mercoledì 13 dicembre 2017

“Zu Vittò” Sgarbi, vi presento l’impresentabile

Una delle tante intemerate di Vittorio Sgarbi da Costanzo
Mi è sempre piaciuto, Vittorio Sgarbi. Da quando, in una puntata del Maurizio Costanzo Show del 1989, a un’insegnante che aveva letto in diretta una poesia da lui giudicata orribile (lo era) e che lo aveva definito «Un asino poetico» rispose con un (allora) poco televisivo «E lei è una stronza!». Per un po’ sono stato pure convinto che fosse un attore, una specie di Drusilla Foer, e mi sembrava davvero uno bravo. Invece la signora lo querelò e, pare, fu condannato a pagare 60 milioni di lire. Veri.

Ecco, quella vicenda è un po’ l’epitome della dimensione pubblica di questo critico d’arte prestato alla politica. Anzi, “impegnato” in politica; nel senso che qualcuno deve aver portato il critico d’arte al Monte di Pietà senza poi andare a riscattarlo, e a noi è rimasto (purtroppo) il politico. Sgarbi potrebbe essere un personaggio delle Satire di Orazio, quello che piuttosto che perdere una battuta non esita a perdere un amico; spesso non predica neanche malissimo ma, quando si tratta di... razzolare, ne combina una più di Giufà. Tanto da fare quasi sempre una brutta fine dal punto di vista giudiziario, con la nobile eccezione dell’allocuzione «Capra! Capra! Capra!» che secondo un giudice di vedute particolarmente larghe non è un insulto.

Nino Di Matteo e Sgarbi (espresso.repubblica.it)
L’ultimo exploit verbale di “Zu Vittò” è dedicato ancora una volta al magistrato Nino Di Matteo: non è un eroe ­– suggerisce Sgarbi – perché non è morto, anzi è “stravivo” e sulle minacce di Riina ha costruito una carriera. Parole non casuali: a gennaio sarà processato, mi pare a Monza, per diffamazione aggravata proprio nei confronti del pubblico ministero palermitano (cittadino onorario di Messina, lo ricordo), quindi possiamo dire che era una specie di pretattica della vigilia. Così, per scaldare il clima in vista della partita. Peccato che Sgarbi sia il nuovo assessore ai Beni culturali della Regione siciliana nella Giunta di Nelluzzu Beddu Musumeci, che già in passato aveva apertamente preso posizione in favore di Di Matteo e che ancora dopo l’elezione a presidente della Regione rassicurava i magistrati: «Sarò sempre con voi». Puntuale quindi la reprimenda di Nelluzzu al suo assessore, richiamato (giustamente) a un più consono contegno istituzionale, e puntualmente piccata la replica di “Zu Vittò”: «Prendo atto ­­– sintetizzo – che la mia libertà di opinione è condizionata dallo stato di emergenza nel quale si intende lasciare la Sicilia, limitando i diritti costituzionali garantiti dall’Italia. Per questo, nel tempo del mio impegno come assessore ai Beni culturali, mi occuperò soltanto del patrimonio e della sua tutela, evitando di pronunciarmi sulla cronaca e sulle questioni giudiziarie».

Ora, l’ultima sarebbe veramente un’ottima idea. Intanto perché Sgarbi è tutt’altro che uno sprovveduto dal punto di vista professionale, e poi perché le questioni giudiziarie storicamente non gli sono amiche. E non parlo della querela da 60 milioni di lire dell’aspirante poetessa. (Segnare: due litoti e una mezza aposiopesi in tre righe, giusto per non sfigurare di fronte a cotanta cultura.)  No, le disavventure del Nostro con la giustizia italiana sono più serie e articolate, tanto da valergli una bella medaglia da “impresentabile” che nel dibattito sulle candidature alle ultime Regionali – al quale peraltro ha preso parte con una certa acrimonia – è rimasta sorprendentemente chiusa in un cassetto.
Perché è vero, Sgarbi tecnicamente non era candidato. Dopo aver lanciato la propria corsa alla presidenza della Sicilia con la lista “Rinascimento”, ha barattato il ritiro con un posto in Giunta. Direttamente con Berlusconi. Peccato, perché se lo avesse fatto forse si sarebbe parlato della sua condanna definitiva per truffa ai danni dello Stato quando lavorava alla Soprintendenza di Venezia e dello scioglimento per mafia del Comune del quale era sindaco, Salemi. Per il quale gli fu impedita (più o meno) la successiva candidatura a primo cittadino di Cefalù. E invece, “Zu Vittò” ha ancora diritto di parola sull’argomento: rimbrotta la Bindi e l’Antimafia, difende Cateno De Luca – che a differenza sua, non avendo riportato condanne penali, “impresentabile” non è – e già che c’è bercia contro Nino Di Matteo, reo di non essersi ancora fatto ammazzare. Che grande Paese democratico siamo, dove un sindaco sciolto per mafia può permettersi di sfottere un magistrato sotto scorta dal 1993 senza finire impalato.

