Come Steph Curry cambierà il basket. E... come fermarlo (spoiler alert!)
«Nella scorsa stagione lo avete votato
Mvp con 24 punti di media a partita, come fate a non rivotarlo
Steph Curry con Andre Iguodala, Mvp delle Finali 2015 (AP) |
Un giocatore dal talento illimitato al quale importa relativamente sia attaccare (nel senso di costruire giochi, visto che canestri e assist non li lesina comunque) che difendere (anche qui, al netto degli anticipi rapaci sulle linee di passaggio), che se ne impipa della selezione di tiro perché più è difficile e con più costanza lo mette e che ha fatto dell’etica lavorativa qualcosa di diverso rispetto agli esempi che conosciamo, per dire, in Michael Jordan e Kobe Bryant: lì a trascinare il campione già affermato in palestra era una fame di vittorie insaziabile, per Steph invece si tratta “semplicemente” di portare un gesto tecnico alla perfezione e alla precisione assoluta.
Il resto arriva da sé, verrebbe
da dire, anche se questi Warriors messi insieme da coach Steve Kerr e dal geniale gm Bob Myers, non a caso
Executive of the Year in carica (lo ricordate? E’ quel premio al miglior
dirigente che, secondo gli addetti ai lavori, negli anni Novanta andava «intitolato
a Jerry West in modo da poterlo dare a qualcun altro»), sono un sapiente mix di
tecnica e aggressività, di talento offensivo e di fondamentali difensivi di
squadra e individuali, giocano a un ritmo che nessuno può tenere e sciorinano
un basket di una bellezza, specie quando è assistito dalle percentuali,
assolutamente abbagliante. In più, oggi come oggi hanno anche maturato la
consapevolezza di essere pressoché imbattibili: dopo aver perso due partite su
tre nella settimana precedente, nell’ultima sono andati 4-0 vincendo con 30
punti di scarto in casa delle rivali più accreditate a Est, vale a dire
Cleveland Cavaliers e Chicago Bulls, e da ultimo nello scontro al vertice della
Western Conference contro i San Antonio Spurs davanti ai «twenty thousand
maniacs» della Oracle Arena. Al momento sono attestati a 41 vinte e 4 perse, i
conti potete farli da voi.
Piuttosto, l’unico dubbio sul
numero 30 (come la sua media punti attuale, per l’esattezza 30,3 a partita con
6,5 assist e 5,4 rimbalzi) è come nessuno degli scout Nba si sia reso conto non
tanto del suo enorme potenziale, quanto delle capacità già messe bene in mostra
nei tre anni all’Università di Davidson: un college non di prima fascia ma comunque di
Division I, dove il piccolo Wardell Stephen Jr. (“Sr.” è papà Dell, tiratore favoloso
che tra gli anni Ottanta e Novanta impazzò soprattutto a Charlotte) segnò
qualcosa come 2.635 punti a oltre 25 di media, addirittura 28,6 nella terza e
ultima stagione nella quale fu nominato All American (primo quintetto di tutta
la Ncaa). Le percentuali? Eccole: 53% da due, 41% da tre, 88% ai liberi.
Eppure, il suo 1,91 “americano” (ovvero misurato con le scarpe ai piedi anche
se via, nemmeno così…) e l’idea che fosse un “senza ruolo”, una guardia
tiratrice nel corpo di un playmaker, sconsigliarono a molte squadre di puntare
su di lui. Finì così nella Baia con la chiamata numero 7: davanti a lui furono
scelti non solo grandi giocatori come Blake Griffin e James Harden, ma anche i
più “rivedibili” Hasheem Thabeet con la 2, Tyreke Evans con la 4, Ricky Rubio
con la 5 e Johnny Flynn con la 6 (questi ultimi due peraltro dalla stessa
squadra, i Minnesota Timberwolves).
E le perplessità sono rimaste
anche dopo le prime stagioni, nonostante le cifre notevoli e i miglioramenti
che Golden State ha evidenziato anche nella gestione Mark Jackson. Solo l’anno
scorso, con la convocazione all’All Star Game e il titolo di Mvp, la Nba si è
definitivamente arresa a Steph. Il quale, per non sembrare sazio, ha
ulteriormente alzato l’asticella: veleggia con il 51% al tiro (quasi il 46% da
tre) e il 91% ai liberi, ma soprattutto ha messo stabilmente nel repertorio il
tiro da centrocampo, che prima provava in riscaldamento scommettendo con un
inserviente dei Warriors e che ora invece, con quella faccia un po’ così e l’espressione
un po’ così di uno che non potrebbe mai sbagliarlo, manda a bersaglio anche in
partita.
Un "logo shot" di Stephen Curry |
Ma tutto questo è, per certi
versi, ordinaria amministrazione: la verità – siete fortunati, ve la diciamo
prima – è che Steph appartiene al ristretto novero dei giocatori che hanno
cambiato il basket, e lo farà. Fino ad oggi, per quella che è la mia
conoscenza, ce ne sono stati appena quattro-cinque: Wilt Chamberlain che
giocava uno sport tutto suo tanto da metterne 100 in una partita, Kareem
Abdul-Jabbar che fece addirittura cambiare le regole, con il divieto di
schiacciata al quale rispose inventando lo sky
hook, Magic Johnson che ispirò, con il suo stile uptempo e spettacolare, lo showtime dei Lakers anni Ottanta, e
ovviamente Michael Jordan che ha portato la Nba e il basket a un livello più
alto. Ma soprattutto, il giocatore del passato che sembra aver avuto l’influenza
maggiore su di lui, pur nella diversità dei ruoli, è “Pistol” Pete Maravich: il
tiro con range illimitato, il
passaggio a una mano dal fianco, la capacità di tenere vivo il palleggio in
qualunque situazione con acrobazie mai viste erano tra i “marchi di fabbrica”
del mitico giocatore di LSU (dove segnò in tre stagioni 44,2 punti di media, record mai nemmeno avvicinato) e Curry ripropone tutto questo in un contesto
fisico e atletico totalmente diverso, il che rende tutto ancora più difficile.
Direte: dài, ora non esagerare…
Ma io vi offro un altro elemento da tener presente. Negli ultimi vent’anni
diverse squadre di alto livello hanno provato a portare sul parquet un modo
diverso di giocare, a ritmi più elevati e quindi con un numero altissimo di
possessi: penso ai Sacramento Kings di Rick Adelman, ai Phoenix Suns di Mike D’Antoni,
ai Dallas Mavericks e agli stessi Golden State Warriors di Don Nelson. Ma
nonostante stagioni regolari a volte addirittura sfavillanti, nessuna di queste
ha mai vinto perché – è uno dei luoghi comuni più praticati nella Nba – nei
playoff sale l’intensità, aumenta la durezza delle difese, la lotta a rimbalzo
abbassa i ritmi e il basket run and gun
non paga più. Ora provate a trovare un’eccezione…
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