lunedì 27 marzo 2017

NBA: quando la lezione NON è servita. Kawhi meglio di LeBron?

Kawhi Leonard marca LeBron James
Dell’armistizio tra IlMaxFactor e LeBron James già sapete. La rimonta (con doppio quarantello ritornato carpiato e un avvitamento e mezzo) da 1-3 nelle Finals dello scorso anno, ancorché favorita dal crollo dei Golden State Warriors e dallo sguardo benevolo del front office NBA nei confronti dei suoi Cleveland Cavaliers, ha fatto scoppiare la pace spazzando via il soprannome di “Fasullo” che prima, secondo questa rubrica, ben calzava al giocatore più forte dell’era post-Kobe. O forse no.

“Forse no” non vale ovviamente per il nickname ideato da IlMaxFactor, la cui liceità continuo a difendere; una volta posto a base della discussione il fatto che si tratta di un campione, la nuova sfida è capire se realmente James sia il cestista più forte del mondo (il più completo, il più decisivo, vedremo) o se già oggi la NBA – che nel prossimo futuro sarà dei vari Davis e Wiggins, anche perché LeBron va per gli anni di Cristo – possa proporre un giocatore altrettanto o anche più bravo. Perché quando una lezione non è servita non è servita.

C'è Thomas jr. tra Harden e Westbrook e il trofeo di Mvp
Va da sé che quest’analisi non ha niente a che vedere con il titolo di MVP della stagione, per il quale James è certamente in corsa ma che invece andrà ad uno tra Russell Westbrook e James Harden. Personalmente, amo alla follia il basket di coach Mike D’Antoni e credo che quello che il “Barba” Harden sta facendo a Houston sia clamoroso, ma non dare l’MVP a un giocatore – del quale pure non sono un fan sfegatato – che va in “tripla doppia” una partita sì e una no (l’ultima, la numero 35, addirittura senza sbagliare un tiro: non era mai accaduto) ed è il primo dai tempi di Oscar Robertson vintage 1962 ad avercela di media, in un basket così fisico e giocando da playmaker, sarebbe semplicemente una follia. Poi, per carità: il titolo lo meriterebbe anche Isaiah Thomas jr., fosse solo perché fa cose da pazzi ed è alto quanto me.

Con la scelta dei Golden State Warriors di mettere un... tigre nel motore acquistando Kevin Durant, fatalmente, la possibilità che KD o Steph Curry, quest’ultimo MVP delle ultime due stagioni, facciano valere la propria candidatura al riconoscimento come numero 1 della Lega colano a picco: è vero che Durant stava producendo, prima dell’infortunio, forse la migliore stagione in carriera e che Steph, pur in un periodo negativo al tiro, ne mette pur sempre 25 a notte e ha stabilito il record di canestri da tre in una partita con 13, ma il semplice fatto di aver messo insieme un roster di All Star impedisce al singolo di emergere ad altissimi livelli in termini numerici e di impatto.

Ecco perché, secondo IlMaxFactor, se vuoi trovare un anti-LeBron devi guardare altrove, in casa San Antonio Spurs dove Kawhi Leonard sembra aver finalmente deciso cosa fare nella vita: il due volte Difensore dell’anno è stato quasi “costretto” dal coach Greg Popovich, dopo il ritiro di Tim Duncan e vista la parabola discendente di Tony Parker e Manu Ginobili, a prendersi finalmente le sue responsabilità (anche se già lo scorso anno segnava oltre 21 punti di media) e diventare la “stella” di una delle franchigie più forti e leggendarie della Lega.

Kawhi MPV delle finali 2014
Queste due superstar hanno una storia totalmente diversa: LeBron è The Chosen One, un predestinato che non è andato al College ma è stato ugualmente la prima scelta assoluta dopo aver avuto addosso gli occhi di tutto il Paese al liceo; Leonard è andato a San Diego State e, dopo due anni, è stato scelto dagli Indiana Pacers con la chiamata n. 15 e subito ceduto ai San Antonio Spurs grazie al sacrificio di George Hill. James è stato da subito il simbolo dei Cavaliers, anche in forza della sua provenienza (Akron, Ohio è a 40 miglia da Cleveland), mentre Leonard si è dovuto inserire in una squadra piena di campioni e ­– come dicevano i romani – onusta di trofei, il che non gli ha impedito di essere l’Mvp delle Finali 2014 nelle quali gli Spurs hanno “vendicato” la sconfitta incredibile di un anno prima sempre contro i Miami Heat di LeBron (Marco Belinelli ringrazia).

Sì, perché la storia del nemo propheta in patria ha accompagnato l’intera carriera del numero 23, che – come annunciò in diretta nazionale – dovette “portare i suoi talenti a South Beach” per riuscire finalmente a vincere con i Miami Heat (due volte). Una maledizione spezzata solo l’anno scorso con la vittoria in rimonta da 1-3 sui Golden State Warriors. Il terzo titolo ha anche permesso a James di scollare l’etichetta di perdente, mentre Leonard ha vissuto un’esperienza opposta, faticando più del dovuto – anche per via del contesto – per passare dallo status di buonissimo giocatore a quello di campione. Detto questo, nel loro gioco ci sono tante somiglianze e qualche differenza discriminante che rendono il confronto MOOOLTO stimolante.

I numeri dicono innanzitutto una cosa: a parità di punti segnati (26) e con una leggera prevalenza di James (8.3 contro 6) a rimbalzo, dovuta un po’ alle caratteristiche fisiche, un po’ al ruolo e un po’ al minutaggio, la differenza più importante riguarda gli assist. LeBron ne mette quasi 9 a partita, Leonard si ferma a 3.5 e questo – al netto dei diversi sistemi di gioco, con Cleveland che fa praticamente solo “penetra e scarica” e con il numero 23 che ha la palla in mano molto più di quanto gli Spurs concedano a Leonard – indica che non solo è un passatore migliore, ma soprattutto che cerca i compagni più di Kawhi. Ora, se questo significhi migliorare chi gli sta intorno non lo so: Michael Jordan, esempio principe di giocatore capace di portare i compagni di squadra ad un livello più alto, in carriera ne ha smazzati appena più di 5 di media. E in campo, in realtà, l’impressione è di segno completamente opposto: quello che ogni tanto tende a forzare è proprio LeBron, mentre Leonard si prende più che altro i tiri che gli arrivano. D’altra parte, è un fatto che James con la palla in mano coinvolga di più i compagni.


"Quattro a tre", fa segno LeBron dopo gara-7 contro i Warriors
Parliamo del tiro: le percentuali parlano a favore di James (54 per cento contro 48, entrambi sono intorno al 38 per cento dall’arco) ma il movimento di Leonard, ancorché costruito e caratterizzato da una meccanica poco naturale proprio come quello di The King, è un po’ più fluido e meno farraginoso. La riprova arriva dalla percentuale ai liberi, che vede Kawhi sfiorare il 90 per cento mentre James non arriva al 70. In tutto questo, però, non stiamo considerando l’età (sei anni e mezzo di differenza) e i margini di miglioramento, anche se sarebbe più corretto definirli “di perfezionamento”, che sono certamente più ampi per Leonard che sul groppone ha ben otto stagioni NBA in meno: appena cinque contro le tredici di James. La risposta definitiva? Oggi, probabilmente, è ancora più forte il 23 dei Cavs. Domani (ma intendo domani, non al prossimo passaggio della cometa di Halley) il 2 degli Spurs è destinato a diventare il padrone della Lega.

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