mercoledì 18 settembre 2013

Italia-Lituania, ecco la storia che ritorna

Chissà se giocatori e staff tecnico della Lituania hanno seguito la gara dell’ultima giornata del girone F agli Europei di basket in Slovenia, quella che ha assegnato loro l’avversaria nei quarti di finale. Probabilmente sì. Sicuramente avranno studiato la Spagna vice campione olimpica e detentrice del titolo continentale, ovviamente favorita per la vittoria sull’Italia e quindi per il terzo posto (cioè per l’accoppiamento con la “corazzata” baltica), e invece si sono ritrovati una fantastica Italia, capace di infliggere alle “furie rosse” la terza sconfitta nella rassegna slovena recuperando 11 punti di distacco, impattando allo scadere con un’invenzione di Datome e quindi dominando il supplementare per confezionare l’ennesima impresa di un torneo nato sotto i peggiori auspici a causa dei tanti infortuni e rivelatosi, finora, persino trionfale.
Chissà cosa avranno pensato in particolare Ksistof Lavrinovic e Robertas Javtokas, unici “superstiti” (il termine è quello giusto, come leggerete) di quell’incredibile precedente che oggi fortifica le menti e le speranze degli azzurri nell’affrontare una sfida apparentemente chiusa dal pronostico. E’ probabile, infatti, che a quasi dieci anni di distanza i lituani abbiano ancora gli incubi al pensiero della semifinale olimpica di Atene nel 2004, quando la squadra guidata da Antanas Sireika, fresca di titolo europeo e ancora imbattuta nel torneo a cinque cerchi, incrociò una specie di “armata Brancaleone” (per modo di dire) guidata in panchina da Charlie Recalcati e in campo da un terzetto che oggi serve la causa di Capo d’Orlando: Gianmarco Pozzecco, Gianluca Basile e Matteo Soragna.
Oggi come ieri (ma oggi meno di ieri), a dover fare un pronostico non v’è alcuna possibilità che l’Italia possa vincere. Gianluca Basile ci confidava qualche giorno fa che prima della partita gli azzurri si erano guardati negli occhi chiedendosi: “Ma come c… dovremmo vincere contro questi qui?”, visto che i lituani erano i vari Jasikevicius, Zukauskas, Stombergas, Siskauskas, Songaila, Maciauskas prima del xgrave infortunio… Insomma, tutti top players in Eurolega. Che andarono facilmente sul +11 prima che il “Poz” desse inizio a una vera e propria gragnuola di triple (18/28 di squadra) sotto la quale gli avversari sarebbero stati letteralmente sepolti: finì 100-91 e a chiuderla fu proprio il “Baso” con la sua settima granata, un tiro senza ritmo e praticamente dagli spogliatoi che riconsegnò all’Italia il +10 senza possibilità di recupero per gli avversari. Nacque lì, o almeno lì diventò leggenda, la definizione di “tiro ignorante” per una tripla – sconsiderata eppure a segno – del neo paladino.
Quella partita fu probabilmente la pagina più bella della storia del basket italiano – almeno per chi era troppo piccolo nel 1980 quando arrivò l’altro argento olimpico, quello di Mosca dove però gli americani non c’erano mentre ad Atene si dovettero accontentare del bronzo – insieme proprio all’amichevole contro gli Usa a Colonia, quando un indiavolato Pozzecco urlò ad Allen Iverson, nel suo inglese maccheronico, “Nobody can defense on me!”.
Oggi, la “manifesta inferiorità” dei reduci azzurri contro i bestioni lituani (la squadra più “grossa” dell’Europeo dopo la Croazia con il suo 2.03 di altezza media e tanti, tanti chili da stoccare sotto canestro) appare altrettanto evidente, ma come nel 2004 la sensazione è che l’Italia non abbia problemi ad andare oltre i suoi limiti. Senza Bargnani, Gallinari, Hackett, Mancinelli e Gigli, ha trovato comunque quattro uomini capaci non solo di andare in doppia cifra, ma addirittura di attestarsi intorno ai 14 di media con un miglior realizzatore inatteso quanto inevitabile come Alessandro Gentile, ventenne dell’Olimpia Milano che sembra papà Nando allo specchio (lui era mancino,  il pargolo è destro) ma ha la stessa cazzimma del genitore in un volto con sempre dipinta l’espressione da “figurati se non segnavo anche questo”. Ne mette 14,6 ad allacciata di scarpe, lo seguono il leader a intermittenza Marco Belinelli (14.1), quello silenzioso ma costante Gigi Datome (14.0) e Pietro Aradori, che ha i movimenti di uno che non potrebbe mai segnare e la faccia di uno che invece non potrebbe mai sbagliare (13.4) e che ha trovato un contributo di lusso dai vari Cinciarini, Cusin, Melli, Vitali.
Chissà se i lituani sanno cosa li aspetta domani sera alle 21 a Lubiana: un “frullatore” di difesa parossistica e transizione, un festival del tiro da tre, una dimostrazione pubblica di attributi e di voglia di sporcarsi le mani. Insomma, l’Italia di Pianigiani millésime 2013. Magari non basterà per entrare nelle prime quattro, ma anche il settimo posto che ci porterebbe ai Mondiali (l’accoppiamento in semifinale o nel tabellone dalla 5. all’8. posizione sarebbe rispettivamente con la vincente o con la perdente di Croazia-Ucraina) sarebbe un risultato incredibile viste le premesse.
Chissà, però, se invece gli azzurri ci regaleranno un’altra serata indimenticabile come ci hanno abituati in quest’Europeo. I lituani, secondo noi, già tremano.
(pubblicato sulla "Gazzetta del Sud")

