lunedì 28 novembre 2016

Nba: mese 1, anno 1 dell'era post Kobe

Un mese di Nba, anno primo dell’era post Kobe. Presto, ovviamente, per i primi bilanci; ma non per le prime impressioni su una stagione che si annuncia molto particolare. E dal momento che i pronostici de IlMaxFactor ormai vengono usati anche in America al posto dei sondaggi, per questa volta mi limito all’analisi...

Gallinari e Belinelli uno contro uno (sportmediaset.it)
A partire dalla lotta per il titolo, con i campioni dei Cleveland Cavs di un LeBron James ormai onnipotente sfidati da un “dream team” come i Golden State Warriors versione Kevin Durant, e non solo (visti i record di San Antonio e Clippers?). Ma anche con due pretendenti al titolo di Mvp, Russell Westbrook e James Harden, abbastanza atipici e capaci finora di sfornare cifre praticamente mai viste e con i Los Angeles Lakers che dopo un mese hanno già ottenuto più di metà delle vittorie con le quali avevano chiuso lo scorso, imbarazzante campionato. E infine, con i due italiani “superstiti”, Marco Belinelli e Danilo Gallinari, protagonisti a Charlotte e Denver.

Dagli Splash Brothers alla Splash Family: 75 punti di media in tre
Al momento in cui scrivo, il miglior record della Lega appartiene ai fantastici Golden State Warriors (15-2), in striscia vincente da 11 gare e che, dopo lo scioccante -29 in casa nell’opener contro gli Spurs, hanno perso solo allo Staples contro i Lakers. Necessita ancora qualche aggiustamento specie per trovare tiri e spazi a Klay Thompson, che comunque insieme a Curry e Durant forma un trio da 75 punti di media (!). KD si è invece inserito nel sistema di coach Steve Kerr da superstar vera: 27.2 punti con il 57% dal campo (e quasi il 45% da tre), 8 rimbalzi e quasi 5 assist. Curry, così, non ha più bisogno di metterne 30 a sera (ma sono 26.7, non pensate male) anche se dopo il tragico 0/10 dall’arco a L.A. si è preso il record di sempre per canestri da tre nella stessa partita con 13. Logicamente, meno rutilante in attacco Draymond Green che però sta calando le sue carte per il titolo di difensore dell’anno (10.5 punti ma 9 rimbalzi, quasi 7 assist e 2.2 recuperi). A Ovest, Golden State è inseguita da San Antonio (14-3, 9 vittorie in fila) dove tuttavia le numerose escursioni di Kawhi Leonard sopra i trenta (24.8 di media) sembrano più un campanello d’allarme che un segnale di forza, e dai Clippers (14-4 ma reduci da due sconfitte) che per me restano sempre a un’ala piccola di distanza dal competere fino in fondo per l’anello.

Anche questi tre di Cleveland non scherzano...
A Est, invece, Cleveland veleggia a forza di triple doppie del suo Re (23.6 punti, 8.4 rimbalzi, 9.7 assist), così in controllo da segnare persino meno di Kyrie Irving (24.8); anche qui abbiamo un trio “stellare” da oltre 70 punti a partita grazie all’annata di Kevin Love (22.3 punti e 10.7 rimbalzi con il 43% da tre, addirittura 34 nel solo primo quarto della gara contro Portland). A differenza dell’altra Conference, qui però di rivali non se ne vedono – sai che novità... – perché le varie Toronto, Chicago, Boston e Atlanta annaspano. Menzione d’onore per Marco Belinelli, che nei comunque positivi Charlotte Hornets (9-7) va in doppia cifra di media a quota 10.4 punti e con il 48.4% è il secondo miglior tiratore da tre punti della Nba, a un’incollatura da Channing Frye. L’altro azzurro, Danilo Gallinari, si conferma leader dei Denver Nuggets che sperano di agganciare il treno playoff (7-10): per il Gallo 16.8 punti, 4.6 rimbalzi e almeno un paio di schiacciate insospettatibili per un giocatore la cui carriera è stata tormentata da così tanti infortuni.

Da compagni a rivali nella corsa all'Mvp: Westbrook e Harden
(bleacherreport.com)
Se vogliamo dare credito nella corsa all’Mvp a qualcuno che non giochi a Cleveland o Golden State, i nomi sono essenzialmente due: Russell Westbrook e James Harden. Il primo (31.2 punti, 9.9 rimbalzi e 11.1 assist, non avete letto male) ha definitivamente preso in mano OKC dopo l’addio di Durant e sta mantenendo in quota playoff una squadra complessivamente mediocre così come Houston, dove però coach Mike D’Antoni ci ha messo del suo “trasformando” Harden in un playmaker atipico sì, ma da 28.9 punti e addirittura 12.2 assist, soprattutto con appena 18.7 tiri a partita che potrebbe essere il suo minimo da quando non aveva ancora la Barba (Westbrook ne scaglia 24 per allacciata di scarpe). Honorable mention per Anthony Davis di New Orleans (31.6 punti, 10.9 rimbalzi), DeMar DeRozan di Toronto (30.2 con il 49% dal campo) e Damian Lillard di Portland (28.2 punti, 4.9 rimbalzi, 5.3 assist), anche se un occhio a Kawhi va dato sempre.

D'Angelo Russell e Nick Young, coppia di guardie titolare dei Lakers
E infine, esauriti tutti i pretesti, il vero motivo di questo post: la stagione dei miei Los Angeles Lakers che oggi, con 9 vittorie e altrettante sconfitte, farebbero i playoff (che ovviamente non faranno, anche perché non è l’obiettivo già quest’anno). Il lavoro di coach Luke Walton si sta vedendo molto più e molto prima del previsto, se è vero che al netto dell’infortunio di D’Angelo Russell (oltre 16 punti e quasi 5 assist di media, ma già 5 partite saltate) e del contributo sotto il par di Luol Deng (6.5 punti, 29% da tre) ha subito trovato una quadratura tecnica e rotazioni efficaci con in quintetto “Swaggy P”, al secolo Nick Young che l’anno scorso sembrava un giocatore ampiamente finito e invece segna oltre 14 punti di media con il 42% da tre e il 94% ai liberi, e dalla panchina una coppia di guardie in grado di allungare su 48’ la pericolosità offensiva con Lou Williams (16.6 a partita con il 40% da tre) e Jordan Clarkson (15.4). In un progetto tecnico così simile, fatte le dovute proporzioni, a quello dei Warriors si segnala un finalmente brillante Julius Randle che studia da... Draymond Green (13.3 punti con il 53% da due, 8.1 rimbalzi e quasi 4 assist).


Ripeto: non faranno i playoff, ma i Lakers sono tornati sulla mappa e lo hanno fatto comunque con una versione dello showtime: ritmi alti, difesa – difesa! – e contropiede finché ce n’è, capacità di piazzare break importanti, il tutto con un gruppo il cui core è giovanissimo. E qualunque tifoso gialloviola non può che essere felice anche perché, con queste premesse, nella prossima off-season incassare il “sì” di qualche free agent di livello medio-alto non sarà difficile come quest’estate, quando il gm Mitch Kupchak non ha trovato di meglio che elargire quadriennali da complessivamente 34 milioni a stagione all’accoppiata Deng-Mozgov...

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