#CiaoneCarbone, il Brunori Sas del Pd
«Su di una cosa potrete star certi:
non ci sarà più scollamento tra ciò che il Pd dirà
e le posizioni dei consiglieri.
L’obiettivo è ridare un’idea unitaria al partito»
Le ultime parole famose di
Ernesto Carbone, 13 ottobre 2015
non ci sarà più scollamento tra ciò che il Pd dirà
e le posizioni dei consiglieri.
L’obiettivo è ridare un’idea unitaria al partito»
Le ultime parole famose di
Ernesto Carbone, 13 ottobre 2015
Matteo Renzi al Lingotto |
Che Renzi al Lingotto
abbia citato il cantautore cosentino Brunori Sas e la sua canzone Il costume da torero («Non sarò mai
abbastanza cinico / da smettere di credere / che il mondo possa essere / migliore
di com’è / Ma non sarò neanche tanto stupido / da credere / che il mondo possa
crescere / se non parto da me») è per alcuni versi la chiusura di un cerchio.
Non certo perché Dario
Brunori possa definirsi renziano o perché il patrimonio di valori del renzismo
si possa in qualche misura sovrapporre a quello che emerge dai testi di
Brunori, ma perché Renzi e i suoi spin
doctors hanno già da tempo puntato la generazione a cui parlano i
cantautori come Brunori Sas (quella che va dai nati negli anni Settanta fino ai
millennials), a maggior ragione ora
che la scissione ha portato fuori dal partito dalemiani bersaniani pidiessini mangiabambini
e affini, e soprattutto perché probabilmente Brunori gli ricorda l’amato
Ernesto Carbone.
Ernesto Carbone, deputato del Pd, in arte #ciaone |
Cosentino come Dario
Brunori, classe 1974 (tre anni più anziano del cantautore), anche Carbone ha
seguito la strada tracciata dal primo in Rosa:
«Devo andare a Milano, / a Torino o Bologna, / insomma devo scappare / ché qui
in Calabria non c’è niente, proprio niente da fare / c’è chi canta e chi conta
e chi continua a pregare». E se Brunori scappa a Siena per studiare economia,
Carbone sceglie Bologna e gli studi di giurisprudenza. Tesi di laurea in
Diritto costituzionale sul finanziamento pubblico dei partiti politici e inizio
della parte di avventura, professionale e politica, che lo lega a Romano Prodi:
dal 2001 al 2004 è con vari ruoli in Nomisma, tra il 2006 e il 2008 è capo
della segreteria particolare del ministro delle Politiche agricole Paolo De
Castro.
A questo periodo risale
la sua prima disavventura giudiziaria: denuncia per stalking una sua “ex”,
consigliere comunale del Pd a Cesena, esibendo delle email minacciose («Ti farò
morire Carbone», «Non ti farò più vedere tua figlia ma forse è meglio così
perché tu sei pazzo»), ma nel 2013 al processo viene fuori che qualcuno ha
hackerato l’indirizzo di posta elettronica della donna, collegandosi da Palazzo
Madama e da altri luoghi di lavoro di Carbone. Il giudice ritiene che le perizie
indichino come colpevole proprio l’Ernesto e invia le carte alla
Procura di Roma affinché indaghi per accesso abusivo al sistema informatico e falsa testimonianza. Ai
giornali che danno ampio risalto alla notizia Carbone replica sostanzialmente
così: sono stato assolto dagli stessi reati, su controquerela della donna, dal
Tribunale di Forlì perché nel 2009 avevo denunciato un’intrusione nel mio
account e ho dimostrato che non avevo l’accesso al sistema del Senato. E invoca
il ne bis in idem. Non ho trovato
notizie di una archiviazione da parte della Procura romana, ma noi non
dubitiamo certo dell’Ernesto.
L’Ernesto, nel frattempo,
dall’aprile del 2012 è per un anno presidente e amministratore delegato della
SIN SpA (Sistema informativo nazionale per lo sviluppo in agricoltura),
controllata dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura con IBM, Telespazio,
Almaviva e altri soci privati. Dopo svariate contestazioni da parte del
Collegio sindacale, il CdA di SIN cita Carbone davanti al Tribunale civile di
Roma per «irregolarità riscontrate per spese non riconducibili ai fini
aziendali» effettuate con la carta di credito aziendale: quasi 24 mila euro tra
viaggi (compresi due voli per Londra e la Croazia), trasferte, alberghi,
ristoranti. Carbone non ci sta, querela Il
Fatto Quotidiano che ha riportato la notizia e contrattacca: «Nella mia esperienza al Sin, che ho lasciato
con un incremento degli utili di
circa il 30%, mi
sono ridotto lo stipendio da 480 mila a 60 mila euro lordi, ho tagliato
gli emolumenti ai dirigenti ed eliminato tutti i benefit. Mi è capitato di
bloccare dei pagamenti al collegio sindacale e questo, evidentemente, a
qualcuno non è andato giù». Anche qui, la vicenda risulta ancora aperta.
