alla difesa e alla lotta a rimbalzo come Capela, Nene e Tarick Black. OKC invece ha fatto un mercato di straordinaria intelligenza: blindato il rinnovo dell’MVP Russell Westbrook, ha dato a Paul George un’alternativa alla mediocrità di Indiana nell’ultimo anno di contratto, con la fondata speranza di tenerlo, e ha aggiunto in extremis proprio Carmelo Anthony. Se i tre riusciranno a non fermare troppo la palla in attacco, l’impressione è che la finale di Conference sia un obiettivo realistico, ma – come per Cleveland, d’altra parte – sarà decisivo il supporting cast.

Così sono finiti i sogni di gloria di Boston (dailynews.com)
Anche a Est le contender sarebbero state due senza l’infortunio che ha tolto di mezzo per tutta la stagione Gordon Hayward, approdato alla corte del suo ex allenatore di college Brad Stevens per fare grande Boston (****); senza, i Celtics non sembrano, per profondità e alternative nel roster, in grado di competere con Cleveland (****1/2) che ha sì perso la stella Kyrie Irving andato proprio a Boston, ma ha aggiunto un tre volte campione Nba come Dwyane Wade, Derrick Rose come playmaker di riserva (titolare fino al rientro di Isaiah Thomas) e una serie di giocatori di complemento che sembrano ideali per sfruttare gli spazi aperti da raddoppi e aiuti su LeBron James. Rivali fino alla finale di Conference? Probabilmente nessuna, come al solito.

Seconda fascia-playoff con ambizioni.
I nuovi Clippers, Teodosic e Gallinari (sport.sky.it)
A guardare i nomi, l’età e gli acciacchi, se non si chiamasse San Antonio (****) non sarebbe sicuramente così in alto nel ranking, ma si sa: gli Spurs sono una franchigia speciale, con un coach speciale come Gregg Popovich e due-tre giocatori come Ginobili e Parker ai limiti del soprannaturale. Il 40enne Manu ha rinnovato per due anni ma Tony è infortunato e fino al suo rientro i minuti da play se li divideranno Patty Mills e Dejounte Murray visto che Chris Paul e Kyle Lowry hanno scelto altrimenti. Forse eccessivo il rinnovo triennale da 72 milioni di euro per LaMarcus Aldridge, la chiave resta Kawhi Leonard ormai maturo per il suo primo titolo di MVP. Restiamo a Ovest con una squadra affascinante come nessuna: i Los Angeles Clippers  (****) “orfani” di Chris Paul ma che, dopo essere riusciti a trattenere Blake Griffin e con DeAndre Jordan al top, hanno finalmente una signora ala piccola in Danilo Gallinari, più una coppia di playmaker ben assortita. Patrick Beverley, difensore e agonista, più Milos Teodosic, che dopo aver dominato l’Eurolega per un decennio approda a trent’anni nella NBA e ha già fatto sollevare più di un sopracciglio con la sua sopraffina arte del passaggio. Visto cosa succede quando prendi Jerry West come consulente di mercato? Occhio a sottovalutare i Clips. Rivoluzionata anche Minnesota (****); via Rubio e dentro Jeff Teague, ma soprattutto un campione sui due lati del campo come Jimmy Butler al fianco del talentuosissimo Wiggins e con il lungo in prospettiva più forte della Lega, ovvero Karl-Anthony Towns. Coach Tim Thibodeau ha pure una panchina lunga, sarà la volta buona per la franchigia da più tempo senza playoff?

