Musica: sì, Brunori SAS è diventato grande. Anzi, grandissimo
Dario Brunori ha fatto Cip! |
«Uhm, mi sa che dobbiamo
aspettarci un disco pop», avevo pensato dopo aver ascoltato i due singoli che
hanno anticipato il nuovo album di Brunori SAS, Al di là dell'amore e Per due
che come noi. E in effetti, Cip! – uscito il 10 gennaio debuttando direttamente al numero 1 della classifica
di iTunes – è, almeno musicalmente, un disco pop: nelle sonorità, nella
presenza di synth, voci doppiate e ritmi in quattro quarti, nella struttura
quasi rigidamente ancorata alla canzone italiana, nel rarefarsi della presenza
degli strumenti antichi o tradizionali, negli arrangiamenti lontani da quel
sapore vintage che caratterizzava il
disco precedente. A un
primo ascolto, il colpo di genio del cantautore cosentino sta proprio nel contrasto tra un linguaggio musicale che vuol
parlare a quante più persone possibile e testi ancora più ispirati, onesti, per
certi versi più “poetici” rispetto al premiatissimo A casa tutto bene. Un vestito – diciamo così – mainstream sotto il quale si nascondono profondità di analisi,
sensibilità e anche qualche “schiaffone” alle nostre coscienze assopite come in
Al di là dell'amore, appunto, e Benedetto sei tu. In più, ci sono – ma
non mancano mai nei dischi di Brunori – almeno un paio di perle: segnalo in
particolare la straziante Quelli che
arriveranno, un piccolo capolavoro di stampo degregoriano che chiude un
disco maturo, pulito, cazzutissimo.
Ora, la mia militanza
brunoriana è non solo nota, ma anche
ampiamente sbandierata; e non nego di aver provato un pizzico di apprensione
quando il Dario nazionale ha annunciato l’uscita del suo nuovo lavoro, a ben
tre anni dal precedente. A casa tutto
bene era una congiuntura astrale favorevole, una felice combinazione di
classe, ironia e spirito dei tempi che lo aveva reso un album praticamente
perfetto per quest’epoca così come La
verità (che risentiremo nella colonna sonora del nuovo film di Aldo,
Giovanni e Giacomo Odio l’estate, firmata
proprio da Brunori) aveva quasi magicamente intercettato le paure, le
insicurezze, i problemi di una generazione, la mia, che ha vissuto la fine
della giovinezza (La fine dei vent’anni,
direbbe il suo amico Motta) in un mondo dilaniato, privo di punti di riferimento,
diretto all’inferno come Brunori canta in Benedetto
sei tu. E’ naturale che il punto di partenza sia proprio quell’album,
premiato con il disco di platino e definitivo punto di svolta della carriera
del cantautore calabrese: come si sarebbe posto Dario nei confronti di quello
che è diventato un totem della canzone d’autore italiana degli ultimi anni?
Beh, la scelta di fondo mi sembra orientata verso un disco meno “politico” e
più intimo. Se in A casa tutto bene
non ci sono, di fatto, canzoni d’amore personali (Diego e io racconta l’amore tra Frida Kahlo e Diego Rivera) e i
singoli estratti dall’album sono tutt’altro, stavolta l’apripista non è Al di là dell’amore, uscito a settembre,
ma la bellissima ballad Per due che come
noi, della quale lui stesso ha detto: «Mi
rendo conto che, ascoltando il disco, quello è “il” pezzo».
Senza quindi abiurare
al suo album più famoso né replicarlo, Brunori è riuscito nel difficile intento
di fare un ulteriore passo avanti, di portare la sua musica e il suo messaggio,
il suo sguardo sul mondo e sulla vita a un pubblico potenzialmente più vasto ed
eterogeneo: non è un caso che nella tracklist figuri più di un pezzo MOOOLTO
radiofonico (soprattutto Capita così
che sarà con ogni probabilità il prossimo singolo), mentre praticamente tutti
sono perfetti per essere eseguiti live e
far saltellare un bel po’ di gente in parterre (in prima linea, oltre a Capita così e Al di là dell’amore, le stesse Anche
senza di noi, Benedetto sei tu, Fuori dal mondo). E anche questa non
pare una casualità se si pensa che da fine febbraio Brunori sarà in tour, per
la prima volta, nei palazzetti. E che palazzetti: Forum, Casalecchio, PalaEur e
infine Pentimele per una chiusura “a casa” che si annuncia già trionfale. Perché
mi sento di affermare che Cip! sarà
un successo clamoroso e proietterà definitivamente Brunori nell’Olimpo della
canzone d’autore italiana. Per gli stadi c’è tempo, ma chissà.