Nel frattempo, Carbone ha trovato spazio fino
in Parlamento grazie a un paio di sapienti “piroette”; da Prodi a Mario Monti,
quindi in area Letta, poi trait d’union
tra quest’ultimo e Renzi e infine, quando il segretario del Pd s’inventa la
presa per il culo di #staisereno (e lo sappiamo, all’Ernesto piacciono tanto
gli hashtag), prontissimo a salire
sul carro del vincitore. Anzi, è Renzi a salire sulla Smart di Carbone, con accanto
l’ormai fedelissimo, per recarsi al Quirinale ad assumere l’incarico. Sempre
presente sui social (pure troppo, perché quello che scrive è mediamente
simpatico come un calcio negli zebedei), finirà per pentirsi di avere
sbeffeggiato con il famoso #ciaone i promotori del referendum sulle trivelle: «Ma
si è fatto tanto rumore per nulla», commenterà. Se lo dice lui.
Fin qui, delle capacità politiche di Carbone
non abbiamo parlato perché, in effetti, sono piuttosto altre le qualità che ha
messo in luce (diciamo così). Ma nel settembre 2015 diventa commissario del
partito a Messina, dove i Dem sono “orfani” (diciamo così bis) del loro leader Francantonio Genovese. E lui, lucido come i
capelli perennemente impomatati di gel, traccia subito la linea: opposizione
all’amministrazione Accorinti come se non ci fosse un domani. Anzi, come se non
ci fosse nemmeno uno “ieri”, perché Carbone dimentica che proprio il Pd
genovesiano ha da una parte sfidato Accorinti al ballottaggio con Felice
Calabrò e dall’altra messo nell’angolo i renziani della prima ora Francesco
Quero e Alessandro Russo, presidenti uscenti del IV e del V Quartiere, non
ricandidati per... punizione e che saranno sostenuti proprio dalla lista “Cambiamo
Messina dal Basso” del sindaco scalzo. Un accordo – ben noto ai vertici della
corrente, se è vero che ai primi contatti è presente Davide Faraone – che porta
Quero a rivincere e Russo a mancare la rielezione per soli 87 voti (con una
percentuale enorme di voto disgiunto) ma che soprattutto impedisce a Felice
Calabrò di diventare sindaco al primo turno e che, al ballottaggio, permette ad
Accorinti di ribaltare il risultato. Basta guardare i dati dei seggi dei due
quartieri – e ricordare che si parlerà a lungo di un ingresso di Russo in
giunta – per capire cosa sia accaduto.
Piuttosto che marcare la differenza, ritagliando
per il Pd un ruolo di “opposizione responsabile” e dialogando con un’amministrazione
comunque di estrazione popolare e progressista (anche se non si può onestamente
dire che in questi anni Accorinti abbia sempre fatto esercizio di apertura al
dialogo), Carbone prima finisce per schiacciare il partito sulle posizioni genovesiane
e poi, quando Francantonio aderisce a Forza Italia, se lo vede svuotare in aula
e in città. Ma lui è persino contento: «Non
abbiamo aspettato che Genovese andasse via portandosi via i suoi – dichiara quando
viene arrestato il consigliere Paolo David – siamo stati noi a cacciarli dal
Pd. Abbiamo (apparentemente) pagato un prezzo, perdendo due parlamentari e nove
consiglieri comunali su undici, passati con Forza Italia, ma abbiamo
riguadagnato libertà. E un partito che anche qui, dopo stagioni di
oscurantismo, sta tornando finalmente a vivere».
Il cantautore cosentino Dario Brunori citato da Renzi |
Seee, come no. Vallo a dire al capogruppo Antonella Russo,
lasciata da sola a votare la mozione di sfiducia ad Accorinti – vero
contrappasso per il #ciaone di qualche mese prima – o a Luca Eller che viene “scomunicato”
quando entra in giunta e poi convinto a dimissioni speciose per preparare il
terreno alla sfiducia. Nel frattempo, le polemiche sul tesseramento investono Carbone
sia a Messina che ad Enna, dove pure è commissario (e dove pare che l’ineffabile
Mirello Crisafulli abbia rastrellato 4 mila tessere in attesa di decidere se
restare nel Pd o seguire Bersani e D’Alema). Il suo lascito al futuro
segretario provinciale? Un partito che alle prossime Amministrative sarà
verosimilmente costretto a fare da gregario a D’Alia per tamponare l’emorragia
verso il centrodestra, un partito che – per citare ancora Brunori Sas e la sua La verità – «non c’ha più le palle per
rischiare / di diventare quello che gli pare». Mentre all’Ernesto, invece, il cantautore
suo concittadino che tanto piace a Renzi potrebbe chiedere: «Ti sei accorto, sì
/ che parti per scalare le montagne / e poi ti fermi al primo ristorante?». L’importante
è che accetti le carte di credito...
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