Giannis Antetokounmpo: pronto per essere MVP? (nba.com)
A Est, subito dietro la prima fascia c’è ovviamente Washington (****), con la coppia dietro John Wall-Bradley Beal che ha poco da invidiare a quelle delle contender dell’altra Conference. Brutta tegola l’infortunio di Markieff Morris, la chiave di volta sarà il rendimento di Otto Porter che deve meritarsi il rinnovo da 106 milioni in quattro anni. Subito dopo Toronto (***1/2) che ha perso DeMarre Carroll, sostituito in quintetto da CJ Miles, e diversi panchinari. DeMar DeRozan è reduce dalla migliore stagione in carriera, Kyle Lowry quasi ma la sensazione è che il ciclo dei canadesi sia in fase calante. Mentre è in rampa di lancio, anche se non ancora a velocità supersonica, Milwaukee (***1/2) che ha in Giannis Antetokounmpo un credibile candidato MVP e chiede al Rookie dell’anno Malcolm Brogdon un contributo ancora maggiore soprattutto fino al rientro di Jabari Parker dall’ennesimo infortunio. Se metto qui Miami (***1/2), infine, è soprattutto per due motivi: perché dopo aver chiuso la stagione con 30 vittorie nelle ultime 41, fallendo i playoff solo per gli scontri diretti sfavorevoli con Chicago, ha mantenuto l’ossatura dello scorso anno aggiungendo il lungo Olynyk e il rookie Adebayo dietro Hassan Whiteside, ma soprattutto ha un Goran Dragic reduce da un Europeo da MVP: sarà sempre di più lui il leader degli Heat.

Terza fascia-in lotta per la postseason.
Noterete subito che anche in questo lotto c’è una bella differenza tra le squadre che lotteranno per un posto nei playoff a Ovest e quelle che potrebbero ritrovarsi alla postseason a Est. Dove, per intenderci, quintetti come Portland (****) e New Orleans (****) farebbero probabilmente la voce grossa. Nell’Oregon le “stelle” sono Damian Lillard e CJ McCollum, coppia di esterni da oltre 40 punti di media a partita. Solido il contributo sotto le plance di Jusuf Nurkic, arrivato a metà stagione da Denver, il resto è un po’ un’incognita in una competizione dura come la Western Conference. Discorso simile per i Pelicans, che hanno la coppia di lunghi più ricca di talento dell’intera Lega con Anthony Davis e DeMarcus Cousins reduci però da uno scorcio di stagione (dopo lo scambio con Sacramento) trascorso più che altro a pestarsi i piedi in campo. E siccome “Boogie” da solo non è abbastanza pazzo, è arrivato anche Rajon Rondo a fare il gioco dei doppioni in cabina di regia con JRue Holiday. Anche qui il supporting cast non pare all’altezza. Le outsider nella corsa ai playoff sono tre squadre rivoluzionate dal mercato ma che hanno comunque parato i colpi nel modo migliore. Memphis (***1/2) ha avviato il ringiovanimento del roster lasciando andare Zach Randolph, Tony Allen e Vince Carter ma ha tenuto ovviamente le due “stelle” Mike Conley, al secondo anno di un quinquennale da 153 milioni, e Marc Gasol. Firmato in extremis JaMychal Green, avrebbe bisogno di punti da Chandler Parsons e Tyreke Evans ma resta sempre pericolosa. Denver (***1/2) ha  messo un realizzatore come Paul Millsap accanto al “Joker” Nikola Jokic, forse il lungo che passa meglio la palla in tutta la NBA, La rotazione delle guardie è profonda (Mudiay, Murray, Harris, Barton e l’eterno Jameer Nelson), manca qualcosa in ala dopo la partenza di Gallinari, tanto da far immaginare molti quintetti “piccoli” per coach Brendan Malone. Altra squadra che sarebbe potuta uscire dalla offseason a pezzi e invece è ancora lì è Utah (***), che ha perso la “stella” Gordon Hayward e il playmaker George Hill (rimpiazzato con Ricky Rubio). I Jazz sono fortissimi sotto canestro, specie in difesa, con Rudy Gobert e Derrick Favors, ma sembrano avere davvero pochissimi punti nelle mani. Una soluzione potrebbe essere Dante Exum da guardia in un quintetto “piccolo” con Rodney Hood.