martedì 10 settembre 2013

US Open: lo scambio più cattivo di sempre

Novak Djokovic, n. 1 del tennis mondiale
Non sarà ricordato come lo scambio più bello di sempre per vari motivi: intanto perché si è chiuso con un errore (che tuttavia definire “gratuito” sarebbe blasfemia) anziché con un colpo vincente. Poi perché sicuramente, nella storia, di scambi più spettacolari, conditi da colpi di classe e tocchi eleganti, in un Borg-McEnroe o in un Sampras-Agassi (giusto per non andare troppo lontano con la memoria, ai “gesti bianchi” di sua maestà Clerici per capirci) ne saranno stati giocati tantissimi. E anche perché chi ha vinto lo scambio ha poi perso il match. Però il lunghissimo, insistito, reiterato tentativo di omicidio reciproco perpetrato da Nole Djokovic e Rafa Nadal lunedì notte durante la finale dell’US Open merita un posto, ancorché piccolo e marginale, nella storia del tennis. Per quello che è stato e per quello che sarebbe potuto diventare. Il video è finito in tempo reale su Youtube, vale la pena vederlo. Partiamo dalla situazione di punteggio: Djokovic, n. 1 del mondo che la straordinaria condizione di Nadal (n. 2) relega abbastanza curiosamente al ruolo di sfavorito sulla “sua” superficie, ovvero il cemento di Flushing Meadows, ha perso il primo set 6-2 e si aggrappa al servizio nel secondo, provando poi a prendere fiducia sulla risposta. Il serbo, quasi all’improvviso, ha una chance: palla-break sul 3-2 in proprio favore. Nadal gli serve sul rovescio e cerca di tenere la pallina nella parte sinistra del campo di Djokovic con lo slice finché, variazione dopo variazione, spostamento dopo spostamento, lo scambio inizia a diventare più duro e il pubblico (che a New York non aspetta altro) inizia a rumoreggiare. I fuochi d’artificio sono accesi da un drittaccio anomalo dello spagnolo sul quale Nole si difende con un top robusto, e da lì è follia pura: altra mazzata, altra replica nerboruta del serbo e “ora giochiamo a chi tira più forte”. Si susseguono altri quindici-venti colpi con la pallina che sembra dover prendere fuoco, o deformarsi come il pallone dei cartoni di Holly e Benji, mentre viaggia da una riga all’altra rischiando di fare i buchi sul campo. A questo punto, entrambi i giocatori sono ovviamente in debito di ossigeno e cominciano ad accompagnare ogni randellata con un gemito sempre più alto – la Sharapova è silenziosa, al confronto – prima di fatica, poi quasi di dolore, infine di disperazione per quella specie di muro che chiude l’altra parte del rettangolo e rimanda indietro tutto quello che tirano, solo più forte e più vicino all’incrocio delle righe. Non sono tanto i 54 colpi – che già fanno uno scambio da ricordare – quanto questo mix di violenza e precisione, di furia assassina e geometria applicata a lasciare senza parole: e quando Nadal, trovatosi in mezzo al campo dopo aver fatto il tergicristallo per due minuti sani, mette in rete un rovescio quasi di controbalzo, il pubblico impazzisce e il telecronista di Eurosport inizia a urlare frasi sconnesse mentre Nadal mastica silenziose bestemmie e Djokovic, poverino, pompa le braccia al cielo come se avesse vinto il titolo. Il problema è che l’esultanza di Nole toglie al serbo praticamente tutte le (poche) energie residue, tanto che – spossato fisicamente e scarico mentalmente – dopo essersi issato sul 4-2 si trova subito 0-40 nel game successivo, nel quale restituirà il break pur dopo aver lottato e recuperato. Resisterà allo schiacciasassi Nadal il tempo di strappargli nuovamente il servizio per chiudere 6-3 il secondo set e di procurarsi ancora tre palle-break sul 4 pari nel terzo: perse queste opportunità, il campione del 2011 (e finalista altre tre volte con questa) si sgonfierà cedendo 6-4, 6-1 e consegnando al maiorchino il suo tredicesimo torneo del Grande Slam. Che per uno che ha dovuto sopportare per anni Roger Federer, non è poco.