SOSTIENE PEREIRA: Alberto Samonà, assessore ai Beni (a)culturali
Sospinto da "gonnellini" ampi e possenti come lo spinnaker di Luna Rossa e dalle felpate, forbite e velenose pressioni di "compassi" acuminati come le frecce Apache, Alberto Samonà, cottimista del giornalismo in continua ricerca di un padrone politico e di un emolumento, una consulenza, un incarico, un riposizionamento, qualunque cosa gli consentisse di campare e apparire, è stato nominato assessore ai Beni culturali di una regione, la Sicilia, che non è più solo irredimibile e buttanissima, ma scellerata, irresponsabile e farsesca. Sì... finanche, ormai, ridicola!
Così mi appare questa terra, dalle colline di Santo André da cui si domina Lisbona, dove si produce un rosato che non ha nulla a che vedere con il Lancers che da Oporto rifilano agli italiani: roba buona per intervallare tutt'al più un Burraco, giocato tra anziane semiastemie, ma ancora gaudenti, e convinte di far bella figura nell'offrire un "rosé" ad amiche semiastemie e a loro volta gaudenti.
Alberto Samonà non ha un profilo culturale, è il nulla applicato alle dinamiche immobiliari dei beni culturali, come dimostra la sua presenza nella Fondazione Piccolo di Capo d'Orlando: una coscia di pollo senza più polpa. Si è esercitato nell'organizzazione di eventi in giro per la Sicilia, ma sempre nella speranza che "mamma Regione" gli andasse in soccorso allargando i cordoni del patrocinio.
Di ambizione inversamente proporzionale all'altezza e al peso - piccolo, segaligno, mellifluo, occhi azzurri che nascondono finzione e insidia - ha sposato la causa destrorsa e forzista fino a quando per mero calcolo, e abbandonato, s'è riscoperto antisistema, antipartitico, incazzato. Trasformandosi in un pasdaran del Movimento 5 Stelle. Per un po' gli hanno creduto: s'è candidato alle "parlamentarie" del 2018 per un posto in lista al Senato, dove - mobilitando i soliti amici politici e di "gonnellino" e di "compasso" - conquista un terzo posto che lo porterebbe dritto a Palazzo Madama.
Ma la suprema "cassazione" della "Casaleggio associati" gli nega la candidatura e lui impazzisce. Dà mandato a un avvocato perché faccia ricorso, e il Tribunale gli risponde quel che apparirebbe ovvio a un laureato di primo pelo in Giurisprudenza, purché non abbia preso la laurea con i punti del Mulino Bianco (ce ne sono tanti con il tesserino di giornalista): i partiti sono associazioni private, candidano chi vogliono, le "parlamentarie" saranno pure una truffa, ma è un problema degli italiani (e questo è un problema tanto serio quanto sottovalutato). Dunque, amen.
Samonà metabolizza il colpo e, dovendo pur campare, cambia cavallo. Diventa sovranista, leghista, si avvicina a Igor Gelarda, che resta fuori per un nonnulla dal Parlamento di Strasburgo, si cuce addosso le mostrine di responsabile culturale per il Carroccio in Sicilia, e la spunta su Matteo Francilia, altro leghista di nuovo conio che non ha mai letto un libro ma almeno è simpatico e (ancora) onesto.
Samonà è questo, ma è sua la colpa? No, la colpa è di Nello Musumeci.
Indebolito da anni di minoritarismo politico, il governatore - superati i sessanta - è entrato in una spirale di pericoloso narcisismo, malcelata dalla corona degli ideali di una vita: onestà, perbenismo, lotta alla corruzione e al malaffare, onore nel senso di orgoglio.
In realtà Musumeci, che subodora da tempo la fine di Forza Italia, lavora solo per se stesso. E cerca una sponda nella Lega per non negoziare più con Gianfranco Miccichè. Perché anche Musumeci sa che il plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia, all'ultima tornata, gli ha riempito le liste di impresentabili, paramafiosi, condannati e ineleggibili: ma la prossima volta non potrà andare così.
Quindi cerca di affrancarsi, ma siccome studia poco, ecco che accoglie in Giunta uno come Samonà.
Che su Facebook scrive cose come queste: «Da Mattarella anche oggi nessuna parola sui morti di Coronavirus (per Coronavirus, dovevi scrivere, scecco; ndP). In compenso ha ribadito che l'antifascismo è un valore, casomai qualcuno lo dimenticasse. Complimenti presidente».
E ancora, questo illuminato pagnottista: «Io non celebro il 25 aprile, festa che non unisce ma divide gli italiani, ieri come oggi» (riscecco: siccome sei assessore ai Beni culturali della Sicilia, devi sapere che prima del "ma" ci devi mettere una virgola; ndP).
P.S.: Sostiene di chiamarsi Antonio Pereira, di essere un discendente del giornalista del Lisboa protagonista del romanzo di Tabucchi. Sostiene di avermi conosciuto in un giorno d’estate. «Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava». Solo che io non sono mai stato a Lisbona, quindi immagino che menta. E’ un uomo di età ormai avanzata, che ha problemi di cuore e la pressione alta. Un ex giornalista di cronaca nera al quale è stata affidata la pagina culturale del giornale. Ora, essendo piuttosto anziano e poco avvezzo all’uso dei social (né gli interessa), Antonio Pereira non ha un blog e mi ha chiesto di ospitare periodicamente le sue riflessioni.
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