NBA: LeBron magnifico perdente, ora la fine del mondo è più vicina

Steph Curry con il Larry O'Brien Trophy (KOIT.com)

La sorpresa del 2016 non si è ripetuta, ma stavolta sarebbe stata ancora più incredibile rispetto ad allora. I Golden State Warriors, la squadra più forte del pianeta, hanno conquistato il loro terzo titolo in quattro anni (e su quello perso proprio nel 2016 andrebbe messo un bell’asterisco...) con un 4-0 in finale ai danni dei Cleveland Cavaliers che ha inevitabilmente accelerato l’addio di LeBron James alla franchigia di casa. Il secondo addio, per la precisione, perché già nel 2010 The King aveva annunciato in diretta tv di voler «portare i suoi talenti a South Beach» scegliendo di andare ai Miami Heat. Allora furono polemiche e roghi di magliette, oggi la separazione sarebbe molto meno cruenta perché nel frattempo – sempre in quel 2016 che ormai sembra il punto in cui s’interrompe il continuum tempo-spazio in Ritorno al futuro – LeBron ha saldato il suo debito portando finalmente i Cavs al titolo.

Archiviata una stagione annunciata come di transizione, e che invece ha raccontato una serie incredibile di storie di basket (restano solo i premi stagionali che verranno annunciati il 25 giugno: nessuno di questi vincerà ma io darei l’Mvp a James, il Rookie of the Year a Jayson Tatum, il Defensive Player a Draymond Green, il Sixth Man a Marco Belinelli e il Coach of the Year a Brad Stevens), è ovviamente il futuro di LeBron a tenere banco. Anche perché il Prescelto è reduce, a quasi 34 anni, dalla sua miglior stagione in carriera (27.5 punti, 8.6 rimbalzi e 9.1 assist in regular season, addirittura 34 punti, 9.1 rimbalzi e 9 assist nei playoff!) che però non è bastata per vincere e che non basta nemmeno per pensare che i Cavs possano vincere a breve termine, specie dopo l’ennesimo stravolgimento del roster effettuato in emergenza alla trade deadline. Ora, anche se a denti stretti devo ammettere che questo LeBron è non solo il più forte del lotto, ma un giocatore che è migliorato enormemente negli anni dal punto di vista tecnico e della capacità di leggere le partite, non posso non rilevare che le sue otto finali NBA consecutive (nove in carriera) siano legate al fatto che James ha giocato sempre nel meno competitivo Est, dove dal 2006-07 solo la Boston dei big three e, un anno, la sorprendente Orlando di Dwight Howard sono riuscite a fermare la sua corsa prima dell’atto conclusivo.

La delusione di LeBron James (usatoday.com)
L’altra faccia della medaglia, com’è normale, è che una volta arrivata alle Finals la squadra di LeBron fosse meno forte, e quindi sfavorita, rispetto all’avversaria; se si eccettua il 2012, quando Miami dominò una OKC non ancora pronta nonostante il trio Durant-Harden-Westbrook, gli altri due titoli conquistati da James – il secondo con gli Heat e l’unico con Cleveland – sono arrivati in maniera fortunosa il primo (con la folle tripla di Ray Allen a 5” dalla fine di gara-6 mentre San Antonio già festeggiava l’anello) e discussa, anzi discutibile il secondo (pesantemente orientato dalla NBA con la sospensione di Draymond Green per gara-5 con gli Warriors avanti 3-1). E se l’uomo da Akron anziché tre titoli ne avesse vinto uno, perdendo le altre otto Finali, oggi tutto il mondo del basket sarebbe un po’ più cauto nel giudizio su di lui in ottica “il più grande di sempre”. Ottica che – anche se non fa più passi in partenza ogni volta che mette la palla per terra – continua a sembrarmi al di sopra delle sue orbite.

Che sia o meno tra i primissimi della storia della NBA, LeBron James resta certamente il numero uno di quest’epoca post-Kobe. E proprio dove Kobe ha lasciato un vuoto apparentemente incolmabile, ovvero ai Los Angeles Lakers, è altamente probabile che The King approdi durante la off-season: come è noto si tratta del più grande mercato della NBA, dove James ha già una casa e dove pare abbia iscritto uno dei figli a scuola. Certo, LeBron avrebbe altre opzioni (Boston o Philadelphia rimanendo a Est, Houston nell’altra Conference) che gli permetterebbero di tenere subito il titolo nel radar, ma il piano diabolico del management dei Lakers (il presidente Magic Johnson e il general manager Rob Pelinka) è di allestire una corazzata in grado di riportare allo Staples Center lo showtime. Dell’obiettivo Paul George, losangelino e reduce a OKC da una bruciante eliminazione al primo turno dei playoff, già si sa tutto; ma gli ultimi giorni, con la sorprendente rottura tra Kawhi Leonard e i San Antonio Spurs, hanno spalancato uno scenario che – se tutte le tessere del mosaico andassero al loro posto –  porterebbe a L.A. una riedizione dei Big Three.

I Big Three dei sogni di Magic Johnson (youtube.com)
Dal momento che la metropoli californiana è la destinazione preferita anche di Leonard (nato a Riverside dove ha giocato alla high school, poi per un anno al college a San Diego State), i Lakers offrirebbero agli Spurs in cambio dell’Mvp delle Finali 2014 un “pacchetto” comprendente una delle due potenziali stelle del roster gialloviola, ovvero Lonzo Ball e Brandon Ingram, più Kyle Kuzma (reduce da una stagione da rookie ad oltre 16 punti e 6 rimbalzi di media) e il contrattone di Luol Deng. A quel punto partirebbe l’assalto a James e George, oppure a James e Chris Paul se agli Spurs dovesse andare il playmaker da UCLA insieme... all’ingombrante papà LaVar Ball. A quel punto, però, rischia di non esserci più spazio per confermare (anche con la cosiddetta qualifying offer) il lungo Julius Randle, forse il loro miglior giocatore della stagione (16 punti e 8 rimbalzi a partita) insieme a Brandon Ingram. Ma se Magic, con il suo carisma, riuscisse a limare qualcosa sui vari contratti la cosa potrebbe addirittura funzionare: LeBron, Leonard e George (o CP3) insieme!

Resta il fatto che si tratterebbe davvero della fine del mondo. Ma per battere a Ovest gli invincibili Golden State Warriors del trio Curry-Durant-Thompson, stando a quanto si è visto nell’ultima stagione, servirà qualcosa di pazzesco durante l’estate.

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