NBA: La guerra di Rose e l'esercito dell'ultima chance

The War of the Rose, ovvero “la guerra di Rose”. E’ il grande ritorno del playmaker di Chicago, prima scelta assoluta del 2008 e fermo da oltre un anno per infortunio, il tema principale della stagione Nba che inizia questa notte con tre partite: il derby di Los Angeles tra Lakers e Clippers, Orlando-Indiana e appunto la sfida tra i Miami Heat di LeBron James, campioni negli ultimi due anni, e i Bulls dell’Mvp del 2011.

D-Rose, oggetto anche di accese polemiche durante gli ultimi playoff per la decisione di non accelerare il rientro, ha già dimostrato di essere nuovamente in piena efficienza fisica con una preseason rutilante a 20.7 punti e 5 assist di media e nella quale Chicago è rimasta imbattuta (7-0); ora deve provare di poter ancora trascinare i Bulls a una riedizione dei fasti dell’era Jordan. Il problema è che gli ostacoli più alti sono tutti a Est e si chiamano ovviamente Miami, Indiana e finalmente Brooklyn; chi uscirà dalla “tonnara” fra queste quattro superpotenze, con ogni probabilità, a giugno si metterà al dito l’anello. Andiamo a vedere un primo ranking diviso tra le due Conference alla vigilia del tip-off di stanotte, con un’appendice dedicata alle previsioni per i premi individuali di fine stagione.

Derrick Rose attacca LeBron James

Eastern  Conference. Davanti a tutti Miami (1): solita struttura, con le tre “stelle” James, Dwyane Wade e Chris Bosh e un cast di contorno sempre più ricco e profondo. Quest’anno c’è anche la doppia “scommessa” sul talento disfunzionale di Michael Beasley e su Greg Oden, centro scelto al n. 1 assoluto da Portland e sin qui messo in croce dagli infortuni. Se riuscissero ad avere anche 20’ da lui, gli Heat diventerebbero imbattibili. Al numero 2 punto su Brooklyn: costruita allo stesso modo di Miami, con un quintetto di superstar anche se “vecchiotto” (a Deron Williams, Joe Johnson e Brook Lopez si sono aggiunti Paul Pierce e Kevin Garnett), ha però una panchina esplosiva con i vari Kirilenko, Terry, Blatche, Evans guidati dall’esordiente Jason Kidd. Per il numero 3, Indiana sopravanza Chicago per la completezza: in una squadra già prima a rimbalzo e seconda in difesa nel 2012/13 rientra a pieno regime Danny Granger, per uno starting five con Hill, George, West e Hibbert fisicamente spaventoso. Quello che non capirò mai è perché Chicago (4) abbia lasciato andare Marco Belinelli, che accanto a un play superstar (Chris Paul, lo stesso Rose) ha sempre reso alla grande; ora deve affidare lo spot di guardia tiratrice a Jimmy Butler ed è l’unica grossa lacuna del quintetto di coach Thibodeau.

Altre candidate ai playoff: tra le squadre che hanno cambiato tanto mi piace Washington (5), che a un John Wall chiamato a far vedere finalmente tutto l’armamentario affianca un Bradley Beal reduce da una grande preseason (13.9 di media lo scorso anno), in ala piccola uno tra Ariza e Webster, sotto le plance Nene e Gortat o magari il sorprendente ceco Ian Vesely. Subito dietro New York (6), ostaggio di una serie di equivoci: Raymond Felton non è un playmaker da primi posti (meglio Udrih), Bargnani da ala forte sembra destinato a perdere in termini di imprevedibilità e c’è sempre il dualismo Carmelo Anthony-Amare Stoudemire da risolvere. La certezza (per modo di dire) è J.R. Smith dalla panca. A insidiare i Knicks metto Detroit (7) non tanto per Gigi Datome che faticherà ma alla fine troverà spazio, ma per una frontline impressionante con Josh Smith e i giovanissimi Monroe e Drummond. Certo, mettere tutto in mano a Brandon Jennings… Ultima moneta contesa tra Milwaukee (8) che, per l’appunto, ha scambiato l’ex romano per Brandon Knight e aggiunto Caron Butler, OJ Mayo e Gary Neal, e Cleveland con la sensazione Kyrie Irving, la prima scelta assoluta Anthony Bennett, il ritorno di coach Mike Brown e l’addizione di Earl Clark dai Lakers. Più indietro tutte le altre, con Boston, Atlanta e Philadelphia che devono ricostruire e le sempre più derelitte Toronto, Orlando e Charlotte.

