domenica 28 maggio 2017

NBA Finals: Repubblica contro Monarchia

A.A.A. Fantasia cercasi. Citofonare Warriors e Cavs (usatoday.com)
Quindi, alla fine della fiera, la stagione NBA è stata inutile. I Golden State Warriors hanno dominato a Ovest, i Cleveland Cavaliers si sono facilmente imposti a Est e per il terzo anno consecutivo si ritrovano alle Finals, con l’obiettivo di portarsi in vantaggio in una rivalità ai massimi livelli che non ha precedenti nella Lega. Tanto da meritarsi quasi lo status di una lotta tra Repubblica e Monarchia.

Per quanto possa sembrarvi incredibile, infatti, non era mai successo che per tre stagioni in fila il titolo NBA venisse assegnato tra le stesse due squadre: persino tra i Lakers dello Showtime e i Celtics, avversari per tutti gli anni Ottanta, il massimo furono tre finali in quattro anni (con Houston Rockets su una costa e Philadelphia 76ers sull’altra a rappresentare l’alternativa), e persino la Boston delle dieci finali consecutive tra il 1956 e il 1966 non affrontò mai la stessa avversaria per tre anni di fila. Un segnale tutt’altro che positivo, se si pensa che negli ultimi diciannove anni (dopo la fine dell’era-Jordan, che vinse gli ultimi due titoli nel 1997 e 1998 battendo gli Utah Jazz), solamente cinque squadre hanno vinto la Western Conference: 7 volte i Los Angeles Lakers, 6 volte i San Antonio Spurs, 3 volte i Golden State Warriors, 2 volte i Dallas Mavericks e una gli Oklahoma City Thunder. Più equilibrio a Est, dove le finaliste nell’ultimo ventennio sono state otto, anche se la parte del leone la fanno i Miami Heat (5 finali, 4 delle quali con i “Big Three” LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh) e i Cleveland Cavaliers (4 finali sempre con LeBron, la prima nel 2007); 2 volte alle Finals i New Jersey Nets, i Boston Celtics e i Detroit Pistons, una volta Philadelphia 76ers, New York Knicks e Orlando Magic.

Il Larry O'Brien Trophy
Se poi andiamo ad analizzare le vincitrici del titolo NBA nel dopo Jordan, ne troviamo appena otto: quattro provenienti dalla Western Conference (5 San Antonio e Lakers, uno Golden State e Dallas) e altrettante dalla Eastern (3 Miami, uno ciascuno Detroit, Cleveland e Boston). Su un campo di partecipanti di ben 30 squadre, con regole come il salary cap e con stagioni lunghissime di 82 partite – salvo nelle annate dei due lockout – più i playoff, è una concentrazione molto elevata. Se questo sia un bene o un male, non saprei dirlo; tuttavia, mi pare la rappresentazione fedele di come nella NBA ci sia una élite di quattro-cinque franchigie che hanno una cultura, una mentalità ma anche una struttura di livello superiore e altre “normali”, tra le quali una volta o due può emergere una comprimaria che assurge occasionalmente al ruolo di protagonista.

Esaurita la (lunga) premessa, che però ci testimonia di una NBA ormai sbilanciata su poche squadre e ancor di più su pochi giocatori, resta da capire che piega prenderà questa fresca ma già “rovente” rivalità tra Golden State e Cleveland. Strength in numbers, lo slogan dei Warriors, descrive bene qual è stato il livello di dominio messo in campo dalle due squadre in questo triennio, iniziato con il ritorno di LeBron James in Ohio e l’approdo di Steve Kerr sulla panchina dei californiani: 207 vinte e appena 39 perse in tre stagioni Golden State, 161-85 Cleveland. Altri hanno messo insieme numeri tutto sommato simili a quelli dei Cavs (Toronto, addirittura meglio San Antonio nel ben più competitivo Ovest), ma il record nei playoff di queste due squadre è impressionante: gli Warriors sono arrivati a queste tre finali totalizzando un record di 48-8 nei primi tre turni di post-season, i Cavaliers addirittura di 48-5.

A guardare appunto i numeri e i precedenti, appare molto difficile esprimere una preferenza: il titolo 2015 è andato ai Warriors per 4-2, ma i Cavs giocarono tutta la serie senza gli infortunati Kevin Love e Kyrie Irving; lo scorso anno Golden State, stremata da una stagione regolare da 73 vittorie (record di sempre), si portò sul 3-1 prima che la NBA decidesse che no, LeBron non poteva perdere di nuovo e squalificasse Draymond Green per la decisiva gara-5, dopo la quale i Warriors si ritrovarono stanchi, infortunati e soffocati dalla paura consegnando il titolo a Cleveland. Per non parlare delle sfide di questa regular season: la partita di Natale alla Quicken Loans Arena è stata decisa da un jumper di Kyrie Irving quasi sulla sirena ma sulla rimessa Kevin Durant ha subìto un netto fallo non fischiato; alla Oracle Arena i californiani hanno vinto di 35 (126-91) ma era il 16 gennaio e quindi, come si dice nella NBA, sticazzi.


Dal punto di vista tecnico, ovviamente, una variabile di un certo peso è stata introdotta nell’equazione proprio quest’anno: si tratta – neanche a dirlo – proprio di Durant, che si è rivelato un innesto da Allegro Chirurgo nel sistema dei Warriors. Non è tanto il valore del giocatore, uno dei primi tre della Lega, a far pensare praticamente a tutti che Golden State sia favorita, ma appunto il modo in cui si è calato nella nuova realtà fatta di motion offense, tiri per tutti e, soprattutto, presi al primo spazio concesso, difesa rimbalzi e contropiede, gioia di vivere e di giocare a basket. Cleveland, che pure ha attraversato una stagione regolare piena di alti e bassi (ricordate il «We need a f… point guard», «Ci serve un c… di playmaker» di LeBron?), in questi playoff si è compattata e arroccata intorno al suo Re, se non al top in carriera certamente in una condizione tecnica e fisica mai vista (32.5 punti con il 56% al tiro e un incredibile 42% da tre, 8 rimbalzi e 7 assist di media). Se Irving ne aggiunge 24.5 a serata e Kevin Love firma una “doppia doppia” da oltre 17 punti e 10 rimbalzi a partita, è evidente che nel poco competitivo Est nessuno possa nemmeno pensare di battere i Cavs.


Il Death Lineup dei Warriors con le quattro superstar più Iguodala
Eppure un pronostico va fatto, e IlMaxFactor non si sottrae neanche questa volta: con Curry (apparentemente) esente da infortuni, Draymond Green ben presente con la testa e magari con Steve Kerr in panchina (difficile: probabilmente toccherà all’ex Mike Brown), la sensazione è che gli Warriors siano più forti e più completi. Ma gli exploit – quelli che in America chiamano heroics – di James e Irving renderanno la serie molto, molto equilibrata e destinata a decidersi alla settima partita. Sì, anche quest’anno. Anzi, mi sbilancio: Cleveland vincerà gara-1 alla Oracle Arena nella notte tra giovedì e venerdì, alla fine trionferà Golden State. Venenum in cauda: A meno che la Lega decida altrimenti anche questa volta. Lo so, lo so che James ha vinto tre titoli in sette finali (ma senza il miracolo di Ray Allen nel 2013 e la vergogna del flagrant a Green l’anno scorso sarebbe solo uno) risultando sempre l’Mvp, che è il più forte in circolazione, tutto quello che volete. Ma il sospetto che la NBA, che ha perso Michael Jordan e deve trovare un nuovo Re, possa far pendere l'esito di questo referendum sui 28 metri verso la... monarchia non me lo leva nessuno.

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