Meo Sacchetti: «La Nazionale? Un fulmine a ciel sereno. Capo, una vittoria per rilanciarsi»

Sacchetti tra Petrucci e Messina (repubblica.it)

Romeo Sacchetti è il classico uomo di basket. E’ vero che non vorresti incontrarlo in un vicolo al buio – se non per un alley-oop – perché è alto due metri, largo altrettanto nonostante di recente sia parecchio dimagrito, e con un’aria vagamente truce che sconsiglia di contraddirlo; ma sotto il baffo c’è un grande cuore, come sanno i tifosi di Capo d’Orlando dove Meo – diminutivo che è diventato un marchio – ha esordito in panchina nella massima serie in un’annata irripetibile. C’è l’umiltà dell’uomo di basket, quella mancanza di spocchia che distingue ad esempio i cestisti dai calciatori (provateci voi, ad avere a che fare con un qualsiasi giocatore di Lega Pro), quella disponibilità innata che non viene meno “semplicemente” perché sei l’allenatore della Nazionale. E così, Meo si presta di buon grado a rispondere alle domande de IlMaxFactor. Certo, non a tutte; perché al delirio non si risponde. E’ la regola.

Sei diventato ct il 1. agosto dello scorso anno, subito dopo gli Europei, e a fine febbraio hai conquistato il primo obiettivo: la seconda fase delle qualificazioni mondiali. Per te dev’essere stato un vero frullatore di emozioni: l’azzurro che avevi vestito da giocatore vincendo gli Europei di Nantes e l’argento olimpico a Mosca, l’esordio a Torino dove sei stato un simbolo sul parquet, peraltro contro la Romania delle tue origini, la convocazione di tuo figlio Brian, fino alla trasferta proprio in Romania, il Paese dal quale i tuoi genitori si sono trasferiti nuovamente in Italia prima che tu nascessi. Ce n’è per due romanzi, non uno.

Meo con la canotta di Torino
«Sicuramente la chiamata della Federazione è stata un fulmine a ciel sereno. Non me lo aspettavo in quel momento, ci avevo fatto un pensiero dopo l’anno del “triplete” a Sassari, ma vista la scelta di Ettore – il miglior coach italiano – mi sono messo il cuore in pace. E’ normale che un giocatore che ha vestito la maglia azzurra che poi diventa coach della  Nazionale abbia una sensazione particolare. Così come è stato particolare l’esordio a Torino, contro la Romania dove sono nati tutti i componenti della mia famiglia; mentre in tutta onestà la partita in Romania, non avendoci vissuto, non mi ha trasmesso particolari sensazioni. Per quanto riguarda l’esordio di Brian... beh, penso che fosse più emozionata mia moglie!».

Le quattro vittorie nelle prime due “finestre” contro Croazia, Olanda e (due volte) Romania ti hanno già garantito un posto nel girone della seconda fase, nella quale l’Italia contro Lituania, Polonia e Ungheria si porterà dietro i punti già conquistati. Un bel vantaggio, specie ne arriveranno altri 4 a fine giugno, perché le prime tre approderanno ai Mondiali. La Cina è vicina? Cosa manca agli azzurri, stelle Nba e giocatori di Eurolega a parte, per centrare questo importantissimo obiettivo, e soprattutto cosa avrà in più questa Nazionale il prossimo anno quando si giocherà la rassegna iridata?

«Siamo molto contenti di aver raggiunto il primo step, ma saranno altrettanto importanti le due ultime partite del primo girone con Croazia e Olanda perché, appunto, i punti conquistati serviranno nel secondo girone. Per quanto riguarda la squadra, abbiamo sempre fatto il nostro meglio con i giocatori che avevamo a disposizione in quel momento. Vedremo la disponibilità e la voglia dei giocatori che sono impegnati all’estero di far parte del gruppo».

Ryan Arcidiacono con la Sperimentale (gazzetta.it)
Il tuo basket, che pure si è adattato negli anni diventando meno uptempo e meno sbilanciato sull’attacco, passa comunque dal talento offensivo individuale. Prova ne sia il fatto che Amedeo Della Valle – da ultimo “taglio” prima degli Europei – è diventato il punto di riferimento degli azzurri. Mi sembra che nel gruppo il talento sia distribuito soprattutto tra gli esterni, meno in posizione di play e  centro. Ma davvero non si riesce a rendere eleggibile per l’azzurro uno come Ryan Arcidiacono, point guard di Villanova campione NCAA e miglior giocatore del torneo 2016, che ha già giocato nella Sperimentale?

«Ho cercato di ottenere dai miei giocatori che continuassero a fare le cose che fanno nei club, ma con un atteggiamento più deciso anche in difesa, senza necessariamente preoccuparsi dei falli perché avevamo sostituti adeguati. Sicuramente abbiamo anche dei problemi di stazza sotto canestro rispetto alle avversarie, ma i giocatori che ho schierato per ora hanno sfruttato le proprie caratteristiche per ovviare a questa lacuna. Quanto ai giocatori di passaporto italiano, mi uanto stanno proponendo diversi atleti che hanno la possibilità di giocare in Nazionale; vedremo e faremo la scelta migliore per il ruolo in cui dovessimo avere bisogno di un innesto di qualità».

