NBA: Curry, cartolina dalle Finali
Stephen Curry, Mvp della Nba nelle ultime due stagioni |
E’ andata come doveva.
Con i Golden State Warriors decima squadra nella storia a recuperare e vincere
una serie di playoff dopo essersi trovati sotto 3-1, la prima negli ultimi
dieci anni, e a guadagnarsi in gara-7 nel pandemonio della Oracle Arena il
secondo viaggio consecutivo alle Finali Nba. Finali che, ancora una volta,
Oklahoma City vedrà solo in… cartolina dopo esserci arrivata solo in una
occasione, nel 2012 (sconfitta 4-1 contro i Miami Heat di LeBron James).
Kevin Durant in sala stampa (nytimes.com) |
Partiamo dagli
sconfitti. Ho scritto più volte in passato che i Thunder sembrano la classica
squadra alla quale manca sempre il soldo per fare la lira, e lunedì notte se ne
è vista la conferma. Anche se, in realtà, la sensazione è stata che a OKC sia
mancato forse un centesimo, tutt’al più un nichelino: lo avevano dimostrato in
gara-5, restando in partita fino alla fine nel primo elimination game al quale avevano costretto i campioni in carica, e
lo hanno dimostrato nella “bella” che li ha visti anche a +13 nel secondo
quarto prima di quattro granate consecutive di Klay Thompson (che fino a quel
punto aveva 0/7 dopo i 41 di gara-6). Poi sono emerse le lacune di sempre: una
panchina meno efficace di quella dei Warriors, la mancanza di leadership, specie nei momenti decisivi,
di Kevin Durant e le immancabili stupidaggini di Russell Westbrook che resta il
talento più controverso di questa generazione, capace di dominare fisicamente e
atleticamente qualunque avversario ma anche di non tenere nessuno in difesa e
di buttare via fino a dieci palloni di fila quando conta.
Steven Adams con coach Billy Donovan |
Se OKC è arrivata così
vicino a spazzare via le due squadre col miglior record combinato nella storia
della Lega (in finale di Conference avevano eliminato i San Antonio Spurs) si
deve principalmente all’arrivo in panchina di un genio come Billy Donovan, due
volte campione Ncaa con i Florida Gators e che ha dato alla squadra un’identità
difensiva, una dimensione fisica e atletica, una compattezza mentale che
mancavano e che sono sembrati il complemento perfetto al talento offensivo (che
ai Thunder non fa certo difetto). I progressi di Andre Roberson, eccellente
difensore e rimbalzista, e soprattutto dell’ineffabile Steven Adams hanno
portato OKC a un livello superiore, e anche in gara-7 si è avuta la conferma
che, se fossero andati in finale, i Thunder non avrebbero rubato nulla. Poi, però,
si è scoperto che Steph Curry ce l’avevano gli altri.
A questo punto, con l’ennesimo
tentativo di titolo Nba rimasto corto come un tiro forzato sulla sirena, il
futuro di OKC si carica di una serie di dubbi e incertezze che rimandano
soprattutto alla free agency di KD:
potrebbe rimanere in una situazione tecnica a lui gradita – l’opzione più
probabile – ma in un mercato piccolo e con la sensazione di aver perso il treno
giusto, potrebbe andare a Houston alla corte di Mike D’Antoni oppure a Miami “orfana”
di LeBron, oppure ancora ai Lakers per ricostruire la franchigia più affascinante
della Lega e nel mercato per eccellenza, Hollywood. Dalla sua decisione,
ovviamente, dipenderà il futuro della franchigia.
Signore e signori, gli Splash Brothers: 30 triple nelle ultime due partite della finale di Conference! |
Ed eccoci ai campioni
in carica. Nel momento più difficile del ciclo vincente costruito in questi due
anni da coach Steve Kerr, con due titolari più o meno in crisi (nera quella di
Harrison Barnes, più che altro realizzativa quella di Draymond Green), i
Warriors hanno cambiato assetto votandosi all’esperienza (e alla difesa su
Durant) dell’Mvp delle finali 2015 Andre Iguodala, ma soprattutto si sono messi nelle mani degli
Splash Brothers: nelle ultime due, decisive vittorie Stephen Curry e Klay
Thompson hanno segnato complessivamente 125 punti realizzando 30 (!) canestri
da tre e ridando ritmo a un attacco che era parso evidentemente in difficoltà
per tutta la serie. Il record di sempre per triple in una partita di playoff
centrato da Thompson e il finale rutilante di Curry in gara-6, i due siluri
messi dal numero 30 in faccia a Adams per completare la rimonta nel terzo
quarto (per non parlare dei 15-punti-15 segnati dal nostro nel solo ultimo periodo!) hanno definitivamente spostato gli equilibri di una
sfida, e di una serie, tra le più belle degli ultimi anni.
Irving, Love e James: le tre "stelle" di Cleveland |
E ora, aspettiamoci una
finale Nba altrettanto bella, perché i Cleveland Cavaliers travolti dagli
infortuni e dai Warriors un anno fa sono cresciuti tantissimo, magari difendono
più a sprazzi rispetto ai Thunder ma in attacco hanno una qualità, soprattutto
nelle serate di tiro da tre, persino superiore. A rigore sono loro i favoriti,
dopo aver arrotato Detroit e Atlanta e piegato Toronto alla prima occasione
(pur perdendo le uniche due volte sin qui nella post-season); ma se è vero che
Golden State arriva a queste finali enormemente più stanca e con tanti dubbi in
più rispetto al quintetto di coach Tyronn Lue, il vantaggio del campo e
quell’aura un po’ mistica di “squadra in missione” mi suggeriscono che l’esito
sarà lo stesso del 2015, magari a gara-7, magari con grande sofferenza, magari
sul filo. Perché è vero che i Cavs hanno tre “stelle” di prima grandezza
guidate da un LeBron James molto cresciuto e che ha centrato la sua sesta
finale Nba consecutiva, ma – l’avevo scritto? – Steph Curry ce l’hanno gli
altri.
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