lunedì 25 novembre 2013

Poz, Kidd, Rose e Collins: storie di point guard (anzi, di playmaker)

E’ una di quelle parole inglesi che abbiamo trascinato a peso nella lingua italiana senza sapere quale fosse il loro vero significato. Tanto che da loro – intendo in America – “playmaker” è l’atleta in grado di fare le giocate decisive mentre il ruolo che noi definiamo così è quello di “point guard” (guardia, ovvero esterno, che gioca in punta, quindi fronte al canestro avversario).

Tuttavia, non è più tanto raro che la “point guard” sia il “playmaker” della squadra, ovvero che decida le partite; il suo ruolo di spalla, di comprimario così com’era disegnato dal basket tradizionale, nel quale – pur con eccezioni – il play si limita a passare la metà campo palla in mano e innescare con il passaggio i compagni, si è enormemente evoluto e oggi sono davvero tanti i “numeri 1” (altra definizione del ruolo sul parquet) migliori realizzatori delle loro squadre o comunque più votati al tiro o alla penetrazione che non alla distribuzione del gioco.

E anche se questa regola di fatto non esiste (nel calcio abbiamo avuto portieri e centravanti che sono diventati ottimi allenatori), la superiore conoscenza del gioco, il cosiddetto “Q.I. cestistico” e la necessità di osservare e governare tutti i movimenti della squadra specie in attacco fanno del playmaker il candidato ideale a spostarsi, a carriera finita, sulla panchina. Con esiti non sempre scontati, ma a tratti sorprendenti.

Gianmarco Pozzecco
Di quest’ultima categoria è portabandiera Gianmarco Pozzecco, ex giamburrasca del cinque contro cinque (ma anche dell’uno contro cinque…) che alla seconda stagione a Capo d’Orlando sta dimostrando di essere stato tutt’altro che solo un istintivo, un guascone, un individualista con poca attenzione al gioco di squadra e alla difesa. O meglio: alla difesa non ci pensava proprio, ma ora che allena ha trovato proprio in questo fondamentale la sua Nemesi. Dopo aver preso l’Orlandina da 0-6 e averla portata a sfiorare i playoff di Legadue l’anno scorso, in questo campionato il “Poz” è partito male soprattutto a causa degli infortuni (3 sconfitte consecutive), ma da quando ha la squadra quasi al completo è imbattuto, con 6 vittorie in fila almeno metà delle quali ottenute contro pretendenti alla promozione: Verona e ieri Napoli in casa, Barcellona e Torino in trasferta. Risultato: quarto posto in classifica e squadra in piena corsa playoff proprio con la difesa, il gruppo, la voglia di vincere che anima anche campioni come Basile, Soragna, Nicevic che avrebbero tutto per essere ormai appagati. Dopo il successo di Forlì, il “Poz” ha twittato: “Da giocatore pensavo che l’allenatore non contasse nulla… Ora ne ho avuto la conferma!”.

Altro grande play transitato sulla panchina ma con esiti opposti è Jason Kidd, divinità locale del New Jersey (dopo aver portato i Nets a due finali Nba negli anni Duemila) con tanto di maglia ritirata, chiamato dal magnate russo Mikhail Prokhorov a guidare la nuova Brooklyn con tante stelle (Deron Williams, Joe Johnson, gli ultimi arrivi Paul Pierce e Kevin Garnett) e il payroll, ovvero il monte stipendi, più alto della Lega a quota 101 milioni di dollari. Fin qui, però, un flop: 3 vinte e 10 perse, playoff lontanissimi, i “vecchietti” apparsi davvero troppo vecchietti e una qualità di basket addirittura infima. Tanto che la sua avventura al nuovo Barclays Center potrebbe essere vicina al capolinea.

Derrick Rose contro Jason Kidd
Chi invece è ancora sul campo, o meglio ci ha provato ma è stato costretto a fermarsi nuovamente, è Derrick Rose, 25enne stella dei Chicago Bulls che lo hanno preso con la prima chiamata assoluta al Draft del 2008. D-Rose, uscito dall’Università di Memphis con grandi numeri, ha entusiasmato anche nella Nba (Mvp della Lega nel 2011, il più giovane della storia) fino all’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro che lo ha tenuto fuori per un anno e mezzo. Era rientrato in questa stagione, partendo bene anche se, per il suo stile di gioco tutto basato su velocità, forza fisica e cambi di direzione, le perplessità sul fatto che potesse tornare ai suoi livelli non mancavano; purtroppo, però, si è nuovamente infortunato e oggi sarà operato per una lesione al menisco del ginocchio destro che rischia di fargli chiudere anticipatamente anche questa stagione. Davvero un dramma sportivo per uno dei giocatori più forti dell’ultima generazione, che speriamo non faccia la fine dei vari Penny Hardaway o Tracy McGrady cui il fisico ha negato carriere da All-Star.


