Nba, basta un poco di… Curry

Il canestro di Tim Thomas in gara-6 dei playoff 2006 contro i Lakers
Solo nove squadre, nella storia dei playoff Nba, hanno vinto una serie rimontando dopo essere stati sotto 3-1. Di più: negli ultimi quindici anni è successo appena due volte, l’ultima ad opera dei Phoenix Suns di Steve Nash nel 2006 contro i Lakers di Kobe Bryant, una sfida che (pur essendosi giocata al primo turno) ha molti punti di contatto con la finale della Western Conference di quest’anno e che soprattutto ha vissuto uno dei momenti più incredibili della storia di questa Lega.

Breve riepilogo: Suns testa di serie numero 2 a Ovest, Lakers del dopo-Shaq col numero 7. I texani vincono gara-1 in casa (107-102) ma perdono subito dopo il vantaggio del fattore campo (92-99) e allo Staples Center cedono altre due volte –  subendo sempre 99 punti! – e sono, appunto, sotto 3-1. I più appassionati ricorderanno l’incredibile gara-4 prima pareggiata sulla sirena da una penetrazione di Bryant dopo una palla rubata a Nash, poi vinta allo scadere del supplementare da un jumper ancora del Black Mamba (99-98). Più o meno la situazione di oggi, con gli Oklahoma City Thunder trascinati da Russell Westbrook (36 punti, 11 rimbalzi e 11 assist in gara-4) avanti 3-1 e con i campioni in carica dei Golden State Warriors in ginocchio.

Al ritorno allo US Airways Center, Phoenix mise in saccoccia gara-5 ma nella partita successiva, ancora a L.A., sembrava che la storia di quella serie fosse scritta: 50 punti di Kobe e canestro difficilissimo per il 105-102 Lakers a 29” dalla fine. Attacco Suns, errore di Nash e rimbalzo in attacco colpevolmente concesso dai lunghi gialloviola a Marion, riapertura per Tim Thomas che dall’arco fintava sul difensore e insaccava la tripla dell’overtime con 6”2 sul cronometro (più o meno l’unica cosa che abbia fatto in carriera). Nel prolungamento la squadra allenata da Mike D’Antoni avrebbe vinto 126-118, impattando la serie e poi dominando gara-7 in casa per 121-90.

Chi c'è dietro la crescita di Durant e Westbrook? Billy Donovan
E qui, più o meno, finiscono i parallelismi. Perché per il resto, quello che finora sta dicendo la molto meno equilibrata finale di Conference tra OKC e Golden State è che da una parte i Thunder, grazie alla genialità di coach Billy Donovan, stanno finalmente mantenendo le promesse legate a un talento fisico-atletico debordante, finora sempre mortificato da un gioco involuto ed altalenante soprattutto a causa delle caratteristiche di una delle loro stelle, Russell Westbrook che tutto è fuorché un playmaker; mentre i Warriors, dopo aver reso la stagione particolarmente “speziata” col record assoluto di vittorie (73-9), in questo momento per insaporire il loro gioco avrebbero bisogno di un po’ più di… Curry.

I dolori del giovane Curry: la caviglia.,.
Al di là di quello che ha sostenuto coach Steve Kerr in conferenza stampa dopo gara-4, infatti, è evidentemente un problema fisico – meglio: di infortuni – quello che sta impedendo all’Mvp della Lega di dominare anche su questo palcoscenico dopo aver messo le mani sulla storia grazie a una stagione regolare mai vista prima, nemmeno in epoca Jordan. Da sempre tormentato dagli infortuni, Curry si è fatto male alla solita caviglia a metà di gara-1 del primo turno contro Houston (nella quale, per gradire, ne aveva già messi 24), è rientrato per gara-4 e si è procurato una più seria distorsione al ginocchio che lo ha tenuto fuori fino a gara-3 della successiva semifinale di Conference contro Portland.
...il ginocchio...