Simmons, Embiid e Fultz: Philadelphia diventerà grande
Come ovvio rovescio della medaglia, le seguenti squadre dell’Est se si trovassero nell’altro tabellone potrebbero più che altro programmare una stagione da lottery: basti pensare che la più forte sembra Detroit (***): Avery Bradley per Kentavious Caldwell-Pope è un upgrade soprattutto in difesa, manca però un lungo da affiancare a Andre Drummond mentre Reggie Jackson viene da una stagione enigmatica. Un passo sotto Charlotte (***), costruita intorno all’All Star Kemba Walker, tanto da non avere una guardia tiratrice da quintetto. Dwight Howard non è più Superman, ma può sempre dare un contributo sotto le plance. Chi tra quattro-cinque anni, mantenendo questo gruppo, sarà la favorita per il titolo è Philadelphia (***), che riabbraccia Ben Simmons dopo una stagione da rookie saltata interamente per infortunio e spera di avere Joel Embiid sano per tutto il campionato, perché il camerunense è un fenomeno vero. JJ Redick dà punti e pericolosità sugli scarichi per punire i raddoppi in vernice, la prima scelta assoluta Markelle Fultz ha potenzialità mostruose e anche il resto della rosa appare ben assortito. Certo, sono giovanissimi, inesperti e tanto, tanto a rischio infortuni.

Quarta fascia-lavori di (ri)costruzione in corso.
Ottimo inizio di stagione per il Beli ad Atlanta (gazzetta.it)
Dopo un’estate di mercato con tanti colpi di scena è normale che siano tante le formazioni catapultate improvvisamente di nuovo all’anno zero, per quanto con obiettivi e prospettive diversi. A Est il punto di domanda è Indiana (***), che ha perso Jeff Teague, All Star nel 2015, e Paul George, All Star sempre, praticamente per nulla in cambio. L’unica addizione di rilievo è il ritorno a casa di Victor Oladipo, ex Indiana University; poi due play di discreto livello come Darren Collison e Cory Joseph e soprattutto il centro Myles Turner, reduce da una stagione favolosa e con enormi margini di miglioramento visto che ha appena 21 anni. Ma in fila davanti al cantiere, come un pensionato con le mani incrociate dietro la schiena, sono in tante. Innanzitutto Brooklyn (***), che nell’accettare il contrattone di Mozgov e la cessione di Brook Lopez per costruire la squadra del futuro intorno allo scintillante ma discutibile talento di D’Angelo Russell avrebbe avuto forse bisogno della prima scelta 2018 (ceduta a Cleveland) e della presenza, accanto al play ex Lakers, di Jeremy Lin che invece si è infortunato e resterà fuori tutta la stagione. Chi invece il salto di qualità lo fa ora o… taccia per sempre è Orlando (***), che ha innestato panchinari esperti su un roster giovane e futuribile anche se non ricchissimo di talento, Aaron Gordon a parte. Situazione analoga ad Atlanta (**1/2), con la partenza di Paul Millsap e Dwight Howard che ha lasciato gli Hawks senza lunghi di peso. Tutto ruota intorno a Dennis Schroeder, con un ruolo (meritato) da protagonista per Marco Belinelli che infatti ha iniziato molto bene. I “casi umani” dell’Est sono però le squadre di due metropoli: New York (**1/2) e Chicago (**1/2). Nella Grande Mela si è consumato un chandleriano lungo addio con Carmelo Anthony che lascia la squadra in mano al fenomeno lettone Kristaps Porzingis. Attorno a lui, di promettenti ci sono solo il play Ntikilina e il lungo Willy Hernangomez, il resto (compreso Tim Hardaway jr. con annesso quadriennale da 71 milioni!) non dà garanzie di una ricostruzione rapida e indolore. Da Chicago sono andati via addirittura Jimmy Butler e Dwyane Wade (più Rajon Rondo), e visto che Kris Dunn, la prima scelta del 2016 arrivata in cambio di Butler insieme a Zach LaVine, ha avuto un’annata da rookie trascurabile, il futuro appare veramente plumbeo. Una luce? Certamente Lauri Markkanen, ala finlandese che prima di giocare contro l’Italia stava impazzando a Eurobasket.

