“Zu Vittò” Sgarbi, vi presento l’impresentabile
Una delle tante intemerate di Vittorio Sgarbi da Costanzo |
Mi
è sempre piaciuto, Vittorio Sgarbi. Da quando, in una puntata del Maurizio Costanzo Show del 1989, a
un’insegnante che aveva letto in diretta una poesia da lui giudicata orribile
(lo era) e che lo aveva definito «Un asino poetico» rispose con un (allora)
poco televisivo «E lei è una stronza!». Per un po’ sono stato pure convinto che
fosse un attore, una specie di Drusilla Foer, e mi sembrava davvero uno bravo.
Invece la signora lo querelò e, pare, fu condannato a pagare 60 milioni di
lire. Veri.
Ecco, quella vicenda è
un po’ l’epitome della dimensione pubblica di questo critico d’arte prestato
alla politica. Anzi, “impegnato” in politica; nel senso che qualcuno deve aver
portato il critico d’arte al Monte di Pietà senza poi andare a riscattarlo, e a
noi è rimasto (purtroppo) il politico. Sgarbi potrebbe essere un personaggio
delle Satire di Orazio, quello che
piuttosto che perdere una battuta non esita a perdere un amico; spesso non
predica neanche malissimo ma, quando si tratta di... razzolare, ne combina una
più di Giufà. Tanto da fare quasi sempre una brutta fine dal punto di vista
giudiziario, con la nobile eccezione dell’allocuzione «Capra! Capra! Capra!»
che secondo un giudice di vedute particolarmente larghe non è un insulto.
Nino Di Matteo e Sgarbi (espresso.repubblica.it) |
L’ultimo exploit verbale di “Zu Vittò” è dedicato
ancora una volta al magistrato Nino Di Matteo: non è un eroe – suggerisce
Sgarbi – perché non è morto, anzi è “stravivo” e sulle minacce di Riina ha
costruito una carriera. Parole non casuali: a gennaio sarà processato, mi pare
a Monza, per diffamazione aggravata proprio nei confronti del pubblico
ministero palermitano (cittadino onorario di Messina, lo ricordo), quindi
possiamo dire che era una specie di pretattica della vigilia. Così, per
scaldare il clima in vista della partita. Peccato che Sgarbi sia il nuovo
assessore ai Beni culturali della Regione siciliana nella Giunta di Nelluzzu Beddu Musumeci, che già in
passato aveva apertamente preso posizione in favore di Di Matteo e che ancora
dopo l’elezione a presidente della Regione rassicurava i magistrati: «Sarò
sempre con voi». Puntuale quindi la reprimenda di Nelluzzu al suo assessore, richiamato (giustamente) a un più
consono contegno istituzionale, e puntualmente piccata la replica di “Zu
Vittò”: «Prendo atto – sintetizzo – che la mia libertà di opinione è
condizionata dallo stato di emergenza nel quale si intende lasciare la Sicilia,
limitando i diritti costituzionali garantiti dall’Italia. Per questo, nel tempo
del mio impegno come assessore ai Beni culturali, mi occuperò soltanto del
patrimonio e della sua tutela, evitando di pronunciarmi sulla cronaca e sulle
questioni giudiziarie».
Ora, l’ultima sarebbe
veramente un’ottima idea. Intanto perché Sgarbi è tutt’altro che uno sprovveduto
dal punto di vista professionale, e poi perché le questioni giudiziarie
storicamente non gli sono amiche. E non parlo della querela da 60 milioni di
lire dell’aspirante poetessa. (Segnare: due litoti e una mezza aposiopesi in
tre righe, giusto per non sfigurare di fronte a cotanta cultura.) No, le disavventure del Nostro con la
giustizia italiana sono più serie e articolate, tanto da valergli una bella
medaglia da “impresentabile” che nel dibattito sulle candidature alle ultime
Regionali – al quale peraltro ha preso parte con una certa acrimonia – è
rimasta sorprendentemente chiusa in un cassetto.
Perché è vero, Sgarbi
tecnicamente non era candidato. Dopo aver lanciato la propria corsa alla
presidenza della Sicilia con la lista “Rinascimento”, ha barattato il ritiro
con un posto in Giunta. Direttamente con Berlusconi. Peccato, perché se lo
avesse fatto forse si sarebbe parlato della sua condanna definitiva per truffa
ai danni dello Stato quando lavorava alla Soprintendenza di Venezia e dello scioglimento
per mafia del Comune del quale era sindaco, Salemi. Per il quale gli fu
impedita (più o meno) la successiva candidatura a primo cittadino di Cefalù. E
invece, “Zu Vittò” ha ancora diritto di parola sull’argomento: rimbrotta la
Bindi e l’Antimafia, difende Cateno De Luca – che a differenza sua, non avendo
riportato condanne penali, “impresentabile” non è – e già che c’è bercia contro
Nino Di Matteo, reo di non essersi ancora fatto ammazzare. Che grande Paese
democratico siamo, dove un sindaco sciolto per mafia può permettersi di
sfottere un magistrato sotto scorta dal 1993 senza finire impalato.