Kobe Bryant e Kevin Durant, "the Best in the West"
Western Conference. Qui il pronostico è senz’altro più difficile. Perché non ci sono “corazzate”, ma il talento è distribuito in maniera più uniforme. Almeno 10-12 squadre sembrano in grado di centrare i playoff, e ovviamente non è possibile; quindi ad aprile ci saranno diverse deluse. Tutti indicano gli Spurs all’ultima grande chance di anello, e l’addizione di Belinelli accanto a Tony Parker mi sembra strategica, ma la truppa di Popovich è davvero vecchiotta e poi negli anni pari non va mai particolarmente bene (titolo nel ’99, 2003, 2005 e 2007, finale l’anno scorso). Ecco perché la mia favorita sono i Los Angeles Clippers (1), che hanno perso Billups ma possono vantare un quintetto con Paul, Blake Griffin, DeAndre Jordan e due esterni tra Jared Dudley, Matt Barnes, Reggie Bullock, Willie Green e JJ Redick. Senza contare che dalla panchina escono il play Darren Collison e soprattutto il realizzatore Jamal Crawford e che alla guida c’è ora “Doc” Rivers. Dietro sì, dico San Antonio (2) a patto che il gruppo riesca ad assorbire la batosta delle Finali 2013. Altre candidate alle semifinali di Conference sono Oklahoma City (3) e Houston (4). I Rockets hanno preso Dwight Howard ma avevano già Omer Asik, dietro sono super con Jeremy Lin e James Harden ma hanno un “buco” in ala piccola e dovranno cambiare gioco rispetto alla scorsa stagione quando coach Kevin McHale poteva contare sul secondo miglior attacco della Lega. I Thunder non avranno per un po’ Russell Westbrook, infortunato, e il peso dell’attacco sarà per intero su Kevin Durant che però è un fuoriclasse per me anche superiore a James.

Peraltro, Kevin Martin (che aveva sostituito il “Barba” Harden) è finito a Minnesota (5) dove ha residenza il gruppo di maggiore talento in tutta la Nba: Ricky Rubio e Alexey Shved in regia, appunto l’ex Sacramento Kings in guardia, l’ex prima scelta Derrick Williams e Kevin Love in ala, Nikola Pekovic (fresco di estensione a 12 milioni l’anno) sotto. Il tutto con la possibilità, per coach Rick Adelman, di abbassare il quintetto con Corey Brewer da “3” e una panchina lunghissima. Subito dietro vedo Golden State (6), che ha aggiunto Andre Iguodala e può permettersi il lusso di far partire Klay Thompson dalla panchina; Dallas (7) che ha rinforzato il reparto esterni con Calderon, Monta Ellis e Devin Harris e ha in Rick Carlisle forse il miglior allenatore della Nba, e i Los Angeles Lakers (8) che tutti danno per morti o quantomeno moribondi, ma che quando Kobe Bryant tornerà dall’infortunio diventeranno un cliente scomodo anche se l’accoppiata Kaman-Gasol sotto le plance mi pare molto poco “dantoniana”. Anche per i gialloviola è l’ultima chance di titolo, almeno per quanto riguarda la carriera del Mamba.

In alternativa Denver, che non ha più George Karl ma Brian Shaw in panchina e aspetta con ansia il rientro di Danilo Gallinari, o ancora New Orleans che ha cambiato nome (Pelicans) e ha un roster giovane e di talento. La sorpresa in negativo sembra dover essere Memphis, così come Portland alla quale manca sempre un soldo per fare la lira; Sacramento, Utah e Phoenix si attrezzano già per scoutizzare i migliori prospetti in vista dell’attesissimo Draft 2014.

Premi individuali. LeBron James ha vinto già quattro Mvp negli ultimi cinque anni, peraltro quasi nessuno meritato dal momento che è sì fortissimo, ma anche il giocatore più sopravvalutato di sempre (e dài, ecco il veleno in coda!); Kevin Durant è atteso a una stagione di superlavoro, nella quale farà grandi cose ma potrebbe non riuscire a trascinare OKC molto in alto; io quindi dico Chris Paul, il miglior playmaker della Lega nella squadra più spettacolare ma destinata a dimenticare Lob City e diventare redditizia.

Come difensore dell’anno vado anch’io con Dwight Howard, per quanto lo stesso James (secondo nel 2013 dietro Marc Gasol) sembri avere questo come obiettivo della stagione a livello personale; quanto al giocatore più migliorato, le alternative sono Eric Bledsoe che a Phoenix ha finalmente una squadra da guidare dopo aver fatto troppa panchina per il suo esplosivo talento, Bradley Beal di Washington (che però ha già scritto 13 di media) e la mia scelta Anthony Davis destinato a crescere ancora dopo un’ottima stagione da rookie.

A proposito di rookie, per il premio di matricola dell’anno c’è quasi un consensus sul prodotto di Indiana Victor Oladipo (Orlando Magic); a me al college è piaciuto tantissimo il play da Michigan Trey Burke, ora a Utah ma con un dito rotto (uno-due mesi per il rientro).

Il sesto uomo dell’anno – premio che andrebbe intitolato a J.R. Smith e dato a un altro, come nella battuta che circolava ai tempi di Jerry West perenne Executive of the Year – per me non sarà Tyreke Evans di New Orleans o Jarrett Jack approdato a Cleveland (i due favoriti degli addetti ai lavori) ma Andrei Kirilenko a Brooklyn, dove mi sembra destinato a diventare una specie di Manu Ginobili biondo perché è semplicemente troppo forte per essere considerato una riserva.


Infine, l’allenatore dell’anno: facile pronosticare “Doc” Rivers ai Clippers, ma se Dallas va ai playoff in queste condizioni il candidato d’obbligo è Rick Carlisle. Sempre che Minnesota non si trasformi nei Sacramento Kings di Chris Webber e Jason Williams, proiettando Rick Adelman a vincere finalmente il meritatissimo premio.

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