Kobe, Magic e il "mio" basket che se ne va
Kobe Bryant compirà 38 anni ad agosto, poco dopo il suo ritiro |
Michael Jeffrey Jordan |
L'altro, si sarà capito, è Kobe e in comune con Magic ha innanzitutto la canotta gialloviola dei Los Angeles Lakers a vita. Quella che Kobe voleva così tanto da far bluffare il proprio agente, Arn Tellem, con gli allora New Jersey Nets che volevano prenderlo con la scelta numero 8 al Draft del 1996 in uscita dalla Lower Merion High School di Philadelphia, senza che avesse giocato una sola partita al college. Ma lui voleva il gialloviola e lo ottenne: i Nets si tirarono indietro temendo che Bryant non firmasse per loro, i Lakers scambiarono la scelta numero 13 degli Charlotte Hornets con il centro Vlade Divac perché il loro general manager, il genio Jerry West, aveva messo da parte 121 milioncini in 7 anni per prendere Shaquille O'Neal e così iniziò "The Combo", l'accoppiata che avrebbe portato a LA ben tre titoli e tanti rimpianti.
Eppure, quando Kobe fu scelto dai Lakers lo conoscevo appena: Internet qui da noi era agli inizi, il basket americano passava già con una certa frequenza su Tele+ ma questo ragazzo veniva dal liceo! Certo, il suo cognome qui in Italia non passava inosservato perché il papà Joe era un vero e proprio
Joe Bryant alla Viola |
Considerando anche che Kobe, lì a Reggio, faceva il ball boy e iniziava la trafila nelle giovanili che avrebbe proseguito soprattutto a Reggio Emilia, imparando anche un eccellente italiano che in carriera gli è servito soprattutto nei momenti di incazzatura con compagni e arbitri, i link erano fin troppi: Kobe era il mio giocatore.
E lo è rimasto per vent'anni, tra le prime delusioni (la panchina, gli airball di gara-4 a Salt Lake City), i primi riconoscimenti e poi l'esplosione: titolo nel 2000, 2001 e 2002. Nel 2003 l'accusa di stupro in Colorado, le critiche per il suo egoismo e, ancora dopo, l'implosione: nel 2004 le liti con Shaq diventano insostenibili e i fortissimi Lakers con Payton e Malone si fanno travolgere in finale dai Detroit Pistons, Shaq va via e tornano le critiche, finché nel 2009 è un altro lungo totalmente diverso da Shaq, ovvero Pau Gasol, a fargli da spalla nella cavalcata trionfale verso il quarto anello, bissato peraltro l'anno dopo. Fanno cinque, quanti ne ha vinti Magic, uno in meno di Jordan; eppure non bastano ad assicurargli il rispetto di tutti i tifosi, i Kobe Haters proliferano e a lui, tutto sommato, dividere così tanto non sembra nemmeno interessare.
Nel frattempo arrivano il nuovo numero di maglia (al posto dell'8 il 24, uno in più del 23 di MJ), gli 81 punti contro Toronto, seconda prestazione di sempre, il primo e unico titolo di MVP (uno scandalo anche perché gli "rubano" quello del 2010, l'anno dei sette-diconsi-sette buzzer beaters o canestri vincenti negli ultimi secondi) e i grossi problemi fisici, dai quali peraltro Kobe non è mai stato del tutto immune. Oggi, anzi avantieri, l'annuncio; "Dear Basketball", recita la lettera aperta consegnata a The Players' Tribune, "My heart can take the pounding, my mind can handle the grind, but my body knows it's time to say goodbye", Goodbye, Kobe. Quando si ritirò Magic (la prima volta, intendo) fu una brutta botta, oggi è il "mio" basket, lo sport più bello del mondo, quello che ho adorato e seguito con passione per più di trent'anni, che se ne va.
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