mercoledì 6 aprile 2016

Elio e le Storie Tese: L’amica della nonna è trans

Oggi parliamo un po’ di musica. A qualche mese dall’uscita (grazie Pàina), ho finalmente ascoltato in maniera intensiva il nuovo disco del mio gruppo-feticcio Elio e le Storie Tese, vale a dire Figgatta de Blanc, e devo dire di averne tratto un’impressione totalmente diversa da quelle – per lo più negative o annoiate, complessivamente ingenerose – lette nelle varie critiche su giornali e siti.
E siccome oggi parliamo di musica, tralascerò tutti gli aspetti “laterali” che fanno di EelSt la band più originale e innovativa del nostro panorama (ormai) mainstream: la copertina ammiccante, lo scimmiottamento (dopo i Beatles) all’album dei Police Reggatta de Blanc, la confezione deluxe che contiene anche il comodo vibratore Lelo. E persino le informazioni sui brani che nel booklet sostituiscono i testi delle canzoni, gli incisi tra un brano e l’altro, a volte esilaranti altre incomprensibili (e quindi esilaranti) e la ghost track finale. Tutto bello, tutto divertente, ma – ripeto – parliamo di musica e basta. Ecco a voi, quindi, IlMaxFactor in difesa degli Elii.


Le ultimissime produzioni delle Storie Tese (Studentessi e Album biango) non hanno convinto fino in fondo né la critica né i fan, la prima per la mancanza di brani di alto livello (a parte Ignudi tra i nudisti e forse Plafone), l’altra per una cifra “commerciale” che comunque non le impedisce di annoverare tanti pezzi belli e un piccolo capolavoro come Luigi il pugilista, una specie di “Ritorno dell’astronauta pasticcione” per dirla alla loro maniera. Il fatto è che se nella prima serata di Sanremo il pubblico, chiamato a scegliere tra l’incisiva Dannati forever e la virtuosistica Canzone mononota manda avanti nella competizione la seconda, è normale che gli Elii – che, al di là delle apparenze, scemi non sono affatto – si adeguino.
Elio giudice di X Factor
In più, le recenti comparsate da giudice a X Factor hanno finito per riposizionare, anche qui negativamente, la percezione del loro leader da parte del pubblico: severo, permaloso, con la tendenza a prendersi troppo sul serio, Elio si è ritrovato – e riabilitato – solo nella finale al Forum, quando ci ha regalato il brivido di sentire versi immortali come «Servi della gleba a tutta birra / carichi di ettolitri di sburra» in prime time. Citazione non casuale, più avanti vedremo perché.
Qui abbiamo invece un album molto diverso, più compatto dal punto di vista stilistico (pur nella varietà dei generi) tanto che, a conti fatti, la canzone più brutta è proprio quella presentata a Sanremo: Vincere l’odio, la già sviscerata sequela di (otto, mi pare) ritornelli scelta dalla band per proseguire un proprio percorso di scardinamento dei punti fermi della canzone italiana festivaliera. Al di là della struttura, infatti, il brano è poco originale e il testo abbandona la dimensione del nonsense per abbracciare semplicemente la mancanza di senso.
Il resto, invece, è di qualità altissima sia dal punto di vista dell’esecuzione – e questa non è una novità – che del concetto d
Gli Elii alla finale di X Factor al Forum
i fondo: una bella notizia per chi ama soprattutto gli album delle origini.
Ricordate «Servi della gleba a tutta birra / carichi di ettolitri di sburra» citato poco sopra? Ecco, a volte mi sembra che gli Elii siano i primi a non sentirsi completamente a proprio agio nella dimensione che hanno raggiunto, quella – per così dire – di gruppo comunque rock e comunque di successo. E così, in corrispondenza delle partecipazioni a Sanremo o delle apparizioni televisive più “generaliste” come appunto X Factor, si aggrappano al demenziale, alla dissonanza, persino alla volgarità gratuita per riaffermare la propria essenza – diciamo così – di sporcaccioni. E se il contraltare di La terra dei cachi era la favolosa Burattino senza fichi nel rutilante arrangiamento di Demo Morselli, se La canzone mononota veniva riequilibrata da Enlarge your penis e Amore amorissimo, qui l’intenzione della band viene messa subito in chiaro.
