NBA, l’Ovest: c’era una volta Hollywood... alla rovescia

I Los Angeles Clippers di coach Doc Rivers (nba.com)

Prima o poi doveva accadere. I Los Angeles Clippers, a lungo (e fino a non più di dieci anni fa) la “barzelletta” della NBA, i cugini poveri dei plurititolati Lakers con i quali condividono anche l’arena – ma stanno meditando di trasferirsi al Forum di Inglewood, dove nacque l’epopea dello showtime dei nemici gialloviola – quelli che non hanno mai vinto l’anello, che non sono mai arrivati in finale, che in tutta la loro storia tra Buffalo, San Diego e ora L.A. hanno centrato appena due titoli di Division, all’inizio del 2019/2020 sono i favoriti assoluti per diventare campioni NBA.

Una sorpresa? Beh, sì dal momento che la squadra di Doc Rivers si è assicurata in estate il free agent più forte del lotto, Mvp delle ultime Finali, e sacrificando tra gli altri Danilo Gallinari è arrivata a uno dei candidati per il premio di miglior giocatore della stagione: un’accoppiata di superstar (entrambe losangeline, peraltro) che sembrava dovessero piuttosto accasarsi nell’altra franchigia della città, alla corte di LeBron James. A rendere i Clippers la squadra da battere con l’approdo di Kawhi Leonard e Paul George, comunque, non è tanto la loro capacità di segnare canestri impossibili quanto la loro attitudine nell’altra metà campo: entrambi sono tra i migliori difensori della Lega, specialisti delle palle recuperate specie sulle linee di passaggio e che con Patrick Beverley, altro difensore sopraffino, il solido centro Ivica Zubac e il tiratore Landry Shamet formano un quintetto pericolosissimo. Per non dire delle “riserve”, come il sesto uomo dell’anno Lou Williams (anche nell’ultima stagione sopra i 20 di media partendo dalla panchina) e l’esplosivo Montrezl Harrell, che probabilmente inizierà la stagione in quintetto perché George salterà le prime 10.

LeBron e AD, coppia d'oro dei Lakers (eurosport.com)
Il ruolo di favoriti assoluti sarebbe piaciuto molto ai Los Angeles Lakers di Sua Maestà (autoproclamata) LeBron James. Che però, dopo il disastro sportivo e societario dello scorso anno che ha portato ai playoff mancati e alle dimissioni di Magic Johnson da presidente, hanno fallito l’assalto ai migliori free agent e per assicurarsi Anthony Davis hanno dovuto cedere il nucleo della squadra, un pacchetto di potenziali “stelle” (da Brandon Ingram a Lonzo Ball), per poi riempire le caselle del roster con veterani, specialisti, mestieranti, “dotti medici e sapienti”. Quindi si è fatto nuovamente male DeMarcus Cousins, appena acquistato, e il film è diventato da Oscar – d’altra parte, non si tratta di Hollywood? – cambiando titolo in Il ritorno di Superman. Ovvero Dwight Howard, centro 33enne non più esplosivo ma ancora solido che in gialloviola era già approdato nel 2012, quando era il numero uno nel ruolo, ma fallì nella squadra di Kobe e Steve Nash. Per me non sono da titolo e non mancano le perplessità, soprattutto su coach Frank Vogel che non sembra avere la personalità per gestire LeBron, specie con l’ombra del vice Jason Kidd.

Steph Curry ha una nuova casa: il Chase Center (nbcsports.com)
Certo, non staremmo a fare questi discorsi se a Oakland – anzi a San Francisco dove hanno inaugurato la loro nuova “casa” da un miliardo di dollari, il Chase Center – non ci fosse stato l’Armageddon. I Golden State Warriors hanno perso l’occasione di conquistare il quarto titolo in cinque anni a causa degli infortuni di Kevin Durant e poi di Klay Thompson in Finale, e soprattutto hanno avuto una offseason devastante con le partenze di KD, Iguodala, Livingston a minare il fulcro di un progetto tecnico che ha rivoluzionato la NBA. In più, il rientro di Klay Thompson non sarà rapido e dalla free agency è arrivato un giocatore che non sembra per nulla adatto al sistema di coach Steve Kerr: D’Angelo Russell è un playmaker atipico, più realizzatore che vero passatore ma con la tendenza a tenere tanto la palla in mano, e nonostante la sua straordinaria stagione ai Nets (oltre 21 di media) dopo aver deluso ai Lakers che lo avevano preso con la seconda scelta assoluta, fatico a vederlo integrare con Curry e, più avanti, Thompson. Ma guai a dare i Warriors per finiti, a sottovalutare Draymond Green e soprattutto a trascurare Steph. Senza Durant a togliere palloni, iniziativa e leadership, il miglior tiratore da tre di sempre è destinato a tornare ai livelli delle due stagioni che lo incoronarono Mvp. Tanto che è il mio favorito per rivincerlo. Ad ogni modo, chi nella stampa USA li ha dati fuori dai playoff aveva bevuto.

