NBA, l’Est: Giannis e la solitudine dei numeri uno

I Toronto Raptors ricevono gli anelli di campioni NBA (thestar.com)

Neanche il tempo di vincere un inatteso titolo NBA (il primo negli ultimi undici anni senza che in campo ci fosse LeBron James) che la Eastern Conference si è, per vari motivi, nuovamente allontanata dal livello dell’Ovest. Anche se, in realtà, si tratta più o meno della stessa storia dell’ultimo decennio: la squadra che emerge dalle battaglie playoff nella Conference più forte, difficile e competitiva arriva alle Finals stanca, spremuta, spesso in condizioni fisiche precarie e con infortuni decisivi, e allora la vincitrice dell’Est – che all’ultimo atto è spesso approdata senza troppa fatica – riesce qualche volta a conquistare il titolo pur essendo nettamente sfavorita, magari sfruttando un imprevisto che rovesci i rapporti di forze. E’ accaduto a Miami nel 2013 con il canestro di Ray Allen in gara-6 contro San Antonio, ma anche a Cleveland nel 2016 con la squalifica di Draymond Green sul 3-1 per Golden State e lo scorso anno a Toronto grazie agli infortuni di Kevin Durant e Klay Thompson nelle file dei Warriors.

Potrebbe accadere anche quest’anno? Beh, a leggere le previsioni degli analisti di NBA TV si direbbe proprio di no: hanno indicato quattro possibili vincitrici dell’Ovest (Clippers, Lakers, Houston e Denver) mentre sono stati tutti d’accordo sulla finalista proveniente da Est, vale a dire i Philadelphia 76ers. Ma tutti, curiosamente, hanno pronosticato il successo finale dell’Ovest. Anche perché tutte le migliori del lotto al di qua del Mississippi (Milwaukee, Philadelphia, Boston e i Raptors campioni) hanno perso almeno un “pezzo” importante, anzi importantissimo del roster dello scorso anno: l’Mvp delle Finali, Kawhi Leonard, per Toronto; JJ Redick per Phila; Malcolm Brogdon per i Bucks; Kyrie Irving e Al Horford per i Celtics. Mentre chi si è rinforzato in maniera stellare (ovviamente i New Jersey Nets) dovrà attendere la prossima stagione per vedere Kevin Durant accanto a Irving a causa dell’infortunio di KD. Tra queste squadre, i Sixers si fanno preferire per l’aggiunta di Horford sotto canestro che consentirà di dare fiato e alternative alla loro superstar Joel Embiid, ma di fatto non hanno un vero playmaker (eccetto un Trey Burke in cerca di rilancio che partirà dalla panchina) tanto da doversi affidare in cabina di regia a Ben Simmons che in preseason ha segnato la sua prima tripla in carriera. Un esterno. Nel 2019. E non ditemi che non è un atipico.

I fratelli Antetokounmpo (youtube.com)
Tuttavia, non è peregrino immaginare che la prima testa di serie tocchi come l’anno scorso ai Milwaukee Bucks dell’Mvp in carica Giannis Antetokounmpo. The Greek Freak (28 punti, 12.5 rimbalzi, 6 assist nel 2018/19) continuerà ad essere del tutto immarcabile ma in questo caso sarà il contorno a fare la differenza: non che in regia manchino le alternative a Malcolm Brogdon (Eric Bledsoe e George Hill), ma ad esempio la possibilità di avere “The General” da guardia con uno dei due più Khris Middleton ala piccola non sembra replicabile con Wesley Matthews. Curiosità: con l’arrivo di Robin Lopez, gemello del centro titolare Brook, i Bucks avranno nel roster due coppie di fratelli (l’altra è composta proprio da Giannis e dal maggiore Thanasis, l’altro fratello Kostas giocherà invece ai Lakers). Magari non vinceranno di nuovo 60 partite perché a Est potrebbe esserci più equilibrio, ma restano in prima fila.

