giovedì 23 luglio 2020

SOSTIENE PEREIRA: Cateno e la blattacomiomachia affondata nell'hotspot 5G


di Antonio Pereira

Altri due schiaffi in due giorni. L'ordinanza insulsa sulla chiusura dell'hotspot di Bisconte è durata - come previsto - lo spazio del nulla. Guidati da una laurea in Giurisprudenza conquistata con i punti delle merendine della "Mulino Bianco", l'ineffabile Musolino (non ne indovina una, a dispetto di una postura severa e saccente, ma servile col Capo) e Catenovirus, se lo sono vista azzerare - sic et simpliciter, previa telefonata di cortesia - dalla prefetta Librizzi... "è supportata da mere presunzioni e indimostrate assunzioni". Insomma, una minchiata.


Ci sarà - forse - un tavolo in cui si affonterà la questione, Cateno e gli ascari messinesi sosterranno che il problema è stato comunque posto e questo è di per sé un merito del sindaco. Ma sapete come finirà? La ministra Lamorgese non incontrerà mai Cateno, il tavolo sarà una cosa inutile, l'hotspot di Bisconte, giustamente, sopravviverà, tutt'al più a Cateno sarà data rassicurazione sull'implementazione dei controlli. Insomma, altro buco nell'acqua, ma in compenso ha parlato alla pancia dei residenti di Bisconte, che scopriamo essere razzisti. È proprio vero: c'è sempre qualcuno che sta più a sud di te.

All'ennesimo schiaffo della prefetta, si aggiunge quello infertogli dal Tar, che con sentenza gli ha detto che non può vietare, "a minchia", l'installazione di antenne 5G, dando ragione a una società di telecomunicazioni. Potrebbe farlo solo su aree mirate e previo vaglio scientifico. Non su tutto il territorio comunale. Altra ordinanza inutile, illusoria, vergata da ineffabili ignoranti in malafede.

A Cateno, dunque, cosa resta? Resta la blattacomiomachia. Non si sforzi a inseguire riferimenti omerici o leopardiani (batracomiomachia): si limiti a inseguire blatte e sorci, perché al senso del conflitto umano traslato su rane e topi non ci può arrivare. La satira non è roba per lui, per cui anche i paralipomeni risulteranno irraggiungibili.

Va da sé che in questo contesto di per sé surreale, e che da Lisbona mi appare talvolta farsesco talaltra tragico, si innesta - non decontestualizzo, ma metto insieme il filo rosso del pensiero e della triste logica - la riesumazione del premio Pro Bono Civitatis, conferito dopo molti anni di oblìo a un tale che non merita neppure di essere citato.

Un tizio che non individuerebbe un congiuntivo neppure se tirasse la monetina. Un ignorante in servizio permanente effettivo, disboscatore di alberi per mandare in stampa ammorbanti, sgrammaticati e asintattici libelli. Esponente di spicco di quello pseudoculturame che trova spazi nei club service, dove si va per scroccare una cena, sentirsi importanti e, possibilmente, molestare donne attempate spente e in attesa di un cerino. Camere di compensazione e di attesa in cui si incrociano pericolosi pseudoborghesi in ascesa e massoncini. A costoro dovrebbe essere imposto un tampone a fine serata.

Dopo questo profluvio di fango, e non senza soffermarmi sulla gioia per la scelta della fuga, ho bisogno di ossigenarmi: bastano le poesie di Ferdinando Pessoa, nulla a che vedere con il pantano della città che è stata mia.

P.S.: Sostiene di chiamarsi Antonio Pereira, di essere un discendente del giornalista del Lisboa protagonista del romanzo di Tabucchi. Sostiene di avermi conosciuto in un giorno d’estate. «Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava». Solo che io non sono mai stato a Lisbona, quindi immagino che menta. E’ un uomo di età ormai avanzata, che ha problemi di cuore e la pressione alta. Un ex giornalista di cronaca nera al quale è stata affidata la pagina culturale del giornale. Ora, essendo piuttosto anziano e poco avvezzo all’uso dei social (né gli interessa), Antonio Pereira non ha un blog e mi ha chiesto di ospitare periodicamente le sue riflessioni.

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