Domenica il referendum, istruzioni per l'uso
(Dalla "Gazzetta del Sud" di oggi)
Max Passalacqua
Il 4 dicembre l’Italia andrà alle urne per il referendum confermativo della riforma costituzionale (approvata dal Parlamento ad aprile) in un clima di polemiche e di contrapposizione nel quale si fatica a discernere il merito della riforma dalle posizioni preconcette legate agli schieramenti, al giudizio sul presidente del Consiglio e alla combinazione dei suoi effetti con quelli della legge elettorale vigente, il cosiddetto “Italicum”, sulla quale il premier Renzi ha dato la disponibilità a modifiche che comunque saranno successive al voto referendario.
cco cosa cambierà nell’ordinamento dello Stato, quello normato dalla Parte seconda della Costituzione (Titoli I, II e III). Dei 47 articoli della Carta sui quali interviene la riforma, quelli che cambiano in modo sostanziale sono 6 (le altre modifiche sono conseguenziali o anche solo lessicali): l’art. 55 sulla composizione del Parlamento, l’art. 57 sul Senato, l’art. 70 sulla funzione legislativa, l’art. 94 sulla fiducia al Governo, l’art. 114 sulle Province e l’art. 117 sulle competenze legislative delle Regioni. Si interviene, dunque, sull’ordinamento dello Stato sia in senso orizzontale (bicameralismo) che verticale (rapporti tra Stato e Regioni).
L’art. 1 della riforma modifica l’art. 55 e sancisce la fine del cosiddetto “bicameralismo perfetto”: non più due Camere con gli stessi poteri ma una sola, quella dei deputati, titolare del rapporto di fiducia con il Governo e un Senato al quale il nuovo art. 57 (art. 2) assegna 100 membri eletti tra i consiglieri regionali (74, in proporzione alla popolazione delle rispettive regioni) e i sindaci (21), più 5 membri di nomina presidenziale che non saranno più a vita, ma con durata settennale mentre i membri ordinari restano in carica finché non finisce il rispettivo mandato elettivo. Il presidente della Camera diventa la seconda carica dello Stato al posto del presidente del Senato. Introdotto l’obbligo di partecipare alle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni da parte dei membri di entrambi i rami del Parlamento (art. 64).
L’art. 7 riforma l’art. 66 della Costituzione. Alla formulazione precedente («Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità») viene aggiunto un secondo comma che recita: «Il Senato della Repubblica prende atto della cessazione dalla carica elettiva regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore». I nuovi senatori, dunque, godranno dell’immunità parlamentare come i deputati. Il numero dei titolari dell’immunità parlamentare diminuisce perché, dall’inizio della prossima legislatura, non ci saranno più i 315 senatori “tradizionali”.
Per quanto riguarda invece la diminuzione dei costi della politica, l’art. 69 prevede che solo i membri della Camera abbiano diritto all’indennità, ma spetterà al regolamento interno stabilire la concessione di diaria, gettoni e rimborsi spese.
I compiti del Senato riguardano la materia dell’autonomia, il raccordo tra lo Stato e le Regioni, l’attuazione delle politiche comunitarie, e – insieme alla Camera dei deputati – le leggi di revisione costituzionale; i suoi componenti non rappresentano più la Nazione ma continuano a esercitare la propria carica senza vincolo di mandato (art. 67 Cost. come modificato dall’art. 8 della Boschi).
