NBA: cosa serve ai Lakers? Una DeLorean

L'equipaggio della DeLorean: Ingram, Russell e Randle (lakersworld.com)
La sofferenza non è finita, anzi. Ricomincia, e non si sa quando finirà. Ho fatto le 4 del mattino per vedere la prima partita stagionale in tv dei Los Angeles Lakers nell’era post Bryant, in casa degli Indiana Pacers. E poi ho avuto gli incubi.

I contratti di Deng e Mozgov "chiamano" 34 milioni
Oddio, non è che mi aspettassi chissà cosa: la mia squadra del cuore ha chiuso un ciclo con la sua peggior stagione di sempre (solo 17 vittorie a fronte di 65 sconfitte nel Kobe Farewell Tour) e ora deve ricostruire su basi di grande talento diffuso, ma anche di grandi dubbi sulla reale consistenza delle sue future stelle D’Angelo Russell, Julius Randle e Brandon Ingram, i primi due al secondo anno (Randle ha saltato quello da rookie per una frattura alla mano) e l’ultimo al debutto assoluto. Il resto è più o meno supporting cast anche se un paio di free agent, in particolare l’ala piccola Luol Deng e il centro Timofey Mozgov, sono arrivati al prezzo di contratti salatissimi che paiono destinati a limitare i margini di manovra del general manager Mitch Kupchak. Colpa sua, sia chiaro.

Paradossalmente la migliore garanzia di crescita, in prospettiva, del roster gialloviola è un allenatore esordiente. Anche se Luke Walton, che non ha resistito al richiamo di Hollywood dopo essere stato per otto anni scudiero di Bryant sul parquet, è stato il capo allenatore dei Golden State Warriors per metà abbondante della scorsa stagione, in concomitanza con l’operazione alla schiena di coach Steve Kerr, e ha chiuso con un bilancio addirittura migliore di quello del… titolare: 39 vittorie e appena 4 sconfitte (34-5 con Kerr in panchina). Jacksoniano – nel senso di seguace di Phil Jackson – di (non) stretta osservanza, sarà probabilmente il portabandiera di un progetto a medio-lungo termine che dovrà riportare i Lakers ai playoff, ancora una volta nel segno dello showtime. Certo, l’obiettivo è lontano ma quantomeno, rispetto alla fallimentare gestione di Byron Scott, ha dalla sua un’idea di gioco molto precisa da calare nella realtà di questo roster pieno di “buchi” ma con margini di miglioramento infiniti.

Il gm Mitch Kupchak accoglie coach Luke Walton
Se l’idea è replicare il sistema di Golden State, però, Walton deve tenere presenti alcune differenze non di poco conto. In attacco e soprattutto in difesa. Partiamo dalla metà campo offensiva: è vero che per correre devi prima prendere i rimbalzi e nella Baia, in linea di massima, questo faceva Andrew Bogut e questo farà Zaza Pachulia, ma per potersi permettere di giocare con due lunghi “veri” come Mozgov e Randle quest’ultimo dovrà essere capace di fare il… Draymond Green, ovvero acquisire pericolosità non solo spalle a canestro o in avvicinamento ma comunque nei pressi del’area pitturata ma anche dalla media e dall’arco. E non è certamente la sua dimensione tecnica attuale. L’alternativa? Beh, lo scorso anno a Miami, con Chris Bosh e Hassan Whiteside fuori, Luol Deng giocò buona parte della stagione da ala forte dando un importante contributo al piazzamento playoff degli Heat: forse un quintetto con lui e Randle è troppo leggero, ma consentirebbe a Walton di allargare il campo per le penetrazioni e gli eventuali scarichi di Russell, Clarkson e Lou Williams. Poi, certo, pensare di avere sul perimetro Steph Curry e Klay Thompson sarebbe una follia: la principale lacuna dei Lakers è la mancanza di un tiratore da tre punti veramente affidabile, tanto che finora Walton ha provato in quintetto Nick Young al posto di Jordan Clarkson (ma anche “Swaggy P” è tutt’altro che affidabile, e in tutti i sensi). E, sempre in termini di attacco, a parte Randle non ci sono lunghi produttivi.

Ma se in attacco si può comunque lavorare sulla base di un talento non indifferente – e di fatto non abbiamo ancora visto Brandon Ingram, seconda scelta assoluta da Duke – è la difesa il vero “buco nero” dei nuovi Lakers. Soprattutto nel quintetto base, perché dalla panchina i vari Larry Nance jr. e Tarik Black possono dare un buon contributo e lo hanno dimostrato proprio nella sconfitta in volata alla Bankers Life Fieldhouse contro i Pacers: andati sotto nel primo quarto con i titolari e sprofondati anche a -15 nel primo tempo, i Lakers hanno infatti rimontato fino a un effimero vantaggio con le seconde linee sul parquet e proprio con la difesa, oltre che con le triple di Williams, per poi pagare l’inesperienza e la scarsa lucidità nel finale. E l’impressione è che le due future “stelle” gialloviola pecchino più nell’approccio che non nei mezzi fisici o tecnici per difendere come si deve. Meglio che imparino presto, altrimenti la risalita sarà lunga.


Kobe, ci presti la DeLorean?
In definitiva, valutando il “combinato disposto” della qualità del roster e del salary cap (per il prossimo anno ci sono già 80 milioni di stipendi a libro paga visto che diventeranno free agent solo Calderon, Metta World Peace e altri panchinari), per vedere i Lakers di nuovo competitivi occorrerà probabilmente aspettare l’estate 2018 quando andranno in scadenza anche Nick Young, “Sweet Lou” Williams (che avrà già  32 anni) e Tarik Black e ci sarà la possibilità di operare sul mercato dei free agent. Ecco, visto che siamo a Hollywood e che abbiamo di recente celebrato il trentennale di Ritorno al Futuro, i tifosi losangelini avrebbero proprio bisogno di una DeLorean per “saltare” un paio di stagioni che si annunciano avare di soddisfazioni. Ma le 4 del mattino continueremo a farle, in attesa di un nuovo Showtime.

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