La condanna definitiva
per truffa ai danni dello Stato, come ho accennato, riguarda il periodo in cui
un giovane Sgarbi venne assunto come ispettore dei beni culturali alla
Soprintendenza di Venezia. Si tratta fondamentalmente di un caso di assenteismo
“cronico”: grazie ai certificati falsi redatti da un medico compiacente, tra
giugno 1987 e gennaio 1990 lavorò solo tre giorni ma non fu mai licenziato
perché – per sua stessa ammissione – l’allora ministro ad interim dei Beni culturali Giulio Andreotti intervenne per
chiudere la vicenda con una sospensione di un mese. In sede penale, tuttavia,
Sgarbi fu condannato a sei mesi di carcere e ad una multa nonostante un periodo
fosse coperto dall’amnistia. Condanna diventata definitiva dopo le conferme in
Appello e in Cassazione, mentre le dimissioni (in realtà mai formalizzate) per
evitare il licenziamento sono state ritenute non valide dal Tribunale di
Venezia, che nel 2016 ha imposto alla Soprintendenza di riammettere nei ruoli
il critico d’arte. Ad ogni modo “Zu Vittò” è un pregiudicato, anzi un
impresentabile a tutti gli effetti.
Vittorio Sgarbi sindaco di Salemi con fascia tricolore (da YouTube) |
D’altra parte, quando nel 2008 il rais della Dc trapanese Pino
Giammarinaro lo convinse a candidarsi a sindaco di Salemi, il paese dei fratelli Salvo, al di là
della teatralissima facciata (l’assessorato a Oliviero Toscani, la battaglia
simil-ambientalista contro l’eolico, il soggiorno al lussuosissimo “Giardino di
Costanza” a Mazara del Vallo) fu subito evidente come Sgarbi fosse uno
specchietto per le allodole, il volto televisivo che doveva distogliere l’attenzione
dalla reale natura dell’operazione poi smascherata dall’arresto di
Giammarinaro e dal sequestro di beni per 35 milioni di euro. In quella vicenda
di infiltrazioni mafiose che portò allo scioglimento – secondo la relazione
portata dall’allora ministro dell’Interno, Anna Maria Cancelleri, in Consiglio
dei ministri – «il sindaco ha precise
responsabilità». L’accusa è grave: «Ritardi e inerzie nell’assegnazione e
gestione dei beni confiscati, formazione degli atti fuori dalle sedi
istituzionali, libera determinazione fortemente ostacolata, applicazione di
facciata dei protocolli di legalità… l’amministrazione, col sindaco e vicesindaco,
non ha posto alcun argine al condizionamento esercitato dall’on. Giammarinaro».
E se il vicesindaco Antonella Favuzza è «legato da stretti vincoli con noti e
storici esponenti delle locali famiglie criminali», durante l’ispezione
della commissione di accesso «è il sindaco ad affermare la centralità della
figura di Giammarinaro, anche a proposito della attribuzione di incarichi e
nomine».
Certo, non è
pensabile che un semplice scioglimento per infiltrazioni mafiose possa fermare “Zu
Vittò”: tanto che al giro successivo, con la giusta faccia di tolla, il Nostro
si candida a sindaco di Cefalù. Il Tribunale di Marsala lo stoppa,
dichiarandolo “incandidabile” ai sensi dell’art. 143 del TUEL. Ma Sgarbi è
evidentemente convinto di essere legibus
solutus: dichiara che la sentenza è «tecnicamente insignificante» perché
non definitiva, ricorre in Appello e quindi in Cassazione. L’esclusione verrà
confermata, ma siccome siamo in Italia “Zu Vittò” farà in tempo a correre comunque alle
elezioni, classificandosi (per fortuna) terzo e risparmiandoci altre grandi
imprese.
Una tipica espressione di Vittorio Sgarbi... (davidemaggio.it) |
Grandi imprese che è
invece lecito attenderci oggi, da assessore nella giunta Nelluzzu. A rigore, uno studioso della sua qualità ai Beni
culturali – al di là dei tanti “inciampi” in carriera, come le monografie
scopiazzate da altri critici – in un posto come la Sicilia, che ha un
patrimonio archeologico, artistico e monumentale praticamente senza eguali nel
mondo, potrebbe essere davvero una svolta. Ma finora si è segnalato solo per il
prelievo (praticamente) forzoso della tavoletta della Madonna con bambino benedicente dal Museo regionale di Messina, che
non potrà esporla durante le feste perché Sgarbi è il curatore della mostra “Tesori
nascosti” che sarà al Castello Ursino di Catania fino a maggio. Un bel modo per
promuovere e valorizzare la recente apertura del nuovo Museo... Ma d’altra
parte – ha spiegato – «La caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è
imprevedibile». E se lo dice lui, che fu accusato dal suo maestro Vittorio Zeri
di aver truffato un’anziana contessa trevigiana facendosi consegnare per 25
milioni di lire (pagandone solo 8) una Cena
di Emmaus del pittore Giovanni Agostino da Lodi dopo averla convinta che il
quadro era in condizioni tali da rendere il restauro difficile e molto costoso,
c’è da crederci.
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