Il “nuovo” art. 70 riserva inoltre al Senato la facoltà, e non l’obbligatorietà, di esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera tranne che per le leggi attuative nelle materie di competenza delle Regioni, anche se le eventuali modifiche possono non essere accolte dalla Camera. Nuova è la possibilità per il Senato di richiedere l’esame di una legge da parte della Camera, che ha 6 mesi per provvedere. Le ridotte prerogative del Senato si inseriscono in un quadro di concentrazione dell’iniziativa legislativa in capo alla Camera dei deputati: meno competenze alle Regioni, abolizione del Cnel, “voto a data certa” e numero di firme triplicato per le leggi di iniziativa popolare. È l’art. 11 della riforma, che modifica l’art. 71 della Carta, a elevare a 150 mila il minimo di firme necessarie per queste ultime, mentre l’art. 15 sul referendum stabilisce una nuova tipologia di quorum: se la proposta referendaria (sempre valida purché corredata da almeno 500 mila firme) è sottoscritta da 800 mila elettori, l’esito sarà valido a patto che voti non più il 50% più uno degli aventi diritto ma la maggioranza assoluta dei votanti alle ultime Politiche. Per fare un esempio, l’affluenza alle consultazioni del 2013 (la più bassa di sempre) è stata di poco superiore al 75%; il quorum equivarrebbe dunque al 37-38% degli aventi diritto, una percentuale che dal 1995 a oggi è stata raggiunta solo nel 2011 (55% sul legittimo impedimento) e nel 1999 quando il quesito sull’abolizione della quota proporzionale sfiorò la metà più uno fermandosi al 49,6%. Nelle altre consultazioni, dal 31% del 2016 sulle trivelle al 24% del 2009 (legge elettorale), la soglia è rimasta lontana.
Centrale anche l’innovazione portata dai “nuovi” articoli 64 secondo comma, 72 e 77 della Costituzione. Innanzitutto, «i regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni»: da una parte c’è, finalmente, il riconoscimento ufficiale del ruolo dell’opposizione parlamentare in Costituzione con la previsione di norme di garanzie della minoranza; dall’altra, per il fatto che lo statuto delle opposizioni è contenuto nel regolamento e che quest’ultimo è approvato dalla maggioranza assoluta della Camera, si creerà una situazione nella quale la coalizione maggioritaria (alla quale oggi l’Italicum assegna il 54% dei seggi) sarà in grado di decidere da sola le prerogative e i limiti dell’opposizione, ad esempio regolamentando l’ostruzionismo parlamentare.
L’art. 72 consente al Governo di ottenere che la Camera ponga all’ordine del giorno entro 5 giorni un disegno di legge «indicato come essenziale per l’attuazione del programma», purché non riguardi il bilancio oppure amnistia e indulto, e che lo esiti entro 70 (il cosiddetto “voto a data certa”). L’art. 77 consente al Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza (tranne che in materia costituzionale, elettorale, di bilancio o per la reiterazione di decreti non convertiti in legge) e che per la conversione si riunisca la sola Camera dei deputati.
Il Capo II della riforma contiene le modifiche al Titolo II della Parte II della Carta, in particolare gli articoli 83, 85, 86, 87 e 88 che normano l’elezione e le prerogative del presidente della Repubblica. Scompaiono dall’elettorato attivo per l’elezione del Capo dello Stato i delegati delle Regioni visto che, a rigore, l’intero Senato è in rappresentanza delle autonomie (art. 21 della riforma).
Cambia anche il quorum: resta la maggioranza dei due terzi per i primi tre scrutini ma dal quarto non basta più la maggioranza assoluta, sostituita dai tre quinti. Soglia che si mantiene anche dal settimo scrutinio in poi, riferita però ai votanti e non agli aventi diritto. Con queste modifiche l’elezione del presidente della Repubblica rende necessaria una convergenza più ampia. Gli altri articoli riformati riguardano le prerogative del capo dello Stato, compresa quella di sciogliere le Camere, riferite ormai alla sola Camera dei deputati (eccetto la ratifica dei trattati di appartenenza all’Unione europea, «previa l’autorizzazione di entrambe le Camere»). La seduta comune delle due Camere per l’elezione del Capo dello Stato (art. 22) è presieduta non più dal presidente del Senato, ma da quello della Camera a meno che quest’ultimo stia sostituendo il presidente della Repubblica dimissionario.
