Referendum: per Renzi una bocciatura nata... a scuola
Le lacrime di Matteo Renzi (huffingtonpost.it) |
Tanto
per cominciare, se siete d’accordo (e anche se non lo siete: so che a molti non
piacerà quello che ho da dire), togliamoci dalla testa l’idea che abbia vinto
la volontà degli italiani di difendere la Costituzione. Certo, c’è stata una
fascia di italiani che ha votato in funzione del giudizio che si era fatta
sulla riforma, e io sono tra questi; ma io sono un ex secchione, un
professorino pignolo, un precisino da “comma 1, lettera a”, uno per il quale
non è rivoluzionario considerare “cavilli” una Costituzione, un contratto
nazionale o più in generale le regole. Quindi, sia numericamente che
ideologicamente, conto pochino.
Qualcuno ha scritto che
il 90 per cento degli italiani vota per sentito dire: la percentuale è
probabilmente iperbolica (faccio un esempio banale: su un blogghetto di
periferia come il mio, i tre post di analisi della riforma hanno totalizzato millecento
visualizzazioni. Quindi a tanti la questione interessava), ma il concetto non
va sottovalutato. Nel senso che la stragrande maggioranza degli elettori si è orientata
per il “sì” o (soprattutto) per il “no” sulla base di altro: l’antipatia o
comunque un giudizio negativo nei confronti di Renzi, l’aggressività della
campagna, non tanto di stampa quanto di opinione – propagandata soprattutto sui
social anche a forza di “bufale” – contro di lui, e a fronte di questa una congerie
di bugie e mezze verità messa insieme per cercare di giustificare l’ingiustificabile
e difendere l’indifendibile (perché se a un paio di giorni dal voto mi tiri
fuori una scheda farlocca per sostenere che saranno i cittadini a indicare
quali consiglieri regionali possano diventare anche senatori, quando la riforma
dice chiaramente che «i consigli regionali eleggono i senatori fra i loro componenti»,
un po’ preso per il culo mi sento).
Mettiamoci anche il vento
grillino, i timori per i riflessi di questa riforma su un “Italicum” ancora
vivo e con un premio di maggioranza abnorme, l’insofferenza del Nord-Est per le
politiche sull’immigrazione (77% di affluenza e 62% di “no” in Veneto), la
disperazione di un Meridione stretto tra la povertà e... la povertà (basta il 72%
di voti contrari in Sicilia, il 68% in Campania, il 67% in Calabria, tutte
regioni governate dal Pd?) e il quadro è pressoché completo.
Ma gli errori di Matteo
Renzi sono partiti prima, molto prima. Il premier dimissionario può benissimo
lamentare che, all’inizio dell’iter, la riforma avesse in Parlamento una
piattaforma di sostenitori sufficientemente ampia, ma se via via il Pd è
rimasto da solo a portarla avanti è principalmente colpa sua: dei suoi continui
strattoni, della sua tendenza a porsi da una posizione di superiorità in
qualsiasi trattativa e così via. Questo per quanto riguarda le forze politiche.
Poi, però (anzi, prima), aveva fatto in modo di rimanere da solo anche rispetto
all’elettorato storico della sinistra prima e del Pd poi: litigando con i
sindacati, abbandonando – anche per colpa della crisi, per carità – gli operai
e soprattutto mortificando gli insegnanti. Ai tempi del Pci – lo ricordavo in
un altro post qualche tempo fa – si diceva «tutti, ma non i professori»; invece
Renzi, nella sua ossessione populista, da una parte si è bullato di aver
assunto millemila precari (ma era costretto da una sanzione della Corte di
Giustizia Europea), dall’altra ha cavalcato il qualunquismo e il becero preconcetto
nei confronti degli insegnanti che “lavorano18oreallasettimanaehannotremesidiferieliassumonoepuresilamentanoperché nonsonosottocasa”.
Argomenti la cui falsità è ben nota a chiunque abbia un professore in famiglia.
E il mondo della scuola, che al centrosinistra aveva perdonato persino la
pessima riforma Berlinguer (anche perché dopo era arrivata la piaga d’Egitto
della Gelmini a ristabilire i ruoli...), lo ha pesantemente mollato.
Di Battista, Giulia Grillo e Di Maio nella conferenza stampa post voto |
Epperò, un attimo di
cautela prima di dare Renzi per morto. Senza più alleati nell’arco
costituzionale, senza l’appoggio della sinistra che ha fatto campagna per il “no”,
senza una fetta consistente del suo elettorato, senza la stessa minoranza del
partito, il premier ha portato alla causa del “sì” quasi 13 milioni e mezzo di
voti. Dal momento che, per polarizzazione e personalizzazione, non è peregrino
considerare questo referendum come un voto politico, se dall’altra parte nessuno
(nemmeno Grillo) può ascriversi una qualsiasi percentuale degli oltre 19
milioni di “no” è un fatto che – a parte Alfano e Verdini, figurati – quei voti
per il “sì” siano, in una qualche misura, voti di Renzi. Per capirci: se
contemporaneamente al referendum ci fossero state le Politiche, quanti di quei
13 milioni e mezzo di elettori non avrebbero votato Pd? Pochi, pochissimi.
