mercoledì 6 maggio 2020

SOSTIENE PEREIRA: Altro che astinenza. E Cateno si calò le braghe



Cassato dal Consiglio di Stato, denunciato dal ministro dell'Interno, controllato a vista dalla prefetta (che riferisce al Viminale), commissariato spiritualmente dall'arcivescovo («zallo, silenzia quelle auto moleste»«affidiamo la città alla Madonna», e non c'è giornalista di pseudo sinistra a libro paga che possa difendere la laicità dello Stato, né che possa ripulirsi una coscienza che vale cento euro), Cateno si è dovuto calare le braghe anche davanti ai circoli sportivi, in particolare del tennis, dovendo mettere una pezza alle idiozie pronunciate dalla spin doctor giuridica, assessora "Daffine" Musolino, ispiratrice delle ordinanze tutte impallinate.


Dunque, da Lisbona,  tiriamo le fila di due mesi di delirio. Dichiara guerra per gli attraversamenti dello Stretto e viene sbugiardato; attacca in sequenza mixata il premier Conte, la ministra Lamorgese e il governatore Musumeci, e viene ignorato o denunciato; l'arcivescovo lo prende a ceffoni, poi lo convoca davanti alla Marina del Nettuno e lui ci va come uno scolaretto bastonato (ma con fascia tricolore), senza neppur aspirare a un pranzo a sbafo da Pasquale Caliri detto Lello con la raccomandazione di Ivo Blandina.


I droni sono una invenzione utile a pagare una parcella a un esperto a titolo falsamente gratuito; il funerale del fratello di Sparacio ha fatto finta di non vederlo lasciando a casa il maresciallo Giardina, che preferisce rincorrere prostitute sudamericane.

Insomma, Cateno è un tragico bluff, la triste rappresentazione di un sovranismo d'accatto, incapace di affrancarsi da un complesso di inferiorità immanente.

Cateno è disperato e sa di essersi avvitato in una spirale che lo porterà al dissolvimento. Ha parlato e continua a parlare alle pance dei quartieri, trovando consensi, ma sa anche che per fare il salto di qualità adesso gli serve altro e ha bisogno di accreditarsi presso quella Messina "presuntivamente bene" che ha fintamente attaccato, ma che se l'è fatta sotto per improvvisa insolvenza e ci ha messo un po' per capire chi fosse davvero: uno che spara alle nuvole.

Apre al Circolo del tennis e vela, che voleva punire - in realtà si è nascosto dietro "Daffine" - per quella storia della vacanza sulle neve a marzo, poi fa dietrofront perché la vendetta era stata "sgamata" e l'ordinanza di Musumeci lo superava in carta. Ci ha guadagnato una racchetta regalatagli dal presidente del Tennis e Vela, che è ospite dell'Autorità portuale e quindi potrebbe fregarsene di Cateno, ma ama la pace e il volemose bene. Problema quasi risolto.

A Cateno resta una racchetta: qualcuno gli spieghi che serve per giocare a tennis e per non alimentare il fuoco della brace su cui «rusti a casa soi» braciole, salsiccia e capretto. Quella è un'altra cosa.
Antonio Pereira

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