Matteo Renzi, il piacione che non piace. Ecco perché ha vinto
Parliamoci
chiaro: Matteo Renzi non è Rutelli. Non è un piacione vero, un simpatico
cialtrone come il Francesco disegnato dall’imitazione di Corrado Guzzanti (lo
ricordate? Un Alberto Sordi un po’ confuso e travolto dagli eventi), ma è
piuttosto antipatico, ha sempre l’aria del saputello che ti spiega come si
campa e, con tutte quelle slide che
mostra ad ogni conferenza stampa, mi ricorda più un venditore a una convention
di Repower che non un leader politico.
Matteo Renzi se la ride |
Parliamoci ancora più chiaro:
Matteo Renzi non è Berlusconi, come oggi sul Fatto Quotidiano ammette anche il mio idolo Marco Travaglio al quale
domenica notte, su La7, è partito un embolo così forte per la sconfitta che
altro che Maalox, ci voleva un anticoagulante. E non è nemmeno Grillo,
ovviamente. Ma è l’incubo peggiore sia di Berlusconi che di Grillo: perché li
sfida sul loro terreno, quello del qualunquismo-populismo che tanta presa
abbiamo visto fare sull’elettorato italiano, ma in aggiunta può spendere l’argomento
di essere già al governo del Paese, da troppo poco tempo per essere giudicato
ma da abbastanza tempo per aver dato segnali di rinnovamento (argomento che
disinnesca la rivoluzione grillina) e di una politica tutto sommato moderata
(con buona pace di Silvio).
Alle analisi – tante, e molte
valide – che si sono ammassate sui giornali, in televisione e sul web a
proposito della schiacciante vittoria del Pd alle Europee di domenica manca,
secondo me, un elemento di una certa importanza. Anzi, due.
Il primo è che, oggi come oggi,
in cambio di uno straccio di stabilità la stragrande maggioranza degli italiani
è disposta a farsi governare da chiunque, punto e basta. Questo balza agli
occhi se si considera che né il 41 per cento né i 12 e passa milioni di voti
presi da Renzi (e basta con questa storiella dell’affluenza bassa: se vai a
votare hai ragione, altrimenti hai torto perché non conti) sono dati del Pd. Né
prima di domenica, né dopo. Renzi è stato votato dai suoi, dagli elettori dei
suoi alleati – a proposito, una prece – da quelli di centrodestra e da quelli
del M5S che il Grillo straparlante aveva terrorizzato a morte in campagna
elettorale.
Sono dati della Dc, ma in un
senso differente da quello che ho letto in molte analisi: stabilità, centrismo,
moderazione ma allo stesso tempo efficienza, risultati (anche piccoli),
capacità di intercettare la domanda di rinnovamento che veniva dall’elettorato
sono la sua ricetta vincente. E’, se volete, la “balena bianca” 2.0, la
versione social del perfetto partito
di maggioranza relativa.
Secondo elemento. In questo senso, la mossa
vincente non sono stati gli 80 euro in busta paga (che comunque saranno
piaciuti a tanti); è aver accompagnato questo tipo di misura, questa prima “carezza”
ai lavoratori e alle famiglie, con provvedimenti che – per quanto in parte
inefficaci, o parziali, o più di facciata che di sostanza – indicano un’attenzione
alla riduzione dei costi della politica. La riforma del Senato, l’abolizione
delle Province e delle relative indennità, forse ancor di più l’asta delle auto
blu su Ebay hanno dato l’impressione che sì, qualcuno dei nostri politici ha
capito cosa vuole la gente (ggente?)
senza avere la fedina penale sporca o senza paventare vivisezioni di cani o ipotesi
di rappresentanza “oltre Hitler”. Insomma, gli altri gridavano e lui sembrava
addirittura troppo preso a cercare di risanare questo Paese per controbattere.
Un genio.
Il genio ovviamente non è lui, se
non per essersi circondato di uno staff e di una classe dirigente giovani, moderni
e con le idee chiare. Gli investimenti sull’immagine fatti da Berlusconi e
quelli sulla comunicazione (in particolare sulla rete) portati avanti da Grillo sono stati totalmente oscurati dall’operazione
di marketing politico che i renziani sono stati bravissimi a realizzare. E il
fatto che in nottata al Nazareno si siano presentati davanti alle telecamere non
Bersani, non D’Alema, non lo stesso Letta ma un manipolo di “nuovi”, di giovani
entusiasti – tanto da farlo sembrare un raduno di boy scout – è stato l’ultimo coup de théâtre di una strategia
comunicazionale e d’immagine perfetta.
Con questo non voglio sostenere
che dietro la facciata di Renzi – che, come forse non si sarà evinto, non ho
votato neanche questa volta – non ci sia sostanza. Ancora non si è vista, ma
chissà: se è così intelligente da evitare tentazioni plebiscitarie ma da
riuscire a dare il proprio passo alle riforme, anche tirando le redini agli
alleati quando ostacolano il suo disegno complessivo, oggi come oggi può
probabilmente arrivare dovunque e fare di tutto. Persino il bene del Paese.
Intanto, ha dato venti punti di distacco anche allo spread.
P.s.: già vi vedo, «ma come? La
volta che il Pd vince non lo hai votato? Ma allora porti sfiga!». Probabile, ma
ho votato la lista Tsipras che ha superato la tagliola dello sbarramento,
quindi ho vinto anche io. Solo che questa sinistra finalmente unita ha un leader
“in affitto” come un utero per una coppia di fatto, e ora lo deve trovare al
suo interno. Quindi ricomincerò presto a perdere, così mi riabituo subito.
Commenti
Posta un commento