La condanna definitiva per truffa ai danni dello Stato, come ho accennato, riguarda il periodo in cui un giovane Sgarbi venne assunto come ispettore dei beni culturali alla Soprintendenza di Venezia. Si tratta fondamentalmente di un caso di assenteismo “cronico”: grazie ai certificati falsi redatti da un medico compiacente, tra giugno 1987 e gennaio 1990 lavorò solo tre giorni ma non fu mai licenziato perché – per sua stessa ammissione – l’allora ministro ad interim dei Beni culturali Giulio Andreotti intervenne per chiudere la vicenda con una sospensione di un mese. In sede penale, tuttavia, Sgarbi fu condannato a sei mesi di carcere e ad una multa nonostante un periodo fosse coperto dall’amnistia. Condanna diventata definitiva dopo le conferme in Appello e in Cassazione, mentre le dimissioni (in realtà mai formalizzate) per evitare il licenziamento sono state ritenute non valide dal Tribunale di Venezia, che nel 2016 ha imposto alla Soprintendenza di riammettere nei ruoli il critico d’arte. Ad ogni modo “Zu Vittò” è un pregiudicato, anzi un impresentabile a tutti gli effetti.

Vittorio Sgarbi sindaco di Salemi con fascia tricolore (da YouTube)
D’altra parte, quando nel 2008 il rais della Dc trapanese Pino Giammarinaro lo convinse a candidarsi a sindaco di Salemi, il paese dei fratelli Salvo, al di là della teatralissima facciata (l’assessorato a Oliviero Toscani, la battaglia simil-ambientalista contro l’eolico, il soggiorno al lussuosissimo “Giardino di Costanza” a Mazara del Vallo) fu subito evidente come Sgarbi fosse uno specchietto per le allodole, il volto televisivo che doveva distogliere l’attenzione dalla reale natura dell’operazione poi smascherata dall’arresto di Giammarinaro e dal sequestro di beni per 35 milioni di euro. In quella vicenda di infiltrazioni mafiose che portò allo scioglimento – secondo la relazione portata dall’allora ministro dell’Interno, Anna Maria Cancelleri, in Consiglio dei ministri – «il sindaco ha precise responsabilità». L’accusa è grave: «Ritardi e inerzie nell’assegnazione e gestione dei beni confiscati, formazione degli atti fuori dalle sedi istituzionali, libera determinazione fortemente ostacolata, applicazione di facciata dei protocolli di legalità… l’amministrazione, col sindaco e vicesindaco, non ha posto alcun argine al condizionamento esercitato dall’on. Giammarinaro». E se il vicesindaco Antonella Favuzza è «legato da stretti vincoli con noti e storici esponenti delle locali famiglie criminali», durante l’ispezione della commissione di accesso «è il sindaco ad affermare la centralità della figura di Giammarinaro, anche a proposito della attribuzione di incarichi e nomine».

Certo, non è pensabile che un semplice scioglimento per infiltrazioni mafiose possa fermare “Zu Vittò”: tanto che al giro successivo, con la giusta faccia di tolla, il Nostro si candida a sindaco di Cefalù. Il Tribunale di Marsala lo stoppa, dichiarandolo “incandidabile” ai sensi dell’art. 143 del TUEL. Ma Sgarbi è evidentemente convinto di essere legibus solutus: dichiara che la sentenza è «tecnicamente insignificante» perché non definitiva, ricorre in Appello e quindi in Cassazione. L’esclusione verrà confermata, ma siccome siamo in Italia “Zu Vittò”  farà in tempo a correre comunque alle elezioni, classificandosi (per fortuna) terzo e risparmiandoci altre grandi imprese.


Una tipica espressione di Vittorio Sgarbi... (davidemaggio.it)
Grandi imprese che è invece lecito attenderci oggi, da assessore nella giunta Nelluzzu. A rigore, uno studioso della sua qualità ai Beni culturali – al di là dei tanti “inciampi” in carriera, come le monografie scopiazzate da altri critici – in un posto come la Sicilia, che ha un patrimonio archeologico, artistico e monumentale praticamente senza eguali nel mondo, potrebbe essere davvero una svolta. Ma finora si è segnalato solo per il prelievo (praticamente) forzoso della tavoletta della Madonna con bambino benedicente dal Museo regionale di Messina, che non potrà esporla durante le feste perché Sgarbi è il curatore della mostra “Tesori nascosti” che sarà al Castello Ursino di Catania fino a maggio. Un bel modo per promuovere e valorizzare la recente apertura del nuovo Museo... Ma d’altra parte – ha spiegato ­– «La caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile». E se lo dice lui, che fu accusato dal suo maestro Vittorio Zeri di aver truffato un’anziana contessa trevigiana facendosi consegnare per 25 milioni di lire (pagandone solo 8) una Cena di Emmaus del pittore Giovanni Agostino da Lodi dopo averla convinta che il quadro era in condizioni tali da rendere il restauro difficile e molto costoso, c’è da crederci.

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