Il Titolo III della Parte II della Costituzione riguarda la fiducia al Governo (art. 94), che con l’art. 25 della riforma verrà accordata e revocata solo dalla Camera e non più anche dal Senato, così come sarà la sola Camera ad autorizzare che il presidente del Consiglio e i ministri possano essere perseguiti per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (art. 96).L’art. 27 della riforma introduce nell’organizzazione dei pubblici uffici, accanto ai criteri del buon andamento e dell’imparzialità già presenti nell’art. 97 della Carta, quello della trasparenza. Un concetto già ampiamente sviluppato dalla legge 241/1990 (la cosiddetta “Bassanini”) sul procedimento amministrativo fino alla Legge 15/2005.
La soppressione dell’art. 99 comporta la scomparsa del CNEL, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
Il Titolo V della Costituzione è la parte della nostra Carta già oggetto delle più profonde revisioni, iniziate negli anni Settanta e culminate nella Legge costituzionale n. 3 del 2001 che recepisce, tra l’altro, l’istituzione delle Città Metropolitane che ora sostituiranno le Province, abolite dall’art. 29 (che modifica l’art. 114 Cost.). Tredici delle 14 Città Metropolitane che sono state create (Roma Capitale, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna, Genova, Venezia, Messina e Reggio Calabria) coincidono con il territorio provinciale; l’unica eccezione è Cagliari, pensata in termini di Area metropolitana e che infatti raggruppa appena 14 Comuni.
Ciascuno di questi Enti ha un sindaco (di solito il primo cittadino del capoluogo), un Consiglio metropolitano formato con elezioni di secondo livello e una Conferenza metropolitana della quale fanno parte tutti i sindaci dei Comuni.
Dove non è stata prevista l’istituzione di una Città Metropolitana le competenze delle Province passano alle Regioni; resta il “nodo” delle quasi 200 Comunità montane ancora in vigore, che non sono enti costituzionalmente garantiti.
La riforma degli articoli successivi, quelli dal 116 al 120, subordina (art. 30 della Boschi) la possibilità delle Regioni a statuto ordinario di legiferare sulle materie del lavoro, della formazione, della giustizia di pace, del commercio con l’estero e del governo del territorio al fatto che «la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio». Vale a dire che, se la Regione non è in pareggio di bilancio, non ha la potestà di legiferare su queste materie. Peraltro, l’art. 117 amplia la legislazione esclusiva dello Stato nei confronti delle Regioni: alle materie già previste vengono aggiunte (lettere a-z) le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro, sull’ordinamento scolastico, sull’istruzione universitaria e sulla ricerca, sulla previdenza sociale, su Comuni e Città Metropolitane, sul commercio con l’estero, su beni culturali, sport e turismo, ed ex novo su «ordinamento delle professioni e della comunicazione»; governo del territorio e protezione civile; energia; infrastrutture e reti di trasporto.
Accanto al requisito della trasparenza per la Pubblica Amministrazione, l’art. 120 ne stabilisce un altro: «Le risorse derivanti dagli enti locali vengono usate per le funzioni pubbliche degli stessi sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza». E lo Stato ha anche il potere sostitutivo delle Regioni in caso di inadempimento o pericolo grave «e stabilisce i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente» dopo l’acquisizione di un parere motivato del Senato.
Viene stabilito il limite agli emolumenti degli amministratori regionali, pari a quello dei sindaci (art. 35) e soppressa la commissione parlamentare per le questioni regionali (art. 36).
L’ultimo aspetto della Carta a essere riformato è la Corte Costituzionale, oggetto dell’articolo 135: in particolare, l’età per la nomina è abbassata da 40 anni ai 25 necessari per l’elettorato passivo alla Camera; inoltre, i 5 giudici di nomina parlamentare non vengono più eletti in seduta comune, ma 3 dalla Camera dei deputati e 2 dal Senato. La ratio è di assicurare la presenza di giudici costituzionali espressione delle autonomie.