Senza alcun dubbio è un “All-Star” del campionato di DNA Gold Andre Collins, playmaker (in
Andre Collins
entrambi i sensi) della Sigma Barcellona. Il record stagionale di assist (ben 18) a condire una fantastica “tripla doppia” con 22 punti e 10 rimbalzi nella vittoria contro Biella, quarta consecutiva per la truppa giallorossa, conferma che “Deuce” è un giocatore di altra categoria, che non ha nulla a vedere con questi palcoscenici. E a Barcellona, dove ancora ricordano giustamente lo straordinario Gerrod Abram della stagione 1999/2000 chiusa a un passo dalla promozione in Serie A, sembrano aver ormai dimenticato i vari Joe Crispin, Mike Green e Taurean Green che hanno occupato la casella nelle ultime stagioni. E sì, perché uno da 20.2 punti, 5.4 rimbalzi, 8.3 assist col 40% da tre è chiaramente l’Mvp del campionato fino a questo punto e il condottiero ideale per centrare, finalmente, la sospirata promozione. Anche se fa 6/20 al tiro, che per numero di tentativi non è proprio una statistica da… “point guard”. Ma da "playmaker", quello sì.

martedì 5 novembre 2013

Questo buffone di sindaco mi sta proprio sul culo


E sì, questo buffone con la maglietta e i sandali che hanno eletto sindaco di Messina mi sta proprio sul culo. Prima di cambiare mestiere e intraprendere la mia attuale occupazione ero un imprenditore edile, e mi ero perfettamente integrato nel sistema degli appalti pubblici: partecipi a una gara, offri il 40 per cento di ribasso, ti aggiudichi i lavori sottocosto e poi ti metti d’accordo con il direttore dei lavori e i politici e a colpi di varianti in corso d’opera ci guadagni ugualmente un pacco di soldi. Bei tempi, erano quelli.

Poi è finita la Prima Repubblica e io aspettavo come la manna dal cielo l’apertura dei cantieri del Ponte: un esproprio, un movimento terra, una colata di cemento e per quindici anni s’incassava, chi se ne frega del “dopo”. Arriva questo Zeus dei poveri, sale sul Pilone sventolando uno striscione con uno slogan del cavolo, “No Ponte” (che poi sarebbe “No al Ponte”, ma l’ignoranza…), e ti monta un gran putiferio fomentando la protesta di tutti i perdigiorno di Messina e dintorni, e così oggi si fa, domani no, dopodomani crolla, fra tre giorni non ci sono i capitali, insomma niente da fare.

        Allora qualche amico mi dice: guarda che il business vero è nella Formazione, un sacco di fondi europei e regionali, controlli praticamente zero, destra e sinistra alleate senza distinzioni quindi nessuno denuncerà mai niente… E invece, anche qui sapete com’è andata a finire.

        Mi sono dato quindi un’ultima chance. Non vi dico qual è, ma lo capirete. Fatto sta che mentre ieri ero lì a piazza Unione Europea e parlavo di affari con un generale amico mio, arriva il mio incubo: maglietta con scritto “Free Tibet” (che poi io con la Cina ho sempre lavorato bene) sotto la fascia tricolore, nemmeno uno straccio di giacca e cravatta, anziché deporre una corona di fiori al monumento ai Caduti come qualunque sindaco che si rispetti tira fuori… la bandiera della Pace? E poi comincia a delirare: Pertini, i granai, gli arsenali, mancavano solo Banderas e il Mulino Bianco. E l’articolo 11 della Costituzione! Ma lo sanno tutti che è scritto con l’inchiostro simpatico!
       
        Insomma, me ne vado sdegnato insieme a un paio di militari di alto grado, pensando che questa piazzata passerà inosservata, come le farneticazioni di un pazzo che non sa proprio come si campa. Oggi invece ti trovo quotidiani, siti e telegiornali pieni di questa buffonata. E passi per Mentana, passi per Repubblica.it e Corriere.it, passi per la prima pagina del Manifesto ché tanto i comunisti sono sempre uguali, ma persino la Gazzetta del Sud! E nemmeno lo squartano come si deve, no! Fanno il canto e il controcanto, “Sono d’accordo” e “Non sono d’accordo”, e se leggi i due editoriali capisci che in realtà sono d’accordo tutti e due, è tutta una combutta catto-comunista che punta a minare i capisaldi dell’economia della nostra città e del nostro Paese.

        No, caro sindaco Accorinti: con quella fascia indosso dovresti rappresentare tutti, non soltanto gli estremisti come te. La mia categoria, per esempio, non la rappresenti affatto. E poi non mi vergogno a dirlo: a me, che di Messina si parli per queste cose, dà parecchio fastidio. Una volta c’erano il “Caso Messina”, poi il “Caso Buzzanca”, insomma storie cazzute, intrecci, politica, malaffare… Questo che sarebbe, il “Caso Barbapapà”?. Ma siamo seri, via.
Pietro Chiocca*

P.S.: al ministro Gianpiero D’Alia, che si è indignato per le parole di Accorinti, vorrei domandare: Lei che è un “politico cattolico”, può chiedere a Papa Francesco cosa ne pensa? Così, per sapere.


(*Pietro Chiocca è il personaggio del mercante d’armi interpretato da Alberto Sordi in “Finchè c’è guerra c’è speranza”)