A Ovest le squadre con il cartello “lavori in corso” sono di meno, ma ad esempio una ha già cambiato allenatore dopo tre sconfitte consecutive, due delle quali con 40 e 50 punti di scarto. Via Earl Watson, Phoenix (**1/2) si trova a dover fronteggiare, dopo il grave infortunio a Brandon Knight, il desiderio di Eric Bledsoe di essere ceduto. Devin Booker è una potenziale superstar ma non c’è molto altro. Squassata da un paio di sessioni di mercato senza esito, a partire da quando DeAndre Jordan decise di tornare ai Clippers dopo aver firmato in Texas, Dallas (**1/2) deve affrontare la transizione dall’era di Dirk Nowitzi a quella di Dennis Smith jr., che però a parte il centro Nerlens Noel e l’ala (deludente in relazione al contratto) Harrison Barnes non avrà un contorno così giovane e futuribile. Qui il valore aggiunto potrebbe essere il coach: Rick Carlisle, l’artefice (con WunderDirk) del titolo del 2011 e uno dei migliori della Lega. Sacramento (**1/2) è la squadra che da più tempo manca i playoff dopo Minnesota ma, a differenza dei Wolves, il digiuno è destinato ad allungarsi ulteriormente. De’Aaron Fox, prima scelta al Draft, è un gran bel prospetto e con Buddy Hield, Skal Labissiere, Willie Cauley-Stein e anche Malachi Richardson forma un quintetto molto interessante in prospettiva, ma allora perché firmare un quarantenne come Vince Carter e un 36enne problematico come Zach Randolph?


I giovani Lakers: servirà tempo per tornare grandi 
Manca, come avrete capito, una sola squadra da analizzare: i Los Angeles Lakers (**1/2-***). La squadra più affascinante della Lega, nonché quella per cui batte il cuoricino de IlMaxFactor, è reduce da un’annata, la prima di Luke Walton in panchina (ma anche la prima dell’era post-Kobe), iniziata in maniera promettente, e poi naufragata per motivi innegabilmente legati a un roster inadeguato. Magic Johnson e Rob Pelinka, dopo che finalmente erano stati giubilati il gm Mitch Kupchak e il comproprietario Jim Buss, hanno subito fatto rumore spedendo D’Angelo Russell ai Nets e liberando spazio salariale per la prossima estate, quando ­– a sentire Magic – uno, forse due free agent di primo livello approderanno a Hollywood. I nomi? Si va dagli ex UCLA Westbrook e George (ma il primo sta per rinnovare con Oklahoma City) a LeBron James, che a L.A. ha casa e interessi commerciali e che, una volta portato il titolo a Cleveland, ha estinto il “debito” con la propria città. I Lakers non avranno prime scelte e non sembrano orientati a una trade durante la stagione, anche perché pensano di aver un nucleo di grande prospettiva con Lonzo Ball, Brandon Ingram e Julius Randle. Il play appena approdato dalla NCAA con la scelta numero 2 (che ha sfiorato la “tripla doppia” già alla sua seconda partita) è uno di quei talenti che passano una volta nella vita, con una visione di gioco che ricorda proprio Magic e caratteristiche tecniche e fisiche vicine a un Jason Kidd. Però deve ancora dimostrare tutto, soprattutto di essere in grado – come i due totem appena evocati – di migliorare i compagni con la sua sola presenza sul parquet. La stagione non porterà i playoff perché, per il basket di Luke Walton, mancano almeno due tiratori da tre e lo stesso Randle non è un’ala forte in grado di allargare il campo. Atteso a grandi progressi il talentuosissimo Ingram, occhio a qualche outsider in uscita dalla panchina come il già sorprendente Kyle Kuzma. Ci risentiamo a luglio.

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