Max Passalacqua
Il 4 dicembre l’Italia andrà alle urne per il referendum confermativo della riforma costituzionale (approvata dal Parlamento ad aprile) in un clima di polemiche e di contrapposizione nel quale si fatica a discernere il merito della riforma dalle posizioni preconcette legate agli schieramenti, al giudizio sul presidente del Consiglio e alla combinazione dei suoi effetti con quelli della legge elettorale vigente, il cosiddetto “Italicum”, sulla quale il premier Renzi ha dato la disponibilità a modifiche che comunque saranno successive al voto referendario.
cco cosa cambierà nell’ordinamento dello Stato, quello normato dalla Parte seconda della Costituzione (Titoli I, II e III). Dei 47 articoli della Carta sui quali interviene la riforma, quelli che cambiano in modo sostanziale sono 6 (le altre modifiche sono conseguenziali o anche solo lessicali): l’art. 55 sulla composizione del Parlamento, l’art. 57 sul Senato, l’art. 70 sulla funzione legislativa, l’art. 94 sulla fiducia al Governo, l’art. 114 sulle Province e l’art. 117 sulle competenze legislative delle Regioni. Si interviene, dunque, sull’ordinamento dello Stato sia in senso orizzontale (bicameralismo) che verticale (rapporti tra Stato e Regioni).
L’art. 1 della riforma modifica l’art. 55 e sancisce la fine del cosiddetto “bicameralismo perfetto”: non più due Camere con gli stessi poteri ma una sola, quella dei deputati, titolare del rapporto di fiducia con il Governo e un Senato al quale il nuovo art. 57 (art. 2) assegna 100 membri eletti tra i consiglieri regionali (74, in proporzione alla popolazione delle rispettive regioni) e i sindaci (21), più 5 membri di nomina presidenziale che non saranno più a vita, ma con durata settennale mentre i membri ordinari restano in carica finché non finisce il rispettivo mandato elettivo. Il presidente della Camera diventa la seconda carica dello Stato al posto del presidente del Senato. Introdotto l’obbligo di partecipare alle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni da parte dei membri di entrambi i rami del Parlamento (art. 64).
L’art. 7 riforma l’art. 66 della Costituzione. Alla formulazione precedente («Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità») viene aggiunto un secondo comma che recita: «Il Senato della Repubblica prende atto della cessazione dalla carica elettiva regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore». I nuovi senatori, dunque, godranno dell’immunità parlamentare come i deputati. Il numero dei titolari dell’immunità parlamentare diminuisce perché, dall’inizio della prossima legislatura, non ci saranno più i 315 senatori “tradizionali”.
Per quanto riguarda invece la diminuzione dei costi della politica, l’art. 69 prevede che solo i membri della Camera abbiano diritto all’indennità, ma spetterà al regolamento interno stabilire la concessione di diaria, gettoni e rimborsi spese.
I compiti del Senato riguardano la materia dell’autonomia, il raccordo tra lo Stato e le Regioni, l’attuazione delle politiche comunitarie, e – insieme alla Camera dei deputati – le leggi di revisione costituzionale; i suoi componenti non rappresentano più la Nazione ma continuano a esercitare la propria carica senza vincolo di mandato (art. 67 Cost. come modificato dall’art. 8 della Boschi).