L’album si apre con Il mondo si divide, un po’ il manifesto
programmatico di quello che sentiremo: un percorso critico tra il bene e il
male, tra l’odio e l’amore, tra il politico e il privato. Il brano è anche il trait d’union con il disco precedente
che si chiudeva con la riflessiva La vita
pensata, e apre la strada a questa “armonia degli opposti” che mi pare la
cifra del disco e che però verrà sviluppata come un approdo, anche triste ma
soprattutto liberatorio, alla fine della tracklist. Anche dal punto di vista
musicale, questa ballata con una strumentazione e un arrangiamento piuttosto
tradizionali ricorda parecchio la leggerezza vigile e attenta di A casa tutto bene.
La prima sorpresa
arriva con la riuscitissima Capita così,
con quella ritmica in stile Smashing Pumpkins e un ritornello che rimane in testa,
nel quale i cori (bella anche la tessitura vocale nella strofa) e gli archi
incorniciano un perfetto anthem da
concerto. Il testo parla di bilanci, del fare i conti con la propria
inadeguatezza di fronte all’età adulta e, più in generale, a una vita sempre
più complicata e punteggiata di inciampi ma anche di piccoli miracoli. Il brano
più radiofonico dell’intero album e probabile singolo (come detto) di successo,
destinato ad essere uno dei più amati già da questo primo live e anche in futuro.
In un’alternanza di
temi, ritmi e mood musicale segue Mio fratello Alessandro, delicata
poesiola sull’amore (quello familiare) e sulla solitudine. I riferimenti sono
chiaramente metaforici, il ritornello è una ninna-nanna che contestualizza la
cattiveria e cerca di pacificare persino «l’uomo
che uccide e l’uomo che muore», uniti
nello sguardo da un filo invisibile chiamato destino. Dal punto di vista
musicale è una ballad rétro, quasi
anni Settanta, basata su pianoforte e bellissimi incisi strumentali.
Anche senza di noi si apre con un coro quasi da stadio (o
meglio, da... palazzetto) e ironizza su una malattia tra le più “infettive” di
questo tempo: la tendenza a considerarsi il centro del mondo, che invece –
scrive il poeta – «girerà anche senza di
noi», e d’altra parte ci mancherebbe. Il
Brunori relativista e disincantato di Secondo
me si riaffaccia con una temperie diversa, più consapevole e senz’altro meno
irrisolto. Musicalmente è forse il brano più riuscito del disco, con una melodia
solida e una strumentazione potente che diventa esile e delicata nel finale.
Dal vivo sarà un botto.
Brunori versione chitarra e voce |
A questo punto è lecito
attendersi un’altra sorpresa, ed ecco la slide guitar di La canzone che hai scritto tu. Canzone che potrebbe tranquillamente
aver scritto Francesco De Gregori, e già sapete che per me è un
complimentone-one-one. Ballata agrodolce, che di Canzone contro la paura riprende i temi ma rovescia la visione: se
lì la pretesa incapacità di scrivere di grandi temi era un modo per gridare e contrario la propria legittimità come
cantautore, qui è un tenero abdicare, un’accettazione serena e matura dei
propri limiti e del proprio ruolo nel mondo e nella musica. Finale ancor più
sorprendente e affascinante perché è quasi psichedelico, nello stile
beatlesiano di Strawberry Fields forever.
Peccato si interrompa bruscamente: mi sarei goduto il pieno orchestrale per
almeno un altro paio di minuti buoni ogni volta.
Quasi due milioni e
mezzo di visualizzazioni per il video di Al
di là dell’amore, primo singolo estratto (a settembre scorso) figlio
evidentemente di un’esigenza di urlare l’indignazione per la cattiveria che sembra
averci contaminato, principalmente – ma non solo – sui temi dell’accoglienza e
dell’umanità. Un’invettiva con un testo straordinariamente duro e diretto
rispetto a come ci ha abituato Brunori, servita con il contorno di un tessuto sonoro
molto pop, quasi dance. Dopo i primi ascolti il contrasto inizia a funzionare
davvero bene e rende giustizia all’esperimento. Peraltro un singolo ideale per
tratteggiare le caratteristiche dell’album ancora in preparazione.