Bene. Quando il Pd, nel
2014, ha stravinto le Europee conquistando il 40,8% dei voti e doppiando il
Movimento 5 Stelle, ha ottenuto 11 milioni e 200 mila voti. La percentuale
spaziale era dovuta al fatto che avessero votato 29 milioni di italiani, mentre
domenica sono stati 33 milioni. Ma Renzi (il “sì”) ha preso due milioni di voti
in più, e anche al netto di una fantomatica quota Alfano-Verdini (NCD prese 1,2
milioni di voti nel 2014) siamo davanti a un dato oggettivamente enorme. Per
capirci: se questi voti li avesse presi alle Politiche del 2013, oggi avremmo un
saldissimo governo Bersani e non dovremmo preoccuparci della mucca nel
corridoio. Ma allora i voti del Partito Democratico furono 8 milioni 600 mila,
a fronte di un’affluenza superiore a 35 milioni. Il massimo in tempi recenti
spetta a Veltroni nel 2008: poco più di 12 milioni di voti (su 39 milioni di
votanti) e il 33,2% nella sconfitta alle Politiche contro Berlusconi.
Maurizio Crozza e Pierluigi Bersani (corriere.it) |
Per questo motivo, all’apparire
dei primi exit poll referendari scrivevo
che se, con quell’affluenza impensabile, il “sì” avesse contenuto la sconfitta
entro i 10 punti di scarto (i sondaggi clandestini delle ultime settimane lo
davano al 45-46 per cento, ovviamente perché non consideravano la possibilità
di un afflusso così massiccio alle urne), Renzi sarebbe stato il vero vincitore
del referendum. Tanto da poter pensare a un reincarico per portare il paese al voto
nella prossima primavera con concrete possibilità di vincere. Sì, anche con l’Italicum;
d’altra parte, perso il referendum e presentate le dimissioni avrebbe disinnescato
l’argomento di non essere stato eletto.
E anche oggi, con numeri
molto diversi da quelli previsti, non si può pensare a un cammino da qui alle
prossime Politiche senza Renzi e il Pd. A partire dalla nuova legge elettorale:
ai grillini e alla Lega ora va bene anche l’Italicum con le eventuali modifiche
che saranno imposte dalla Corte Costituzionale, mentre FI e la minoranza del Pd
vorrebbero un po’ di tempo per varare una legge proporzionale e impedire che
vinca il M5S. Con 400 parlamentari, il Partito Democratico sarà un fulcro di
questa riforma e non mi pare che qualcuno abbia chiesto a Renzi di dimettersi anche
dalla segreteria del partito.
P.S.:
Caro Matteo, non sono contento delle tue dimissioni anche se ho votato “no”. Principalmente
perché oggi festeggiano i Grillo, i Salvini, i Brunetta, insomma tutti quelli
che non vorrei mai alla guida del nostro Paese. Ma in tutta onestà, questa
storia che la sinistra fa le porcate e poi i suoi elettori se le devono
ingoiare perché altrimenti vince la destra ha un po’ rotto i coglioni. Con
immutata stima, eh.
Marco Travaglio spara c...ate (dagospia.com) |
P.P.S.:
In realtà, questo voto senza vincitori ha un altro perdente, uno cui è andata
ancora peggio che a Renzi. Ed è il sistema dell’informazione italiana. Perché è
vero che i principali quotidiani, senza avere le palle di fare un endorsement esplicito, hanno fatto una campagna senza
quartiere per il “sì” e per il padrone. Ma vedere ieri notte Marco Travaglio
che festeggiava e pontificava mi ha fatto salire l’ittero perché proprio lui
non ha niente di che rallegrarsi: al confronto del suo giornale – che, agli
esordi, valeva persino la pena leggere – in questa campagna referendaria Libero sembrava il Washington Post. L’ultimo orrore del Fatto Quotidiano è di appena un paio di giorni fa: un titolo
sul genere “Chi diventa senatore con il sì” corredato da una foto con
otto-dieci politici dei quali – giuro! – oggi come oggi potrebbe diventare
senatore forse solo uno, l’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi. Gli altri?
Gente privata persino dei diritti politici come Totò Cuffaro, gente condannata
e quindi incandidabile come Formigoni, presidenti di Regione (e non
consiglieri) come De Luca… Una bufala inaccettabile, perché da un politico puoi anche comprendere - magari non accettare - che aggiusti la realtà, ma da un giornale no. Mai. Insomma, per un attimo ho pensato addirittura di
votare Sì. Poi però mi sono svegliato.
Commenti
Posta un commento