Decisamente peggio sono usciti dal mercato i Boston Celtics. Che già venivano da un paradosso: nel 2017/18 avevano preso Kyrie Irving e Gordon Hayward ma hanno dovuto rinunciare ai due All-Star per tutta la stagione. Allora coach Brad Stevens ha valorizzato i giovani Jaylen Brown e soprattutto Jayson Tatum, arrivando secondo nella stagione regolare e sfiorando la Finale NBA dopo aver eliminato proprio Milwaukee e Philadelphia ed essersi arreso a Cleveland (perdendo gara-7 in casa). Con il ritorno di Irving e Hayward sembrava ­­­– soprattutto a IlMaxFactor, ma non solo – che dovessero dominare l’Est, e invece sono arrivati quarti per poi cedere in semifinale di Conference ai Bucks. Al posto di Kyrie, che ha scelto i Nets, è arrivato Kemba Walker, fresco All-Star dopo una stagione sopra i 25 di media e “quasi” gloria locale dal momento che Mansfield, il campus di UConn dove Kemba ha vinto il titolo NCAA, dista appena 130 chilometri da Boston. Ma i Celtics, perso Horford, sono molto carenti sotto le plance, dove possono alternare solo Enes Kanter e Daniel Theis, e quindi immagino che giocheranno tanto small ball con Tatum e Hayward in ala. E visto che le rivali più accreditate partono con due lunghi “veri” in quintetto, questa variabile potrebbe permettere ai Celtics di fare tanta strada come già nel 2018.

Victor Oladipo e Myles Turner di Indiana (youtube.com)
Chi si è indebolito più di tutti sono ovviamente i Toronto Raptors, salutati da Kawhi Leonard senza rimpianti (soprattutto se si considera che The Klaw ha regalato il primo titolo ai canadesi praticamente da solo) ma che di fatto non hanno rimpiazzato la superstar passata ai Clippers. E così, in quintetto dovranno affiancare a Kyle Lowry uno tra il piccolo Fred VanVleet e Norman Powell, ma soprattutto dovranno affidarsi pesantemente al giocatore più migliorato del 2018/19, Pascal Siakam. Importante la conferma di Ibaka per coprire le spalle a Marc Gasol, ma è evidente che senza Kawhi i Raptors sono tutta un’altra squadra. Tanto che la loro presenza nelle prime quattro ad aprile-maggio potrebbe essere messa in discussione da almeno un paio di outsider: innanzitutto gli Indiana Pacers di coach Nate McMillan, che lo scorso anno persero la loro stella Victor Oladipo (23 di media nella prima stagione a “casa” per l’ex University of Indiana) ma riuscirono ugualmente a centrare i playoff con la quinta testa di serie prima di cedere 4-0 ai Celtics: il rientro di Oladipo, prima annunciato per dicembre-gennaio, potrebbe a sorpresa essere più vicino e nel frattempo sono arrivati Brogdon in regia, la guardia Jeremy Lamb (oltre 15 di media lo scorso anno a Charlotte) più Justin Holiday e TJ Warren che a Phoenix ne metteva 18 a partita. Ma la forza di Indiana è sotto le plance, con il centro Myles Turner (13 punti, 7 rimbalzi e quasi 3 stoppate di media) e il “principino del Baltico” Domantas Sabonis (14+9 con il 60% al tiro). Volete sapere una cosa? Al completo i Pacers potrebbero persino arrivare in fondo...

L’altra possibile sorpresa sono i Detroit Pistons che ai playoff sono già arrivati lo scorso anno e che a un frontcourt molto dotato con Blake Griffin (fuori la prima settimana di gare dopo aver dovuto alzare bandiera bianca nella postseason) e Andre Drummond, più il backup Thon Maker, hanno aggiunto il gemello Morris prima considerato più forte, vale a dire Markieff - messo ultimamente in ombra dalla crescita dell'altro, Markieff, finito a New York - ma soprattutto un esterno solido come Tony Snell e la storia più bella del 2018/19, ovvero Derrick Rose. La primissima scelta del Draft 2008 e Mvp più giovane della storia della NBA appena tre anni dopo, una carriera distrutta da una serie di tremendi infortuni, è letteralmente rinato a Minnesota (18 punti e 4 assist a partita con le migliori percentuali in carriera sia da due che da tre, in un’occasione ne ha messi addirittura 50) e può alternarsi in posizione di playmaker con Reggie Jackson o giocargli accanto. Non sottovaluterei i Pistons.

