venerdì 19 giugno 2020

SOSTIENE PEREIRA: Matilde, le baracche e 100 anni di (finta) emergenza e illusioni a campata unica

Antonio Pereira
Più che una piaga storica e sociale - narrazione a cui non crede più nessuno - le baracche a Messina sono da sempre un'opzione esistenziale che si fa casomai emergenza estetica. Vanno demolite non perché ci si viva male - chi le abita perlopiù ci vive benissimo, salvo caso disperati, e se le tramandano da padre in figlio, da madre in figlia - ma perché sono brutte. E dove si annida il brutto non si colgono orizzonti, emergono spine e quasi mai rose.



Matilde Siracusano, parlamentare messinese non eletta a Messina, nota per un podio conquistato a Miss Italia e perché figlia di quel "Sabbaturazzo" che con Santino Pagano - più volte parlamentare, finanche sottosegretario di Stato - sventrava colline per tirar su palazzi e sbancava casinò (ce la sapevano), ha deciso di passare alla storia intestandosi la madre di tutte le sfide: la cancellazione delle baracche nella città natale. Che dice di amare, dalla quale vorrebbe essere rieletta alla Camera, dove prima di approdare come deputato vi lavorava come assistente parlamentare. Dura gavetta premiata da Gianfranco Miccichè - che non fa nulla per nulla, specie quando si tratta di candidature blindate - con un collegio sicuro in Sicilia nel 2018 nelle liste di una franante Forza Italia. Bingo.

Matilde, dunque, si intesta la battaglia. Coinvolge il presidente di Arisme, Marcello Scurria, uomo di rara intelligenza non sempre messa al servizio del bene, prega Mariastella Gelmini e Stefania Prestigiacomo di darle una mano. Che arriva, con tanto di sopralluogo nei luoghi dell'ignominia con tetti talora in eternit, tra rivoli di fogna e precarietà umana.

"Questa è un' emergenza", tuonano contrite le tre parlamentari forziste, e servono misure speciali: un disegno di legge per assegnare alla città di Messina una dotazione finanziaria e strumenti amministrativi straordinari. Sbocco invero già bocciato da Regione e Protezione civile nazionale, secondo cui un fenomeno che dura da circa un secolo non è un'emergenza ma un aspetto antropologico. Come non condividere.

Pd e Movimento 5 Stelle, che nel Messinese eleggono deputati, subodorano la manovra che ha anche valore elettoralistico, al di lá della demagogia, e con gli onorevoli Pietro Navarra e Francesco D'Uva scendono in campo: non un disegno di legge, ma tre! Uno ciascuno, e vediamo chi ce l'ha più lunga.

La facciamo breve questa storia che - vista da Lisbona - è stucchevole. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare a un unico disegno di legge, condiviso, da portare alle Camere dopo aver trovato una quadratura bipartisan, ma intanto in conferenza dei capigruppo a Montecitorio hanno stoppato l'articolato forzista: in maggioranza si nutrono riserve sulle procedure d'urgenza e sull'adozione di una legge speciale, anche il ministro per il Mezzogiorno, Provenzano, ne è poco convinto. Se ne riparlerà tra una settimana, ma si respira aria di pantano.

Tutto ciò accade mentre torna a far capolino l'antica questione del Ponte sullo Stretto, questa volta riesumata da Matteo "Silvio" Renzi. Il Ponte è il "padre" di tutti gli inganni, il totem a cui questa terra ha immolato prospettive catartiche di sviluppo, l'illusione più colpevole. Ha già divorato una montagna di quattrini e continua ad affascinare lobbisti e creduloni. E siccome stiamo parlando di una cosa che non esiste e non esisterà, ma su cui si continueranno a fare campagne elettorali, sarò brevissimo perché il tema in sé non merita neppure attenzione.

Il problema non è rappresentato dai costi, veri  e presunti (8,5 miliardi di euro), ma dalla fattibilità. Un ponte a campata unica lungo 3,5 chilometri dubito che possa stare in piedi a lungo, espropriare alcune decine di migliaia di messinesi un'utopia, riesumare salme e trasferire un cimitero (Granatari) per far spazio ad una "base" è soluzione progettuale che meriterebbe trattamenti sanitari obbligatori.

La chiudiamo qui non senza aver fatto gli auguri al sindaco in carica, Catenovirus De Luca, alle prese con una fastidiosa leishmaniosi. Rischio che corse anche Giurlà amando la capretta Beba, come dolcemente raccontato da Andrea Camilleri ne Il sonaglio.

P.S.: Sostiene di chiamarsi Antonio Pereira, di essere un discendente del giornalista del Lisboa protagonista del romanzo di Tabucchi. Sostiene di avermi conosciuto in un giorno d’estate. «Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava». Solo che io non sono mai stato a Lisbona, quindi immagino che menta. E’ un uomo di età ormai avanzata, che ha problemi di cuore e la pressione alta. Un ex giornalista di cronaca nera al quale è stata affidata la pagina culturale del giornale. Ora, essendo piuttosto anziano e poco avvezzo all’uso dei social (né gli interessa), Antonio Pereira non ha un blog e mi ha chiesto di ospitare periodicamente le sue riflessioni.


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