Il “nuovo” art. 70 riserva inoltre al Senato la facoltà, e non l’obbligatorietà, di esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera tranne che per le leggi attuative nelle materie di competenza delle Regioni, anche se le eventuali modifiche possono non essere accolte dalla Camera. Nuova è la possibilità per il Senato di richiedere l’esame di una legge da parte della Camera, che ha 6 mesi per provvedere. Le ridotte prerogative del Senato si inseriscono in un quadro di concentrazione dell’iniziativa legislativa in capo alla Camera dei deputati: meno competenze alle Regioni, abolizione del Cnel, “voto a data certa” e numero di firme triplicato per le leggi di iniziativa popolare. È l’art. 11 della riforma, che modifica l’art. 71 della Carta, a elevare a 150 mila il minimo di firme necessarie per queste ultime, mentre l’art. 15 sul referendum stabilisce una nuova tipologia di quorum: se la proposta referendaria (sempre valida purché corredata da almeno 500 mila firme) è sottoscritta da 800 mila elettori, l’esito sarà valido a patto che voti non più il 50% più uno degli aventi diritto ma la maggioranza assoluta dei votanti alle ultime Politiche. Per fare un esempio, l’affluenza alle consultazioni del 2013 (la più bassa di sempre) è stata di poco superiore al 75%; il quorum equivarrebbe dunque al 37-38% degli aventi diritto, una percentuale che dal 1995 a oggi è stata raggiunta solo nel 2011 (55% sul legittimo impedimento) e nel 1999 quando il quesito sull’abolizione della quota proporzionale sfiorò la metà più uno fermandosi al 49,6%. Nelle altre consultazioni, dal 31% del 2016 sulle trivelle al 24% del 2009 (legge elettorale), la soglia è rimasta lontana.
Centrale anche l’innovazione portata dai “nuovi” articoli 64 secondo comma, 72 e 77 della Costituzione. Innanzitutto, «i regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni»: da una parte c’è, finalmente, il riconoscimento ufficiale del ruolo dell’opposizione parlamentare in Costituzione con la previsione di norme di garanzie della minoranza; dall’altra, per il fatto che lo statuto delle opposizioni è contenuto nel regolamento e che quest’ultimo è approvato dalla maggioranza assoluta della Camera, si creerà una situazione nella quale la coalizione maggioritaria (alla quale oggi l’Italicum assegna il 54% dei seggi) sarà in grado di decidere da sola le prerogative e i limiti dell’opposizione, ad esempio regolamentando l’ostruzionismo parlamentare.
L’art. 72 consente al Governo di ottenere che la Camera ponga all’ordine del giorno entro 5 giorni un disegno di legge «indicato come essenziale per l’attuazione del programma», purché non riguardi il bilancio oppure amnistia e indulto, e che lo esiti entro 70 (il cosiddetto “voto a data certa”). L’art. 77 consente al Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza (tranne che in materia costituzionale, elettorale, di bilancio o per la reiterazione di decreti non convertiti in legge) e che per la conversione si riunisca la sola Camera dei deputati.
Il Capo II della riforma contiene le modifiche al Titolo II della Parte II della Carta, in particolare gli articoli 83, 85, 86, 87 e 88 che normano l’elezione e le prerogative del presidente della Repubblica. Scompaiono dall’elettorato attivo per l’elezione del Capo dello Stato i delegati delle Regioni visto che, a rigore, l’intero Senato è in rappresentanza delle autonomie (art. 21 della riforma).
Cambia anche il quorum: resta la maggioranza dei due terzi per i primi tre scrutini ma dal quarto non basta più la maggioranza assoluta, sostituita dai tre quinti. Soglia che si mantiene anche dal settimo scrutinio in poi, riferita però ai votanti e non agli aventi diritto. Con queste modifiche l’elezione del presidente della Repubblica rende necessaria una convergenza più ampia. Gli altri articoli riformati riguardano le prerogative del capo dello Stato, compresa quella di sciogliere le Camere, riferite ormai alla sola Camera dei deputati (eccetto la ratifica dei trattati di appartenenza all’Unione europea, «previa l’autorizzazione di entrambe le Camere»). La seduta comune delle due Camere per l’elezione del Capo dello Stato (art. 22) è presieduta non più dal presidente del Senato, ma da quello della Camera a meno che quest’ultimo stia sostituendo il presidente della Repubblica dimissionario.