Insomma, Kawhi Leonard e Paul George. LeBron James e Anthony Davis. Steph Curry e Klay Thompson. Nella terribile Western Conference di quest’anno, chi vincerà il “gioco delle coppie” con ogni probabilità andrà in Finale. E ci sono altre due combo che potrebbero spostare, a diversi livelli, gli equilibri a Ovest. La prima si è appena formata agli Houston Rockets dove l’altruista Russell Westbrook ha raggiunto l’altrettanto altruista James Harden: a fare la somma aritmetica il backcourt a disposizione di coach Mike D’Antoni varrebbe quasi 60 punti, 18 rimbalzi e 18 assist a partita, il problema è che per farli giocare insieme servirebbero tre palloni. Uno ciascuno e uno per gli altri. Che sono o tiratori sugli scarichi (Eric Gordon, Ryan Anderson, Danuel House) o lunghi poco esigenti (Clint Capela e lo stesso PJ Tucker). Magari alla fine vinceranno l’Ovest contro il mio pronostico, ma con tutti quegli isolamenti le loro partite rischiano di essere davvero esasperanti.

"Siamo la coppia più bella del mondo..." (skysports.com)
Quella che potrebbe invece diventare la coppia più bella del mondo è di stanza ai Dallas Mavericks smontati e rimontati l’anno scorso, rinunciando alle speranze playoff, per accogliere Kristaps Porzingis. Il 2,20 lettone ha lasciato polemicamente il progetto perdente di New York per godere della compagnia di Luka Doncic, rookie dell’anno e All-Star fatto e finito nonostante i suoi appena vent’anni, che sembra perfetto per esaltare le qualità pazzesche dell’Unicorno finalmente guarito dal grave infortunio ai legamenti del ginocchio. Intorno alle sue “stelle”, coach Rick Carlisle ha costruito un roster più profondo e con giocatori di ruolo estremamente adatti (dallo specialista da tre punti Seth Curry al talentuoso Jaren Jackson fino al centrone Boban Marjanovic) per tornare alla postseason ed essere la classica “mina vagante” che tutte le squadre più forti vorranno evitare di incontrare.

Se Dallas è il futuro pronto a travolgere il presente, due squadre sono attese alla conferma dopo una stagione straordinaria: i Denver Nuggets avevano chiuso la regular season addirittura al secondo posto prima di arrendersi a Portland in semifinale di Conference, gli Utah Jazz avevano conquistato 50 vittorie e anche loro si erano fermati al secondo turno dei playoff contro Houston. Entrambe sono squadre ben costruite, profonde, con tante alternative e con un leader giovane ma già esploso (Nikola Jokic con l’assistenza di Jamal Murray da una parte, Donovan Mitchell dall’altra). In più, Utah ha aggiunto in cabina di regia l’esperto Mike Conley già padrone di Memphis e Bojan Bogdanovic da Indiana, mentre Denver recupera Michael Porter jr. che ha passato ai box l’intera stagione da matricola.

In lotta con loro per un posto nei playoff potrebbero esserci le squadre dei tre italiani: i New Orleans
Nicolò Melli è il vice-Zion a New Orleans (sport.sky.it)
Pelicans
di Nicolò Melli ma soprattutto della prima scelta assoluta Zion Williamson, il nuovo Barkley (che però salterà i primi due mesi per infortunio), gli eterni San Antonio Spurs che coach Gregg Popovich riesce sempre, in qualche modo, a portare alla postseason e che ormai per Marco Belinelli sono “casa” (e in più rientra il playmaker titolare Dejounte Murray), forse addirittura gli Oklahoma City Thunder orfani di Westbrook e George ma dove Gallinari, reduce dalla sua annata migliore in NBA – che pure non è detto rimanga per tutta la stagione – potrebbe giovarsi della vicinanza di Chris Paul. E per capire quanto sia forte l’Ovest, non abbiamo nemmeno menzionato i Portland Trailblazers che l’anno scorso arrivarono in finale di Conference e che hanno in Damian Lillard una superstar perennemente sottovalutata (26 punti e 7 assist, “mica pizza e fichi” direbbe Flavio Tranquillo).

Tra l’altro, visto che i playoff non possono farli tutte e quindici, non stiamo considerando i Sacramento Kings di De’Aaron Fox e Buddy Hield, i Minnesota Timberwolves che rischiano di far intristire uno dei talenti più cristallini dell’intera Lega come Karl-Anthony Towns, e le derelitte Phoenix Suns (ma occhio a Ricky Rubio nel ruolo nel quale hanno rinunciato a Doncic un anno fa) e Memphis Grizzlies. Insomma, una tonnara. Con un’ulteriore incognita: venirne fuori stremati come accadde nella scorsa stagione a Golden State e perdere le Finals contro la vincente dell’Est, che non è più scarso come ancora in tempi recenti ma è certamente meno competitivo ad altissimi livelli e del quale parleremo presto. Volete un ranking? (No, ma se proprio insistete, eh,..) Eccolo: 1. LA Clippers, 2. Golden State, 3. Houston, 4. LA Lakers, 5. Denver, 6. Utah, 7. Dallas, 8. Portland. Sempre con la consapevolezza che nessuna di queste posizioni sarà giusta, in perfetto stile IlMaxFactor...

Commenti

Post popolari in questo blog

Basket NBA, Mac McClung: ora sì che "White Men CAN Jump"!

Il metodo De Luca: «Chiudiamoli a casa loro». Ah, era «aiutiamoli»?

Il ritorno de IlMaxFactor: Catenotauro, il diavolo e l’acqua… tanta