giovedì 20 febbraio 2014

Il Piano Marshall: titolare ai Lakers e All Star. Accetto scommesse

Kendall Marshall, chi era costui?
“Il miglior passatore che io abbia allenato in 24 anni”.

Era l’11 novembre del 2011. Sul ponte della USS Vinson, la portaerei della Marina
Kendall Marshall, playmaker dei Los Angeles Lakers
americana sulla quale era stato trasportato il corpo di Osama Bin Laden ancorata nel porto di San Diego, alla presenza di 7 mila spettatori, di un migliaio di marinai e del presidente Barack Obama si giocava il primo “Carrier Classic”, una specie di partita inaugurale della stagione del basket NCAA tra due delle favorite del campionato: North Carolina e Michigan State.

North Carolina, in quella stagione 2011/2012, era stata indicata praticamente da tutti (62 voti su 65) come la numero 1 nei pronostici prestagionali in forza di un quintetto assolutamente incredibile per talento, atletismo e forza fisica: tre levrieri immarcabili (Reggie Bullock, John Henson, Harrison Barnes), un lungo solido come Tyler Zeller e la sapiente regia di Kendall Marshall, fresco McDonald’s All American e destinato a ricevere anche il “Bob Cousy Award” come miglior playmaker del college basket.
In quel “Carrier Classic”, UNC avrebbe dominato gli Spartans del genio della panchina Tom Izzo (67-55). Ma i miei occhi di telespettatore su ESPN America erano tutti per lui, il playmaker al secondo anno da Bishop O’Connell High School che innescava i suoi terminali offensivi con una sicurezza, una tranquillità, una perfezione tecnica ai limiti dell’assurdo. Un paragone che mi venne subito? Con Steve Nash, senza dubbio (anche se quello più gettonato è con Mark Jackson). Con gli stessi limiti nella metà campo difensiva, un pizzico – nemmeno troppo – di atletismo in più e certamente un tiro dalla media come opzione alternativa sul pick and roll in meno, ma quella tipologia di giocatore, una pass-first point guard (playmaker che pensa prima al passaggio) dalla classe cristallina e dal Q.I. cestistico superiore.

Era il 18 marzo del 2012. A coach Roy Williams, allenatore di UNC, sarà sembrato un incubo vedere Marshall, “il miglior passatore che io abbia allenato in 24 anni”, cadere malamente su un polso dopo un fallo di un avversario in entrata nella vittoria al torneo NCAA contro Creighton che avrebbe portato UNC alle “Sweet Sixteen”, ovvero alle semifinali dei Regional e a due vittorie dalle Final Four.

Nel corso dell’annata UNC aveva brillato a sprazzi, aveva chiuso la stagione regolare  al numero 3 dietro Kentucky e Syracuse ed era la prima testa di serie nel suo tabellone del torneo NCAA, Marshall stava mettendo insieme statistiche “normali” (10 punti e 9 assist di media) ma l’impressione che la squadra di Williams era capace di dare quando il suo playmaker scatenava i compagni in campo aperto o li mandava a canestro con i suoi deliziosi passaggi schiacciati la rendeva ai miei occhi praticamente imbattibile. E invece, dopo l’uscita di Marshall – comunque decisivo in quell’ultima uscita da universitario con 18 punti, 7/8 al tiro e 11 assist – i Tar Heels avrebbero  faticato contro Ohio, vincendo solo al supplementare, e sarebbero usciti malamente contro Kansas che avrebbe preso il loro posto alle Final Four.

Tutto praticamente ineluttabile senza il loro leader, un giocatore clamoroso che sembrava lanciato verso una chiamata altissima al Draft 2012 della NBA. E invece, l’intervento chirurgico (una vite nel polso) e la successiva riabilitazione fecero precipitare le quotazioni di Marshall, scelto dopo le prime 10 (per l’esattezza al numero 13) dai Phoenix Suns, squadra per niente adatta a garantirgli un minutaggio consistente visto che in regia aveva già Goran Dragic. Per lui, quindi, un ruolo da comprimario e appena 3 punti e altrettanti assist in meno di 15’ di utilizzo medio. A fine stagione, tutte le perplessità degli addetti ai lavori (che Kendall ha memorizzato sul cellulare: “non sa tirare”, “è troppo lento”, “non difende”) si concretizzarono nel mancato rinnovo con i Suns e nella… retrocessione in D-League, la Lega di sviluppo della NBA dove peraltro non è che abbia fatto sfracelli.

Insomma, carriera NBA finita ed ennesima occasione sprecata per un talento fenomenale? Eh sì, o almeno così pareva. Se  non ci fossero stati i Los Angeles Lakers millésime 2013/2014, detti anche Ospedaletto. Fuori per infortunio – a turno o contemporaneamente – tutti i tre playmaker del roster, ovvero Steve Nash, Steve Blake e Jordan Farmar, coach Mike D’Antoni e la dirigenza gialloviola prelevavano Marshall dalla NBDL e, a distanza di un paio di partite, “Arsenio Lupin” lo catapultava addirittura in quintetto contro Utah. Risultato? 20 punti e 15 assist. Oggi il prodotto di UNC viaggia a quasi 11 punti e 9 assist (con un high di 17 raggiunto due volte) di media, tirando col 46% da tre; un assurdo, vista la meccanica di tiro “edilizia” da fermo, senza sospensione. E i Lakers si fidano così tanto di lui da aver appena scambiato sul mercato Steve Blake con i Golden State Warriors nonostante i problemi fisici di Farmar e soprattutto Nash siano tutt’altro che risolti.


L’anno prossimo L.A., che in questa stagione è stata un cantiere a causa degli infortuni di Bryant, Gasol, Hill e via dicendo (reparto playmaker a parte) tanto da riconsiderare gli obiettivi dai playoff al tanking, ovvero a perdere apposta o indebolire la squadra per avere una scelta più alta al Draft, potrebbe davvero pensare di affidare a Marshall lo spot di regista titolare. Tremo al pensiero di un pick and roll “1-2” con Kobe Bryant, ma soprattutto non vedo come il buon Kendall, uno dei miei giocatori preferiti in assoluto finito per ventura nella squadra per la quale tifo, se gratificato di una simile chance possa mancare  l’occasione di diventare un All Star. E’ vero che non azzecco una previsione o un pronostico dal lontano 1972, ma stavolta non sbaglio di sicuro.