Il Titolo III della Parte II della Costituzione riguarda la fiducia al Governo (art. 94), che con l’art. 25 della riforma verrà accordata e revocata solo dalla Camera e non più anche dal Senato, così come sarà la sola Camera ad autorizzare che il presidente del Consiglio e i ministri possano essere perseguiti per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (art. 96).L’art. 27 della riforma introduce nell’organizzazione dei pubblici uffici, accanto ai criteri del buon andamento e dell’imparzialità già presenti nell’art. 97 della Carta, quello della trasparenza. Un concetto già ampiamente sviluppato dalla legge 241/1990 (la cosiddetta “Bassanini”) sul procedimento amministrativo fino alla Legge 15/2005.
La soppressione dell’art. 99 comporta la scomparsa del CNEL, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
Il Titolo V della Costituzione è la parte della nostra Carta già oggetto delle più profonde revisioni, iniziate negli anni Settanta e culminate nella Legge costituzionale n. 3 del 2001 che recepisce, tra l’altro, l’istituzione delle Città Metropolitane che ora sostituiranno le Province, abolite dall’art. 29 (che modifica l’art. 114 Cost.). Tredici delle 14 Città Metropolitane che sono state create (Roma Capitale, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna, Genova, Venezia, Messina e Reggio Calabria) coincidono con il territorio provinciale; l’unica eccezione è Cagliari, pensata in termini di Area metropolitana e che infatti raggruppa appena 14 Comuni.
Ciascuno di questi Enti ha un sindaco (di solito il primo cittadino del capoluogo), un Consiglio metropolitano formato con elezioni di secondo livello e una Conferenza metropolitana della quale fanno parte tutti i sindaci dei Comuni.
Dove non è stata prevista l’istituzione di una Città Metropolitana le competenze delle Province passano alle Regioni; resta il “nodo” delle quasi 200 Comunità montane ancora in vigore, che non sono enti costituzionalmente garantiti.
La riforma degli articoli successivi, quelli dal 116 al 120, subordina (art. 30 della Boschi) la possibilità delle Regioni a statuto ordinario di legiferare sulle materie del lavoro, della formazione, della giustizia di pace, del commercio con l’estero e del governo del territorio al fatto che «la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio». Vale a dire che, se la Regione non è in pareggio di bilancio, non ha la potestà di legiferare su queste materie. Peraltro, l’art. 117 amplia la legislazione esclusiva dello Stato nei confronti delle Regioni: alle materie già previste vengono aggiunte (lettere a-z) le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro, sull’ordinamento scolastico, sull’istruzione universitaria e sulla ricerca, sulla previdenza sociale, su Comuni e Città Metropolitane, sul commercio con l’estero, su beni culturali, sport e turismo, ed ex novo su «ordinamento delle professioni e della comunicazione»; governo del territorio e protezione civile; energia; infrastrutture e reti di trasporto.
Accanto al requisito della trasparenza per la Pubblica Amministrazione, l’art. 120 ne stabilisce un altro: «Le risorse derivanti dagli enti locali vengono usate per le funzioni pubbliche degli stessi sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza». E lo Stato ha anche il potere sostitutivo delle Regioni in caso di inadempimento o pericolo grave «e stabilisce i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente» dopo l’acquisizione di un parere motivato del Senato.
Viene stabilito il limite agli emolumenti degli amministratori regionali, pari a quello dei sindaci (art. 35) e soppressa la commissione parlamentare per le questioni regionali (art. 36).
L’ultimo aspetto della Carta a essere riformato è la Corte Costituzionale, oggetto dell’articolo 135: in particolare, l’età per la nomina è abbassata da 40 anni ai 25 necessari per l’elettorato passivo alla Camera; inoltre, i 5 giudici di nomina parlamentare non vengono più eletti in seduta comune, ma 3 dalla Camera dei deputati e 2 dal Senato. La ratio è di assicurare la presenza di giudici costituzionali espressione delle autonomie.
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