martedì 20 settembre 2016

Politica: se vince il "no". Ecco perché a Renzi conviene dimettersi

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi
"S'i' fossi foco, arderei lo mondo". E' vero che il sonetto di Cecco Angiolieri non è esattamente il manifesto di un uomo di Stato, però nei giorni scorsi mi risuonava letteralmente in testa (sfido, con tutto quello spazio...) a proposito dell'esito del prossimo referendum costituzionale e delle possibili conseguenze del voto.

Il motivo? Un errore strategico, secondo me enorme, che il presidente del Consiglio sta compiendo a questo proposito. Che rimonta all'annuncio - peraltro in contraddizione con uno precedente - sulle conseguenze di un'eventuale vittoria del "no" sugli equilibri di governo. In sostanza, Renzi non si dimetterà anche se dovesse perdere la consultazione sulla riforma di 39 articoli della Costituzione.

E sbaglia.

La protesta degli insegnanti contro la Legge 107
E sì, perché "s'i' fossi Renzi" farei esattamente il contrario: non solo mi dimetterei in caso di (probabile) vittoria del "no", ma anche con lo scenario opposto. In modo da avere praticamente la certezza di vincere le elezioni nella primavera del 2017, certezza che un anno dopo non potrei avere. Anche con questo Italicum, anche con il tanto temuto ballottaggio che storicamente è un "atout" della sinistra nelle elezioni amministrative ma che al Pd, non essendo più un partito di sinistra in grado di coinvolgere e mobilitare gli elettori, sembra aver voltato le spalle (tanto che dai ranghi del partito di maggioranza relativa aumentano le voci favorevoli a una sua eliminazione). Senza tralasciare il peso elettorale degli insegnanti, categoria che è tradizionalmente un importante bacino di voti per la sinistra e che pare intenzionata a boicottarlo in massa.

Andiamo con ordine. I sondaggi delle ultime settimane - presi ovviamente con le pinze d'ordinanza - riflettono, in maniera parziale ma con un trend che si va consolidando, le difficoltà enormi di quello che resta il principale avversario del Partito Democratico: il Movimento 5 Stelle. Archiviato il "sorpasso" dei mesi scorsi, i grillini pagano a carissimo prezzo i pasticci che stanno combinando a Roma (peraltro originati almeno in parte da un criterio di selezione della classe dirigente così bislacco da portare Virginia Raggi a guidare la Capitale d'Italia) e la sostanziale convergenza di questa situazione con il pregiudizio - perché lo è, o almeno lo era fino a qualche mese fa - sulla sua natura di movimento esclusivamente di protesta e incapace di proporre e mettere in atto una reale alternativa.

Berlusconi e Bersani nel 2013: vi ricordano qualcosa?
E' di qualche giorno fa una rilevazione di SWG che dà il M5S a quasi 7 punti percentuali dal Pd (24,8% contro 31,5%), peraltro con una fetta di indecisi sempre vicina alla metà della torta che, a rigore, dovrebbe ulteriormente favorire il partito di governo come abbiamo sperimentato già diverse volte sulla... pelle degli "exit poll". E' vero che in caso di ballottaggio la vittoria andrebbe al movimento di Grillo (51% contro 49%), ma oltre a tutti i discorsi già fatti va segnalato anche qui un numero di indecisi a due cifre. Oltre al costume, tutto italico, di... mentire ai sondaggisti: ricordate Berlusconi che il giorno prima del voto sembrava sempre (politicamente) morto? E a proposito del centrodestra: secondo Ixè, oggi sarebbe davanti ai grillini in caso riuscisse a fare una lista unitaria rimpolpata dal pur marginale NCD di Alfano. E tutti i sondaggi concordano sul fatto che il Pd stravincerebbe un eventuale ballottaggio contro questo schieramento.

Anche se Virginia Raggi dovesse riuscire entro qualche mese a risolvere tutti i problemi che ne stanno minando la sindacatura, mi sembra enormemente complicato che i 5 Stelle possano riacquistare rapidamente consensi e consenso: ci vorrebbe un'azione amministrativa straordinaria e soprattutto rivoluzionaria, e - come stiamo amaramente sperimentando qui a Messina - l'impatto tra il "nuovo" e la burocrazia degli enti locali tende a risolversi in un rigetto che, per le ultime riforme della Pubblica Amministrazione, rende difficilissimo incidere su una realtà così complessa e in una situazione talmente delicata innanzitutto dal punto di vista finanziario.
Di Maio, Raggi e Di Battista dopo la vittoria alle Amministrative

Un argomento ovviamente meno valido sul medio-lungo periodo: ecco perché nella primavera del 2018, alla scadenza naturale della legislatura, i grillini potrebbero anche ripresentarsi in grande spolvero (pur se dovranno risolvere l'equivoco del candidato premier, visto come lo stesso Di Maio sta uscendo dalle vicende romane).

D'altra parte, il recente possibilismo di Renzi sulle modifiche all'Italicum pare suggerire che il premier abbia ormai chiari gli scenari futuri: il 42% ottenuto dal Pd alle Europee autorizzava a provare la forzatura sulla percentuale di voti necessaria per evitare il ballottaggio (il 37% di coalizione), quota poi alzata in Parlamento al 40% di lista. Come a dire: se non posso più arrivarci io insieme ai miei alleati, di sicuro non consento al M5S di arrivarci da solo. E così, non è escluso che la tattica del presidente del Consiglio sia di "aggiustare" ulteriormente il sistema elettorale in senso favorevole al Pd, magari utilizzando come pretesto proprio il voto referendario. Ma così facendo si negherà la chance di... vincere facile andando al voto in un momento in cui il movimento di Grillo è in grande difficoltà e il centrodestra non esiste più (o ancora). Auguri, anzi no.

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