In una delle interviste
rilasciate per presentare il nuovo disco, Brunori ha riconosciuto l’influenza
dell’ascolto di Giovanni Truppi, originalissimo cantautore napoletano di
qualche anno più giovane di lui che porta avanti, in maniera assolutamente
personale, un’eredità che rimonta al primo Bennato. Questa linea di discendenza
mi pare si palesi soprattutto in Bello
appare il mondo, che appunto del primo Bennato ha sia il “graffio” («La tua storia personale è una grande cazzata, lo sai
/ è soltanto una scatola vuota riempita di vecchie versioni di te») sia
le armonie, specie nell’inciso.
Il primo aggettivo che
viene in mente dopo l’ascolto di Benedetto
sei tu è “rutilante”. Simile per tematiche a Al di là dell’amore, il brano è stato definito una “preghiera laica”
e mette l’accento sull’importanza di un’etica personale, sganciata dai precetti
religiosi e dalla morale dominante; il tutto con una profusione di cori, archi,
trombe e chi più ne ha. Altro pezzo che dal vivo incendierà i palazzetti e già
il preferito di mia figlia Teresa, otto anni, brunoriana “doc” che lo ha
imparato a memoria prima di me.
E ora sono c...i. La
tracklist fa seguire Per due che come noi
e io non so proprio come parlarne. Facciamo così: andate su YouTube a guardare
il video diretto da Duccio Chiarini e vediamo se riuscite a non commuovervi
fino alle lacrime. Se resistete, vi basterà scorrere i commenti per capire di
essere praticamente i soli (qui il pianto dirotto della conduttrice Mia Ceran dopo l’ospitata di Dario a Quelli che... il calcio). Pianoforte, archi, un testo apparentemente semplice che dipinge
l’amore dopo l’innamoramento, la forza e la passione che ci vogliono per andare
avanti, insieme, dopo tanti anni. Sempre tra i commenti di YouTube ho letto che
è stata paragonata a La cura di
Battiato; io la vedo più simile a un altro capolavoro, Il bacio sulla bocca di Ivano Fossati. Per il mio gusto, per la mia
sensibilità e per mille altri motivi, la più bella canzone d’amore italiana
degli ultimi anni.
L’unico problema è che
dopo cotanta ballata romantica l’ascoltatore ha bisogno di riprendere fiato.
Missione affidata a Fuori dal mondo,
metà seguito ideale di Mambo reazionario
e metà colonna sonora de La Sirenetta
con i suoi ritmi tropicali e la presenza di suoni da cartoon. Una dichiarazione
di appartenenza alla categoria dei sognatori, consapevoli di esserlo ma non
disposti ad arrendersi alla realtà.
A chiudere il disco è
una ballata quasi straziante, nella quale coesistono magicamente l’ispirazione
di De Gregori e lo sguardo di Lucio Dalla. E’ Quelli che arriveranno, scritta insieme al palermitano Antonio
Dimartino così come l’altrettanto intensa Diego
e io dell’album precedente. Il toccante addio di un bambino malato
terminale che si chiede come sarà il mondo che lui non riuscirà a vedere, e se
gli uomini che verranno dopo di lui avranno «chiuso nel petto, magari / un
cuore più grande, un cuore gigante», il
verso che chiude in una sorta di disperata bellezza canzone e disco.
In definitiva, mi
aspetto che Cip! riceva anche delle
critiche, in particolare per la scelta di Brunori di dare un raffinatissimo vestito
pop (ma non it-pop, attenzione: synth o non synth, siamo lontanissimi dai
tommasiparadisi o dai calcutta della situazione) a tematiche cantautorali. Il
rischio era che questo contrasto divenisse sproporzione, invece il cantautore
cosentino riesce a districarsi alternando alto e basso, ritmi e messaggi, costruendo
un disco tanto diverso da A casa tutto
bene ma che indica chiaramente quale strada intende prendere dopo la
consacrazione che quel disco ha rappresentato. Facile immaginare che in futuro
Brunori possa fare uno o più passi indietro per tornare alla scrittura naif e quasi anacronistica degli inizi;
oggi, però, l’idea che lo guida è di rendere il proprio messaggio fruibile da
un pubblico più ampio, di adattarsi per questo ad intrattenerlo senza
rinunciare a costringerlo a pensare. E se un giorno, quando Brunori ci lascerà,
qualcuno dovesse scrivere sulla sua tomba «Belli i primi, poi venduto» come in Fuori
dall’hype dei Pinguini Tattici Nucleari, ci saremo noi brunoriani a
difenderlo e a celebrare il fatto che, semplicemente, Dario è diventato grande.
Anzi, grandissimo.
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