Danilo Gallinari e Marco Belinelli (corrieredellosport.it)
Hai ovviamente dato tante responsabilità ai vari Della Valle, Gentile, Aradori; cosa succederà nel gruppo – tecnicamente e dal punto di vista delle gerarchie – quando potrai inserire Belinelli, che sta facendo una stagione super in NBA, Gallinari, Melli e Hackett? E soprattutto, come pensi di... allungare la coperta sotto le plance in vista di impegni contro squadre più dotate di noi dal punto di vista fisico? Melli è troppo leggero per giocare da centro con, che so, Gallinari da ala forte come quest’anno ai Clippers?

«Cercheremo di portare in Nazionale i migliori giocatori italiani, però anche quelli che hanno veramente voglia di vestire questa maglia. Indubbiamente Melli è diventato un giocatore totale, che è in grado anche di ricoprire un ruolo che non è propriamente il suo, ma è un ragazzo che ha una disponibilità totale. Allo stesso modo, Gallinari e gli altri – parlo dei vari Belinelli, Datome e Hackett – hanno un’esperienza tale da poter giocare anche in più ruoli».

Hai perso tuo padre quando eri piccolissimo. Cosa significa per te aver allenato tuo figlio Brian, anzi allenarlo visto che lo hai anche convocato in Nazionale? E quanto ti fa piacere che praticamente nessuno abbia avuto da ridire sul fatto che il figlio del ct venisse chiamato in azzurro? E’ il riconoscimento delle qualità di Brian, della sua importanza in un gruppo a livello tecnico e caratteriale, ma anche della tua onestà intellettuale. Com’è il vostro rapporto adesso?

Sassari è campione d'Italia: l'abbraccio tra Brian e papà Meo (corriere.it)
«Brian è un giocatore che conosce la pallacanestro, pur senza avere dei mezzi fisici straordinari rispetto ad altri; ma ha la capacità di fare la cosa giusta, quella che serve all’interno di un gruppo. Quindi devo dire che i meriti per la convocazione sono suoi. Abbiamo un bel rapporto, ma ogni tanto ci scontriamo come è giusto che sia tra un giocatore ed un allenatore...».

Meo con Vacirca, Diener, Bruttini e Citrini all'Ignis (lastampa.it)
E’ stata Capo d’Orlando a portarti in Serie A da Castelletto Ticino dove, insieme a Gianmaria Vacirca, giocavi un basket spettacolare e redditizio. In quella stagione alla corte dei Sindoni hai centrato Final Eight di Coppa e playoff. Dopo la parentesi a Udine l’epopea di Sassari – dove hai vinto uno scudetto, due Coppe Italia e due Supercoppe – e l’annata storta a Brindisi, più per i problemi societari che sul parquet dove hai sfiorato i playoff. Ripartire da Cremona, appena retrocessa in Serie A2, sembrava un passo indietro. Invece, dopo il ripescaggio per l’esclusione di Caserta, sei in piena zona playoff dopo una brillante semifinale di Coppa Italia. Dove può arrivare la tua Vanoli?

«Ho fatto la scelta di Cremona, anche se era in Serie A2, perché mi sembrava che fosse l’ambiente giusto per esprimere me stesso e la mia pallacanestro, al di là della categoria. Ho avuto ragione. Dove possiamo arrivare? Praticamente raggiunta la salvezza, adesso possiamo solo giocare le ultime partite con lo scopo di vincerne il più possibile. Poi vedremo cosa succederà».

A proposito di Capo d’Orlando, città che ti è rimasta nel cuore dal punto di vista sportivo e umano: nessuno pensava davvero che potesse ripetere l’ultima, incredibile stagione ma come vedi le difficoltà che sta affrontando la squadra di Gennaro Di Carlo, con la società costretta a cambiare tantissimo in corso d’opera? Dopo la sconfitta di Pesaro la salvezza è più lontana?

Meo con Gianmarco Pozzecco a Capo d'Orlando
«Non è un mistero che Capo sia stata una parte importante della mia carriera: la scelta di Sindoni di farmi esordire in Serie A ha cambiato il mio futuro da allenatore. Per quanto riguarda questa stagione, sicuramente il doppio impegno in campionato e Champions League ha penalizzato Capo, che però ha sempre dimostrato di saper affrontare e tirarsi fuori da situazioni non facili. Penso che basterà una vittoria per cambiare questo trend negativo».

A proposito di Meo Sacchetti, invece. Quanto e in cosa sei cambiato da quel primo approccio alla Serie A quando ci siamo conosciuti, peraltro in una piazza che – per ammissione generale – è molto diversa da tutte le altre, che crea intorno alla squadra un ambiente “protetto” ma che forse non ti prepara ai problemi inevitabili in altre realtà? In cosa è cresciuto Meo Sacchetti oggi? Chi è diventato, come allenatore e come persona? Se ti sei accorto di essere meno simpatico, amabile e disponibile di un tempo puoi dirlo, nessuno te ne vorrà...

«Sicuramente ho un po’ di esperienza in più, sia di cose positive che negative. Penso di essere sempre me stesso, la mia idea è gustare e tenere care le esperienze positive e vivere il piacere di questo mestiere. Faccio pur sempre un lavoro che mi piace, e per il quale mi pagano.,. So anche che l’allenatore passa velocemente dalle stelle alle stalle; ma questo è il suo ruolo, va benissimo così».
Il libro scritto da Meo Sacchetti

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