mercoledì 28 maggio 2014

Matteo Renzi, il piacione che non piace. Ecco perché ha vinto

Parliamoci chiaro: Matteo Renzi non è Rutelli. Non è un piacione vero, un simpatico cialtrone come il Francesco disegnato dall’imitazione di Corrado Guzzanti (lo ricordate? Un Alberto Sordi un po’ confuso e travolto dagli eventi), ma è piuttosto antipatico, ha sempre l’aria del saputello che ti spiega come si campa e, con tutte quelle slide che mostra ad ogni conferenza stampa, mi ricorda più un venditore a una convention di Repower che non un leader politico.

Matteo Renzi se la ride
Parliamoci ancora più chiaro: Matteo Renzi non è Berlusconi, come oggi sul Fatto Quotidiano ammette anche il mio idolo Marco Travaglio al quale domenica notte, su La7, è partito un embolo così forte per la sconfitta che altro che Maalox, ci voleva un anticoagulante. E non è nemmeno Grillo, ovviamente. Ma è l’incubo peggiore sia di Berlusconi che di Grillo: perché li sfida sul loro terreno, quello del qualunquismo-populismo che tanta presa abbiamo visto fare sull’elettorato italiano, ma in aggiunta può spendere l’argomento di essere già al governo del Paese, da troppo poco tempo per essere giudicato ma da abbastanza tempo per aver dato segnali di rinnovamento (argomento che disinnesca la rivoluzione grillina) e di una politica tutto sommato moderata (con buona pace di Silvio).

Alle analisi – tante, e molte valide – che si sono ammassate sui giornali, in televisione e sul web a proposito della schiacciante vittoria del Pd alle Europee di domenica manca, secondo me, un elemento di una certa importanza. Anzi, due.

Il primo è che, oggi come oggi, in cambio di uno straccio di stabilità la stragrande maggioranza degli italiani è disposta a farsi governare da chiunque, punto e basta. Questo balza agli occhi se si considera che né il 41 per cento né i 12 e passa milioni di voti presi da Renzi (e basta con questa storiella dell’affluenza bassa: se vai a votare hai ragione, altrimenti hai torto perché non conti) sono dati del Pd. Né prima di domenica, né dopo. Renzi è stato votato dai suoi, dagli elettori dei suoi alleati – a proposito, una prece – da quelli di centrodestra e da quelli del M5S che il Grillo straparlante aveva terrorizzato a morte in campagna elettorale.

Sono dati della Dc, ma in un senso differente da quello che ho letto in molte analisi: stabilità, centrismo, moderazione ma allo stesso tempo efficienza, risultati (anche piccoli), capacità di intercettare la domanda di rinnovamento che veniva dall’elettorato sono la sua ricetta vincente. E’, se volete, la “balena bianca” 2.0, la versione social del perfetto partito di maggioranza relativa.

Secondo elemento. In questo senso, la mossa vincente non sono stati gli 80 euro in busta paga (che comunque saranno piaciuti a tanti); è aver accompagnato questo tipo di misura, questa prima “carezza” ai lavoratori e alle famiglie, con provvedimenti che – per quanto in parte inefficaci, o parziali, o più di facciata che di sostanza – indicano un’attenzione alla riduzione dei costi della politica. La riforma del Senato, l’abolizione delle Province e delle relative indennità, forse ancor di più l’asta delle auto blu su Ebay hanno dato l’impressione che sì, qualcuno dei nostri politici ha capito cosa vuole la gente (ggente?) senza avere la fedina penale sporca o senza paventare vivisezioni di cani o ipotesi di rappresentanza “oltre Hitler”. Insomma, gli altri gridavano e lui sembrava addirittura troppo preso a cercare di risanare questo Paese per controbattere. Un genio.

Il genio ovviamente non è lui, se non per essersi circondato di uno staff e di una classe dirigente giovani, moderni e con le idee chiare. Gli investimenti sull’immagine fatti da Berlusconi e quelli sulla comunicazione (in particolare sulla rete) portati avanti da Grillo sono stati totalmente oscurati dall’operazione di marketing politico che i renziani sono stati bravissimi a realizzare. E il fatto che in nottata al Nazareno si siano presentati davanti alle telecamere non Bersani, non D’Alema, non lo stesso Letta ma un manipolo di “nuovi”, di giovani entusiasti – tanto da farlo sembrare un raduno di boy scout – è stato l’ultimo coup de théâtre di una strategia comunicazionale e d’immagine perfetta.

Con questo non voglio sostenere che dietro la facciata di Renzi – che, come forse non si sarà evinto, non ho votato neanche questa volta – non ci sia sostanza. Ancora non si è vista, ma chissà: se è così intelligente da evitare tentazioni plebiscitarie ma da riuscire a dare il proprio passo alle riforme, anche tirando le redini agli alleati quando ostacolano il suo disegno complessivo, oggi come oggi può probabilmente arrivare dovunque e fare di tutto. Persino il bene del Paese. Intanto, ha dato venti punti di distacco anche allo spread.


P.s.: già vi vedo, «ma come? La volta che il Pd vince non lo hai votato? Ma allora porti sfiga!». Probabile, ma ho votato la lista Tsipras che ha superato la tagliola dello sbarramento, quindi ho vinto anche io. Solo che questa sinistra finalmente unita ha un leader “in affitto” come un utero per una coppia di fatto, e ora lo deve trovare al suo interno. Quindi ricomincerò presto a perdere, così mi riabituo subito.