Kyrie Irving e Kevin Durant (nytimes.com)
Non sono una outsider nelle ambizioni, ma probabilmente lo saranno per motivi contingenti i Brooklyn Nets, che dovranno rimandare a quando (verosimilmente nel 2020/21) rientrerà Kevin Durant le ambizioni di vincere un titolo che manca da quando erano nella ABA, si chiamavano New York Nets e schieravano addirittura “Doctor J” Julius Erving. Dopo due stagioni da... retrocessione, lo scorso anno coach Kenny Atkinson con una squadra per nulla considerata ha fatto un mezzo miracolo raggiungendo i playoff con il sesto posto e ha pure messo paura a Phila, vincendo gara-1 al Wells Fargo Center prima di cedere 1-4. In estate ha preso appunto KD ma anche Kyrie Irving e DeAndre Jordan da innestare in un sistema finalmente vincente che ha lanciato i vari Caris LeVert, Spencer Dinwiddie e Joe Harris tra gli esterni, Jarrett Allen e il lettone Rodion Kurucs tra i lunghi. Senza Durant può comunque dare fastidio alle favorite, con il numero 35 sarà finalmente da Finals (che mancano dal 2002 e 2003, quando gli allora New Jersey Nets persero con i Lakers di Kobe e Shaq e poi con i San Antonio Spurs).

L’ultima squadra che sembra attrezzata per i playoff sono i Miami Heat, che lo scorso anno nel farewell tour di Dwyane Wade hanno mancato la postseason per appena due vittorie. Ma è tornato ­– si spera ­– al meglio dall’infortunio Goran Dragic (20 e 17 di media nelle due stagioni precedenti) ed è arrivato Jimmy Butler, il prototipo del two-way player letale in attacco, specie quando il pallone “brucia”, e spaventoso in difesa. E’ vero che gli Heat hanno perso Josh Richardson e Wayne Ellington, ma si sono anche liberati del pesantissimo contratto di Hassan Whiteside (27 milioni di dollari) e hanno acquisito la possibilità di ruotare Dion Waiters e Justise Winslow accanto a Butler e il trio Bam Adebayo-Meyers Leonard-Kelly Olynyk sotto le plance. Il roster è profondo e interessante per puntare alla postseason.

Come già a Ovest, sto dando pochissime chances alle altre: gli Washington Wizards che hanno dato il contrattone a Bradley Beal (biennale da 72 milioni, nel 2022 potrà addirittura firmare un quinquennale da 266 milioni, il più ricco della storia!) ma continuano a dipendere dalla salute di John Wall che nelle ultime due stagioni ha saltato un centinaio di partite (nell’ultima giocata per intero, nel 2016/17, aveva chiuso con 23 punti e 11 assist di media), gli Orlando Magic che non si sono rinforzati abbastanza per confermare i sorprendenti playoff dello scorso anno nonostante l’arrivo da Philadelphia di Markelle Fultz, gli Charlotte Hornets “orfani” di Kemba Walker e ovviamente i New York Knicks che pure hanno un nucleo giovanissimo (Ntikilina, Kevin Knox, Julius Randle, Dennis Smith jr. e la terza scelta assoluta RJ Barrett).

Coby White di Chicago sarà la sorpresa dell'anno? (forbes.com)
Chi invece farà un sostanzioso upgrade sono i Chicago Bulls che ritrovano Lauri Markkanen a pieno regime accanto a Otto Porter e ad un backcourt nel quale possono ruotare Zach LaVine, Kris Dunn, il ceco Tomas Satoranski e la sorpresa Coby White, play-guardia classe 2000 da North Carolina (dove nell’anno da freshman ha segnato più punti di Michael Jordan) scelto con la numero 7 e reduce da una preseason da oltre 19 punti in meno di 26’ giocati col 43% dall’arco. Discorso simile per gli Atlanta Hawks che schierano Vince Carter, il più “vecchio” della NBA con i suoi 42 anni, ma anche un bel gruppo di giovani guidato da Trae Young, la reincarnazione di Steve Nash, e Jason Collins ai quali vanno aggiunti il talento di Jabari Parker, il tiro di Allen Crabbe e i muscoli di Alex Len.

Per finire, come già per l’Ovest, stiliamo una potenziale classifica finale della regular season nella Eastern Conference: 1. Milwaukee, 2. Philadelphia, 3. Boston, 4. Indiana, 5. Brooklyn, 6. Toronto, 7. Detroit, 8. Miami. Ma non è affatto detto che in Finale NBA vadano i Bucks o i Sixers, anzi io il mio nichelino lo punterei sui Celtics. Con la consueta avvertenza che, ad aprile, basterà leggere la classifica al contrario per vedersi avverare le previsioni de IlMaxFactor...

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