Kobe vs. LeBron: il rimpianto per quello che poteva essere
«Le gioie della vita:
Michelle Pfeiffer, il cioccolato…
e Kobe Bryant in campo aperto.»
(Federico Buffa, 2005)
Michelle Pfeiffer, il cioccolato…
e Kobe Bryant in campo aperto.»
(Federico Buffa, 2005)
L'abbraccio tra LeBron James e Kobe Bryant (nba.com) |
Nel
2003, quando LeBron James – anziché andare al College dopo aver vinto per tre
volte in quattro anni il titolo nazionale delle High School a St. Vincent-St.
Mary – entrò nella NBA con la prima
scelta assoluta dei Cleveland Cavaliers, prima di lui lo avevano fatto solo tre-quattro
giocatori di altissimo livello (lasciate perdere i vari Jonathan Bender, Darius
Miles e Kwame Brown): Kevin Garnett nel 1995, Kobe Bryant e Jermaine O’Neal l’anno
successivo, Tracy McGrady nel 1997, al limite Amare’ Stoudemire nel 2002. Di
questi, l’unico ad aver già vinto un titolo NBA (anzi, tre) all’epoca era
proprio Kobe, che – per ammissione dello stesso LeBron – era di fatto, pur
essendo di appena sei anni più anziano, il modello di riferimento di “The
Chosen One”. Logico che il mondo del basket si preparasse ad assistere a una
rivalità di quelle che fanno epoca, à la
Magic vs. Bird o Chamberlain vs. Russell.
Ebbene, ieri notte
quella rivalità si è conclusa in una maniera che nessuno avrebbe mai
immaginato: 22 confronti (16-6 il bilancio per James) ma nessuno dei playoff. E’
vero che, avendo giocato per tutta la carriera in due Conference diverse, si
sarebbero potuti incontrare solo in finale; ma alzi la mano chi, in quel 2003,
non avrebbe scommesso di vedere in futuro almeno quattro-cinque titoli assegnati
dallo scontro diretto tra il “Black Mamba” e il suo erede. James, in più di un’intervista,
si è assunto la responsabilità di questo mancato showdown per aver fallito l’appuntamento con le Finals dal 2008 al
2010, quando Kobe vinse gli ultimi due anelli della sua carriera contro Orlando
e Boston dopo aver perso contro i Celtics nel 2008; tuttavia, da allora LeBron
è arrivato cinque volte consecutive (quattro con Miami e una, lo scorso anno,
dopo il ritorno a Cleveland) all’atto conclusivo della stagione NBA, ma nel
frattempo i Lakers avevano iniziato la loro parabola discendente. Così come ci
era arrivato l’anno precedente, quando però L.A. si era arresa per la seconda
volta consecutiva nella post-season ai Phoenix Suns di Steve Nash e Mike D’Antoni.
Nonostante ciò, la
rivalità Bryant-James ha diviso i tifosi di basket di tutto il pianeta come
forse nessun’altra aveva mai fatto, tanto da ispirare una spettacolare serie di
spot della Nike con i due in versione Muppet (una chicca questo Three Championship Rings): tante, troppe
– nonostante i ruoli diversi – le analogie tra questi due campioni per sfuggire
alla regola secondo la quale, se hai un certo numero di tifosi “tuoi”, ti tocca
accettare l’esistenza di un numero analogo di haters.
Boh. Nell’amarezza di
una stagione d’addio deludente dal punto di vista dei risultati di squadra più
che dei numeri crollati per l’età e gli infortuni, a Bryant gli ultimi giorni
hanno riservato due soddisfazioni non da poco: prima la vittoria contro gli
(apparentemente) imbattibili Golden State Warriors di Steph Curry, ieri i 26
punti con 11/16 al tiro (3/4 da tre) messi letteralmente in faccia al rivale di
sempre, mandato più di una volta al bar dalle finte di Kobe spalle a canestro.
Certo, dall’altro lato la sua difesa su LBJ (24 e vittoria per i Cavs) è stata
a tratti imbarazzante, ma a chi frega… L’ultima tappa di avvicinamento è
passata: a noi tifosi di Kobe resta l’appuntamento del 13 aprile, quando
chiuderà la sua straordinaria carriera contro Utah allo Staples Center.
Ovviamente già sold out, tanto che una
ex superstar della NBA come Gilbert Arenas è arrivato a chiedere ai Lakers un
decadale, cioè un contratto di dieci giorni, per poter salutare Bryant da bordo
campo!
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