Virginia Raffaele, o della differenza tra performer e performance
Virginia Raffaele nei panni (pochi) di Belen (stampalibera.it) |
Allora: Virginia
Raffaele è un fenomeno, quindi tutto quello che dirò NON potrà essere usato
contro di lei. Perché non c’è motivo, e perché lo spettacolo Performance, ripresa di quello che la
37enne attrice romana porta in giro per l’Italia da più di due anni, resta
godibile e da vedere al di là di qualche pecca. Più che altro, uscendo dal
Teatro “Vittorio Emanuele” giovedì sera l’idea che mi sono fatto è che un talento
così mostruoso meriterebbe forse autori e una scrittura all’altezza.
Altissima, decisamente
bella ma soprattutto dotata di una dimensione fisica preponderante come si
conviene a una circense (la sua famiglia ha fondato negli anni Cinquanta il
Luna Park dell’Eur a Roma), Virginia non è un’imitatrice nel senso classico del
termine, ovvero non si limita a prendere la voce e i vezzi di un personaggio ma si trasforma, a cominciare da un trucco veramente ben fatto –
alzi la mano chi non ha strabuzzato gli occhi vedendo comparire sul palco la
Vanoni – fino ad andare oltre, pensando come quel personaggio penserebbe. Per
utilizzare le categorie anglosassoni, quelle che fa lei sono più impersionations che impressions. Banalizziamo: “maschere” piuttosto che imitazioni in
senso stretto. Un’arte, la sua, che ha avuto un grandissimo successo televisivo
e che la Raffaele sta ora sfruttando in teatro con professionalità e bravura
assolutamente adeguate: a me è un po’ mancata Donatella Versace (sigh!), però i
personaggi della criminologa Roberta Bruzzone, dell’artista Marina Abramovic,
di Belen, della stessa Vanoni e soprattutto di Carla Fracci sono ormai delle
vere e proprie icone di verosimiglianza e caricatura.
Anche la messinscena è
aderente a questa esigenza: vitali si rivelano gli schermi a led che proiettano
imitazioni e intermezzi, che a volte dialogano con la stessa protagonista in
scena ma che soprattutto le danno il tempo di cambiarsi dietro le quinte per
affrontare un nuovo personaggio. E onestamente, tra un’idilliaca Maria Elena
Boschi che vola (o precipita?) in un cielo azzurro e una Marina Abramovic ieratica
e svagata che tenta di ripetere il suo mantra «Performance is art» mangiando una mela e finisce per affogarsi, è
una delle parti migliori di questo one-woman
show che però dalla scrittura con
Piero Guerrera, Giovanni Todescan e Giampiero Solari (che cura anche la regia)
non trae un ritmo adeguato a sostenere le vorticose trovate e la plasticità
soverchiante di questo vero e proprio animale da palcoscenico.
Una "sciantosa" Francesca Pascale (stampalibera.it) |
A dimostrazione
ulteriore del fatto che Virginia non è “solo” un’imitatrice, nella galleria di
personaggi tocca a due sue invenzioni: la poetessa transessuale Paula Gilberto do Mar, una Princesa di De Andrè dolente e
strampalata, e Giorgia Maura, la
concorrente di Amici ricalcata su
Emma Marrone che strappa più di un applauso per la caratterizzazione
volutamente esagerata ai limiti del fastidio. Il numero più leggero dello show
è quello in cui la Raffaele imita Belen
così bene da imbruttirsi e darsi quel tanto di volgarità che serve. Qui siamo
nel circo in senso stretto: l’attrice romana sfila, si sconocchia sulle gambe
lunghissime, si stira sulle poltrone di platea per fare un selfie con gli spettatori. Anche la voce – che sembra un po’ quella
di Paula Gilberto, cosa vorrà dire? – è perfetta, magari anche qui il testo non
sarà brillantissimo ma, visto il soggetto, ci sta eccome.
Ma è veramente la Vanoni, giusto? (stampalibera.it) |
Il momento chiave dello
spettacolo è l’imitazione di Ornella
Vanoni: al momento dell’ingresso sul palco non ho sentito gli “ooh” di
meraviglia solo perché si tratta di un personaggio molto conosciuto della
galleria della Raffaele, ma la resa è davvero incredibile. Figura, parlata,
camminata, canto: ci credo che la Vanoni se la sia presa argomentando che lo
spettatore poteva pensare fosse davvero lei... Il numero però è veramente
troppo lungo e lento, gli aneddoti su Gino Paoli e Patty Pravo antichi e di
presa relativa su un pubblico più giovane. Un breve intermezzo nel quale
Virginia ripropone una delle sue cose migliori, l’audio del microfono che va e
viene (lo ricordo esilarante in Victor
Victoria) e tocca a una Carla Fracci
da standing ovation: è la parte dello
show più genuinamente divertente e meno stanca, anche se magari le avrei fatto
fare un po’ meno Totò. Ma si sa, quando il circo chiama...
Virginia trasformata in Carla Fracci (stampalibera.it) |
(Gallery fotografica su stampalibera.it)
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