sabato 18 luglio 2020

SOSTIENE PEREIRA: Il Cateno bollito, il Dafneleggìo, le blatte e le Maschere





di Antonio Pereira

Smunto, emaciato, smagrito, Cateno riemerge dopo un lungo periodo di disintossicazione. Ma non da se stesso. Per esistere ha bisogno di nemici. Convoca una conferenza stampa per annunciare 800 milioni su Messina (boom!), ma un giornalista avanza una domanda nel merito di un problema antico e avvertito (il Palagiustizia) e lui sbotta e insulta. Va in tilt, come un vecchio flipper manomesso nell'Endas gestita da un baro (ne ho conosciuti anche di simpatici).
Inonda gli organi di stampa di notizie insulse: il bollettino dei servizi di igiene. Dichiara guerra alle blatte, ai sorci, alle zanzare. E tutti gli organi di informazione a darne conto.


Visto da Lisbona tutto ciò è surreale. Ma perché - mi chiedo - la mia Messina, dalla quale mi sono allontanato pur potendovi ancora navigare con il vento in poppa, si è ridotta così? Quale sarà il livello di sopportazione?

Annuncia per l'ennesima volta il rimpasto di Giunta, ma continua ad assicurare un'indennità a quell'inutile figuro che risponde al nome di Enzo Trimarchi, assessore  comunale alla Pubblica istruzione, che in questa fase dovrebbe svolgere un ruolo e che invece è silente. Desublimato in una bolla di incapacità.  Per fortuna verrebbe da dire. Perché l'unica volta che ha fatto sentire la sua voce ha lanciato un'invettiva omofobica. Ma perché i messinesi devono dare uno stipendio a questo ectoplasma?


Cateno ha bisogno di nemici. Dall'hotspot di Bisconte, vecchia sede militare del Reparto trasmissioni dell'Esercito, fuggono nottetempo una trentina di migranti richiedenti asilo: vivono in condizioni penose, di fatto reclusi, un rancio e una branda. È un problema umanitario, non politico, ma Cateno lo cavalca.

Ha uno scontro in corso con la  ministra dell'Interno, Lamorgese, che lo ha mandato sotto processo per vilipendio ad organo dello Stato. Ordina all'assessora Musolino di redigere un'ordinanza di chiusura del centro di accoglienza. Dafne, che di ordinanze non ne ha ingarrata una negli ultimi cinque mesi, tant'è che gliele hanno sfanculate tutte, esegue. E si presenta a Bisconte, mentre Cateno è in diretta Facebook davanti ai cancelli di un'accoglienza ignominiosa.


La scena è surreale, rilanciata dai siti on line delle testate messinesi. L'assessora Musolino che porta in dote al Capo la delibera di chiusura dell'hot spot di Bisconte e che si fa leggìo, reggendo il mazzo di carte che Cateno firma con microfono in mano.


Un'ordinanza che a stretto giro sarà azzerata dagli organismi giudiziari. Cateno non vanta alcun potere su aree militari, quindi del ministero della Difesa, né su problemi di ordine pubblico che afferiscono al ministero degli Interni. Può tutt'al più mandare pattuglie di vigili urbani a presidiare cancelli, ma deve pagare straordinari e sperare che i "pizzardoni" non se la facciano sotto se davanti gli spunta un immigrato giustamente incazzato.

Insomma, fuffa e finto distintivo. Altro fumo levato in cielo da un uomo che è un bluff.

In questo contesto - povera Messina - Matilde Siracusano, parlamentare forzista eletta altrove dopo essere passata dalle forche caudine di Pierfedinando Casini, a cui la presentò Santino Pagano, insiste con questa storia della legge speciale per smantellare le baracche di cui a Messina non frega a nessuno. Neppure ai baraccati.

Mentre il rettore Cuzzocrea - un uomo senza alcuna qualità, e non si sforzi a leggere Robert Musil perché tanto non lo capirebbe - prova a spiegare che la colpa è dell'Ersu se l'Ateneo peloritano è ultimo nella graduatoria di prestigio secondo il Censis. Tutti personaggi minori di una città in disfacimento e senza anticorpi.

Il meglio che si possa fare è la guerra alle blatte.

Buona fortuna, mi godo un "Porto" invecchiato 12 anni alle Dogas di Lisbona, pensando a quanto sia salvezza la fuga, come in tempi non sospetti ha dettato a questa mia generazione Gabriele Salvatores: "Volevamo dare una mano, non ce lo hanno permesso".

P.S.: Sostiene di chiamarsi Antonio Pereira, di essere un discendente del giornalista del Lisboa protagonista del romanzo di Tabucchi. Sostiene di avermi conosciuto in un giorno d’estate. «Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava». Solo che io non sono mai stato a Lisbona, quindi immagino che menta. E’ un uomo di età ormai avanzata, che ha problemi di cuore e la pressione alta. Un ex giornalista di cronaca nera al quale è stata affidata la pagina culturale del giornale. Ora, essendo piuttosto anziano e poco avvezzo all’uso dei social (né gli interessa), Antonio Pereira non ha un blog e mi ha chiesto di ospitare periodicamente le sue riflessioni.

Nessun commento:

Posta un commento