Vacanza alternativa, che apre l’album, è un classico pezzo funky (ma nel testo il tormentone è «fanghi», poi addirittura «funghi»), molto orecchiabile ma che si segnala soprattutto per due chicche: la seriosa Paola Folli che canta da Dio la ricetta del risotto con i funghi (giuro!) e, appunto, la riproposizione del personaggio del trans già sentito in Suicidio a sorpresa, con il coretto «L’amica della nonna è trans / l’amica della nonna è-un-trans» che per lirismo e profondità fa il paio con l’indimenticabile «Io / per piacervi / mi epilerei per tutto il santo giorno / come le balle di un attore porno» di Fossi figo.
Ma non è finita: She wants, splendidamente cantata con il Vocoder da un Rocco Tanica sempre sul punto di farsela sotto dalle risate, è un delicato inno in stile Motown alle vie alternative all’amore («She wants in the posterior» il verso completo). E il mainstream è definitivamente servito.
Inutile sottolineare ancora una volta che la cifra musicale di Elio e le Storie Tese è quella di band di prog rock: Parla come mangi è un brano molto Faso (che infatti canta anche, insieme a Cesareo e Tanica come in Alfieri) dal testo di un brillante nonsense impreziosito dall’elenco di parole inglesi entrate nell’uso comune declamato da Mangoni. Qui l’espediente è un po’ ruffiano e ricorda da vicino il karaoke dello stesso Mangoni nella trasmissione radiofonica Cordialmente, ma ci si scompiscia uguale. Influenze simili si riscontrano anche in Ritmo sbilenco che inneggia al nuovo genere musicale, il… “regressive”, e soprattutto nel pezzo-capolavoro dell’album, quella Bomba intelligente con un testo sognante e denso di meraviglia scritto dal grande Francesco Di Giacomo del Banco di Mutuo Soccorso (scomparso da un paio d’anni), arrangiata dal suo amico e produttore Paolo Sentinelli e affidata agli Elii che ne tirano fuori un’esecuzione meravigliosa, in puro stile Genesis (quelli veri, con Peter Gabriel a fare l’istrione). Gli assoli finali di chitarra di Cesareo e di violino elettrico di Mauro Pagani della PFM sono qualcosa in più di una chicca. Spiace solo che non potranno mai suonarla live, perché parliamo davvero di un pezzo favoloso. D’altra parte, da un gruppo che spesso apre i concerti con una cover degli Who, dei Pink Floyd o degli stessi Genesis cosa vi aspettavate?
Il funky ritorna in China Disco Bar, anche se con venature più pop e citazione (proprio i nomi!) di Crosby, Stills, Nash & Young, e in Inquisizione che aggiunge una splendida sezione di fiati.
Il quinto ripensamento, presentata a Sanremo nella serata delle cover come rifacimento della Quinta sinfonia di Beethoven, in realtà, oltre ad essere di fatto la versione dance fatta negli anni Settanta da Walter Murphy, nella parte cantata e nell’accenno di rap rimanda molto da vicino al primo singolo di Robin Thicke, When I get you alone (guarda e stupisci,giovane fan che si dimenava al ritmo di Blurred lines). Una tripla cover, quindi. Qui, però, la genialata è l’introduzione, un vero e proprio sketch con Lillo e Greg deejay e ascoltatore di “Radio Classica Coatta”.
Il mio pezzo preferito – almeno tra quelli degli Elii – è probabilmente Il mistero dei bulli. Intro à la Supergiovane, sviluppo pop-rock con un paio di melodie molto accattivanti e un testo che fa il verso alla canzone impegnata. La tematica è sin troppo evidente, l’approccio totalmente EelST. Altro pezzo rock, con inserti rap di J-Ax, è Il rock della Tangenziale: magari non una meraviglia assoluta, ma assolutamente godibile.
Il lato snervante, che non manca mai nei dischi della band, è affidato (oltre che a Vincere l’odio, come detto) a un paio di brani che magari non sarebbero tanto male, ma che sembrano quasi cercare il fastidio nell’ascoltatore: I delfini nuotano, in cui cantano solo la prima battuta di ogni strofa o, successivamente, una parola ciascuno di ogni verso – un po’ come il giochino che fa Cattelan – e Cameroon che si limita più o meno a mostrare come gli Elii siano in grado di suonare qualsiasi genere.
Fortuna che c’è Il primo giorno di scuola, già pubblicata a settembre ma qui in versione arricchita dall’accompagnamento dei fiati del solito Demo Morselli. Pezzo di puro delirio EelSt con un ritornello che, vuoi o non vuoi, ti spacca il cervello.


Complessivamente, dunque, non sarà Eat the Phikis ma è un gran bel disco. Loro hanno definitivamente trovato l’equilibrio post-Feiez e suonano sempre da Dio, d’altra parte con il repertorio che si ritrovano non avevano nemmeno bisogno di aggiungere troppi tormentoni, ché poi i concerti durano più di quelli di Springsteen. Bentornati Elii. 

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