...e il gomito












Da allora, al netto di un paio di prestazioni straordinarie (i 40 punti, con il record di 17 nel supplementare, in gara-4; la “gragnuola” di 15 in 4’ del terzo quarto per spaccare gara-2 contro OKC), con tutta evidenza Steph non è più lo stesso. Anche perché in quella stessa gara-2, saltando tra gli spettatori per recuperare un pallone, ha picchiato il gomito che si è gonfiato a dismisura. La prova che il numero 30 non ha recuperato? I primi minuti della partita successiva, quando in seguito a due errori difensivi di OKC Curry si è trovato completamente libero dall’arco ma ha sbagliato, e non di poco, entrambe le triple. Certo, di solito è abituato a tirare con addosso almeno un difensore che gli mette le dita negli occhi o con un raddoppio nel quale tentano pure di sfilargli il portafogli, ma a me – per dire – è apparso chiaro che in questo momento Steph non è oltre il 50 per cento della condizione fisica.

Con queste premesse, e dopo aver rimediato oltre 50 punti di scarto in due partite alla Chesapeake Energy Arena (a proposito: in tutto l’anno Golden State non aveva mai perso due volte di fila), la clamorosa eliminazione dei campioni uscenti sembrerebbe ormai cosa fatta. Anche perché, senza il miglior Curry, il resto dell’architettura di squadra dei Warriors (soprattutto offensiva, ma non solo) sta franando, con l’incostanza e il nervosismo di Klay Thompson e Draymond Green e il contributo poco incisivo dei vari Harrison Barnes, Andre Iguodala e così via. I primi due, le “stelle di complemento” – diciamo così – di coach Kerr, stanno pagando anche in difesa rispettivamente su Westbrook e sul secondo lungo di OKC, Ibaka o Kanter, vera chiave della serie perché con uno dei due accanto a Steven Adams i Thunder stanno dominato sottocanestro in entrambe le metà campo e, a differenza di quanto era accaduto in stagione regolare, stavolta Golden State sembra non aver contromisure.

Cosa accadrà adesso? Non solo il cuore, ma anche la mente (malata) mi dice che in gara-5 avremo il ritorno di Steph. E poi sarà decisiva gara-6 a Oklahoma City, magari con un canestro sulla sirena, magari al supplementare. Sull’esempio di quei Phoenix Suns che in Steve Nash avevano, come Curry, il due volte Mvp in carica. Qualcosa vorrà dire…

DeMarre Carroll di Toronto e LeBron James
Nell’altra metà degli States, il Fasullo fasulleggia e Toronto pareggia. (Anche la rima, eh? IlMaxFactor non smette di stupire.) Dopo dieci vittorie consecutive, i Cleveland Cavs cadono due volte all’Air Canada Centre e la serie che assegna un posto nelle Finali Nba è clamorosamente in parità sul 2-2.
Stanotte si torna alla Quicken Loans Arena e non c’è alcun motivo per dubitare che i Cavs possano venire a capo dei canadesi, ma la finale della Eastern Conference ha confermato che l’uso smodato del tiro da tre punti sta condizionando la fase peraltro più efficace della squadra di coach Tyronn Lue, ovvero quella offensiva. Dopo il 14/41 di gara-3, nella partita successiva Cleveland ha avuto l’identica percentuale dall’arco di Toronto (32%) ma in pratica sul doppio dei tentativi (13/41 contro 7/22 dei Raptors), a dimostrazione di quanto sbilanciato e poco equilibrato sia il gioco di LeBron James e soci. Che poi in difesa restano potenzialmente mortiferi, ma troppo incostanti per zittire gli avversari.

Insomma: non sarà la caduta degli Dèi, ma il crollo delle certezze sicuramente sì. Se Golden State e Cleveland riusciranno a ritrovarle, allora potremo vedere il remake della finale dello scorso anno, altrimenti sorpresona. E dopo una stagione regolare che due-tre squadre hanno guardato dall’alto in basso come mai, chi l’avrebbe detto?

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