martedì 31 maggio 2016

NBA: Curry, cartolina dalle Finali

Stephen Curry, Mvp della Nba nelle ultime due stagioni
E’ andata come doveva. Con i Golden State Warriors decima squadra nella storia a recuperare e vincere una serie di playoff dopo essersi trovati sotto 3-1, la prima negli ultimi dieci anni, e a guadagnarsi in gara-7 nel pandemonio della Oracle Arena il secondo viaggio consecutivo alle Finali Nba. Finali che, ancora una volta, Oklahoma City vedrà solo in… cartolina dopo esserci arrivata solo in una occasione, nel 2012 (sconfitta 4-1 contro i Miami Heat di LeBron James).

Kevin Durant in sala stampa (nytimes.com)
Partiamo dagli sconfitti. Ho scritto più volte in passato che i Thunder sembrano la classica squadra alla quale manca sempre il soldo per fare la lira, e lunedì notte se ne è vista la conferma. Anche se, in realtà, la sensazione è stata che a OKC sia mancato forse un centesimo, tutt’al più un nichelino: lo avevano dimostrato in gara-5, restando in partita fino alla fine nel primo elimination game al quale avevano costretto i campioni in carica, e lo hanno dimostrato nella “bella” che li ha visti anche a +13 nel secondo quarto prima di quattro granate consecutive di Klay Thompson (che fino a quel punto aveva 0/7 dopo i 41 di gara-6). Poi sono emerse le lacune di sempre: una panchina meno efficace di quella dei Warriors, la mancanza di leadership, specie nei momenti decisivi, di Kevin Durant e le immancabili stupidaggini di Russell Westbrook che resta il talento più controverso di questa generazione, capace di dominare fisicamente e atleticamente qualunque avversario ma anche di non tenere nessuno in difesa e di buttare via fino a dieci palloni di fila quando conta.

Steven Adams con coach Billy Donovan
Se OKC è arrivata così vicino a spazzare via le due squadre col miglior record combinato nella storia della Lega (in finale di Conference avevano eliminato i San Antonio Spurs) si deve principalmente all’arrivo in panchina di un genio come Billy Donovan, due volte campione Ncaa con i Florida Gators e che ha dato alla squadra un’identità difensiva, una dimensione fisica e atletica, una compattezza mentale che mancavano e che sono sembrati il complemento perfetto al talento offensivo (che ai Thunder non fa certo difetto). I progressi di Andre Roberson, eccellente difensore e rimbalzista, e soprattutto dell’ineffabile Steven Adams hanno portato OKC a un livello superiore, e anche in gara-7 si è avuta la conferma che, se fossero andati in finale, i Thunder non avrebbero rubato nulla. Poi, però, si è scoperto che Steph Curry ce l’avevano gli altri.

A questo punto, con l’ennesimo tentativo di titolo Nba rimasto corto come un tiro forzato sulla sirena, il futuro di OKC si carica di una serie di dubbi e incertezze che rimandano soprattutto alla free agency di KD: potrebbe rimanere in una situazione tecnica a lui gradita – l’opzione più probabile – ma in un mercato piccolo e con la sensazione di aver perso il treno giusto, potrebbe andare a Houston alla corte di Mike D’Antoni oppure a Miami “orfana” di LeBron, oppure ancora ai Lakers per ricostruire la franchigia più affascinante della Lega e nel mercato per eccellenza, Hollywood. Dalla sua decisione, ovviamente, dipenderà il futuro della franchigia.

Signore e signori, gli Splash Brothers: 30 triple nelle ultime due partite della finale di Conference!
Ed eccoci ai campioni in carica. Nel momento più difficile del ciclo vincente costruito in questi due anni da coach Steve Kerr, con due titolari più o meno in crisi (nera quella di Harrison Barnes, più che altro realizzativa quella di Draymond Green), i Warriors hanno cambiato assetto votandosi all’esperienza (e alla difesa su Durant) dell’Mvp delle finali 2015 Andre Iguodala,  ma soprattutto si sono messi nelle mani degli Splash Brothers: nelle ultime due, decisive vittorie Stephen Curry e Klay Thompson hanno segnato complessivamente 125 punti realizzando 30 (!) canestri da tre e ridando ritmo a un attacco che era parso evidentemente in difficoltà per tutta la serie. Il record di sempre per triple in una partita di playoff centrato da Thompson e il finale rutilante di Curry in gara-6, i due siluri messi dal numero 30 in faccia a Adams per completare la rimonta nel terzo quarto (per non parlare dei 15-punti-15 segnati dal nostro nel solo ultimo periodo!) hanno definitivamente spostato gli equilibri di una sfida, e di una serie, tra le più belle degli ultimi anni.


Irving, Love e James: le tre "stelle" di Cleveland
E ora, aspettiamoci una finale Nba altrettanto bella, perché i Cleveland Cavaliers travolti dagli infortuni e dai Warriors un anno fa sono cresciuti tantissimo, magari difendono più a sprazzi rispetto ai Thunder ma in attacco hanno una qualità, soprattutto nelle serate di tiro da tre, persino superiore. A rigore sono loro i favoriti, dopo aver arrotato Detroit e Atlanta e piegato Toronto alla prima occasione (pur perdendo le uniche due volte sin qui nella post-season); ma se è vero che Golden State arriva a queste finali enormemente più stanca e con tanti dubbi in più rispetto al quintetto di coach Tyronn Lue, il vantaggio del campo e quell’aura un po’ mistica di “squadra in missione” mi suggeriscono che l’esito sarà lo stesso del 2015, magari a gara-7, magari con grande sofferenza, magari sul filo. Perché è vero che i Cavs hanno tre “stelle” di prima grandezza guidate da un LeBron James molto cresciuto e che ha centrato la sua sesta finale Nba consecutiva, ma – l’avevo scritto? – Steph Curry ce l’hanno gli altri.

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