giovedì 3 settembre 2020

Basket NBA: Luka Magic? No, Luka Drazen

 

Il sorriso di Luka Doncic (sport.sky.it)

Premessa: quando nel Draft del 2018 i Phoenix Suns e i Sacramento Kings non presero Luka Doncic con le prime due scelte, il mio “furiosissimo sdegno” era in tutto e per tutto paragonabile a quello di Ezechiele 25:17, il finto passo biblico citato da Jules Winnfield-Samuel L. Jackson prima di ammazzare qualcuno in Pulp fiction. L’idea che l’acerbo centro bahamense da Arizona, DeAndre Ayton, potesse convincere più dello sloveno il tecnico dei Suns, quell’Igor Kokoskov che lo aveva appena allenato nella Nazionale campione d’Europa, o che il presidente dei Kings, Vlade Divac, non riuscisse a vedere la straordinaria classe e soprattutto la natura di giocatore “fatto e finito” di Luka preferendogli l’anonimo Marvin Bagley da Duke, mi faceva letteralmente impazzire.

A ben vedere, Luka è stato una vittima per così dire “postuma” di una mentalità che pensavamo avesse ormai fatto il suo tempo nella NBA, ovvero la diffidenza nei confronti dei giocatori europei (o comunque non di formazione americana); tuttavia, nel caso specifico parliamo di un giocatore che ad appena 18 anni aveva dominato l’Eurolega con il Real Madrid, vincendo il trofeo e venendo nominato MVP assoluto e miglior giovane della manifestazione, e l’idea che il livello del massimo torneo continentale possa essere in qualche modo paragonato a quello della NCAA è senza mezzi termini una stupidaggine. Ma anche a non volersi fidare dei numeri di Luka in Eurolega (16 punti, 5 rimbalzi e 4 assist in appena 26’ di media), per capire di essere davanti a un giocatore speciale sarebbe stato sufficiente guardare le partite, specie quelle punto a punto che lo sloveno ha più volte deciso con canestri incredibili, o magari perdere qualche ora per seguire i trionfali Europei 2018, altra manifestazione della quale Luka non è stato nominato MVP solo perché il suo compagno Goran Dragic è stato ancora più decisivo, segnando 35 punti in finale contro la Serbia.

Eppure, gli scout e i GM della Lega – a parte ovviamente quelli di Dallas – non hanno compreso il talento assoluto e l’attitudine da veterano già in possesso di Luka; si può dire che gli unici a non dover recriminare sulla sua mancata scelta siano stati gli Atlanta Hawks, che dopo averlo selezionato con la numero 3 lo hanno girato ai Mavs in cambio di un altro giocatore di culto, Trae Young, e una scelta al primo giro del 2019 poi diventata Cam Reddish da Duke, ancora – diciamo così – un “progetto” anche se ha chiuso l’annata da rookie in doppia cifra di media. Ma l’eccezionalità di Doncic non poteva certo sfuggire a Donnie Nelson, presidente e GM dei Mavericks, e al coach campione NBA nel 2011 Rick Carlisle.

Il buzzer beater da tre punti che ha deciso gara-4 con i Clippers (eurosport.it)

Dallas ha infatti una buona tradizione di giocatori europei, a parte il grande Dirk Nowitzki scelto nel 1998 da papà Don, e ha accolto Luka con grandi aspettative: aspettative che sono state subito sbriciolate dalle prestazioni e dall’approccio dello sloveno. Ancora una volta, i numeri (21 punti, 8 rimbalzi e 6 assist al primo anno; tripla doppia sfiorata da 29+9+9 in questa stagione) non dicono letteralmente nulla dell’impatto di questo fenomeno sull’intera NBA. Forse qualcosa la dicono i playoff che ha giocato a 31 di media, realizzando due triple doppie consecutive e segnando 43 punti e il canestro della vittoria sulla sirena dell’overtime in gara-4 contro i Clippers. Oggi sono tutti tifosi di Luka e sventolano come asciugamani in panchina i paragoni con Magic Johnson, ma così è facile. Non credete?

A proposito di Magic: è ovvio che l’hall of famer dei Lakers sia il prototipo del playmaker di 2 metri e con doti tecniche e fisiche fuori dal comune, ma dal punto di vista delle caratteristiche è molto diverso da Luka. Johnson era decisamente una pass-first point guard, un giocatore il cui primo pensiero era l’assist per un compagno (anche se poi era capace di esplosioni realizzative, e anche lui era clutch, oh se era clutch!). La qualità delle letture di Doncic è invece strettamente legata alla sua pericolosità offensiva e alle scelte delle difese in termini di cosa concedergli. Luka può tirare da qualunque distanza, liberandosi del difensore con uno step-back lunghissimo, ma può anche andare dentro sfruttando, a dispetto della velocità di base non eccelsa, la capacità di accelerare e rallentare all’interno dello stesso movimento; in più, ha in faretra uno eurostep in stile Ginobili e, grosso com’è, riesce ad assorbire i contatti e chiudere al ferro anche subendo fallo. Insomma, incontenibile.

Un'iconica immagine di Drazen Petrovic (corrieredellosport.it)

A Magic, forse, lo avvicina più di ogni altra cosa il sorriso. La gioia di essere sul campo di basket, l’amore per questo sport, la passione che lo guida. Una felicità contagiosa, che eleva l’umore e il livello dei compagni. Un atteggiamento opposto a quello del suo più illustre predecessore, l’europeo che per primo incantò la NBA (quando gli europei, la NBA, la vedevano con il cannocchiale): Drazen Petrovic. “Mozart”, a differenza di Luka, era letteralmente consumato dalla passione per il gioco: un competitivo ossessionato dal desiderio di diventare sempre più forte e più decisivo, un campione strappato troppo presto al basket da un destino inaccettabile.

Doncic lo ricorda come ruolo (play realizzatore? big guard?), come impatto, per certi versi come storia – anche Drazen arrivò a Portland dopo aver dominato in Europa, ma quando aveva già 25 anni, ed esplose solo due stagioni più tardi a New Jersey – e dà la netta impressione, vista la giovanissima età, di poter diventare forte quanto il serbo (che ad oggi è senza dubbio il miglior giocatore europeo di sempre), ma più felice. Di poter mantenere le promesse che a Petrovic non fu permesso di mantenere, e di farlo con il sorriso sulle labbra. E non è poco.

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