Fiorella Mannoia incendia Barcellona: «Senti che bel rumore»
Fiorella Mannoia in concerto al Teatro "Mandanici" |
«Senti che fuori piove...
Barcellona, senti che bel rumore». Ecco, prendendo in prestito il finale di Sally
sussurrato al Teatro “Mandanici”, magari proprio il rumore – in particolare l’acustica
nei posti più laterali e nei palchi – è stato l’unico difettuccio del vero e proprio
show, altro che concerto!, messo in piedi da Fiorella Mannoia davanti all’ennesimo
sold out del “Personale Tour” che l’ha vista incendiare i teatri di
tutta Italia dall’inizio del 2019. Perché, per il resto, la 65enne cantante
romana (65enne, ma vi rendete conto?) ha letteralmente mandato in delirio il migliaio
di spettatori che si era accaparrato i biglietti nonostante il costo tutt’altro
che popolare, e dal pubblico barcellonese ha avuto una risposta a dir poco
entusiastica, specie nel finale quando le prime file della platea si sono svuotate
con gli occupanti assiepati a ridosso del palco a scatenarsi intonando i cori dei
suoi brani più famosi.
Ecco, se un dubbio avevamo prima
di consegnarci senza troppa resistenza alla debordante presenza scenica della Fiorella
nazionale, era proprio relativo alla selezione dei brani che andava da Caffè
nero bollente (presentata, come lei stessa ha ricordato, al Sanremo del
1981) all’ultimo album Personale pubblicato esattamente un anno fa nel
quale si è cimentata anche come autrice. Ma la Mannoia è soprattutto un’interprete,
ed è stata bravissima a “saldare” e rendere coerente una tracklist che abbraccia
quarant’anni di carriera: ad esempio, di Ivano Fossati – certamente il “suo”
autore per elezione – ha proposto in sequenza la storica Lunaspina (che
di anni ne ha venticinque, mica pochi) e la nuovissima Penelope
spiegandoci che, in fondo, il filo conduttore è sempre lo stesso, ovvero la sua
voce straordinaria al servizio di canzoni meravigliose.
Proprio a uno dei tanti
capolavori di Fossati, I treni a vapore, la Mannoia ha affidato il
compito di “riconoscersi” con il suo pubblico dopo due brani, peraltro
notevoli, tratti dall’ultimo album (Il peso del coraggio e Il senso).
Del cantautore genovese ci sono mancate Panama, solitamente inserita in
scaletta, e magari anche Che sarà ma non abbiamo avuto di che lamentarci
tra una Povera patria di Franco Battiato (che davvero, quanto vorremmo
non fosse così attuale?) e una Quello che le donne non dicono che invece
ha visto cambiare il mondo intorno a sé rispetto a quando Enrico Ruggeri la
scriveva nel 1987, tanto che all’ultima frase «Ti diremo ancora un altro sì»
oggi, in tempi di #metoo, Fiorella aggiunge un doveroso «Forse». Per non
tralasciare il De Gregori di Sempre e per sempre, una perla della quale la
“roscia” fa una cover da brividi, il Mario Lavezzi di Come si cambia e
persino il Fred Buscaglione di Eri piccola così. Nel mezzo, tra le altre,
anche quella Che sia benedetta accompagnata da un’ovazione sin dai primi
accordi, a dimostrazione che per il pubblico della Mannoia quello sconcertante
Sanremo del 2017 l’ha vinto lei, non certo la scimmia di Gabbani.
Alle sue spalle una band
solida ma mai invadente (ecco, magari la batteria tendeva un po’ a sovrastare
il resto in alcuni brani ma è sembrato più un problema di acustica), di fronte
a lei una platea eterogenea e “trasversale” dal punto di vista generazionale,
che ha risposto in maniera incredibile. Soprattutto quando, al momento di
tirare le fila del discorso, ha annunciato che con i tacchi alti aveva fatto la
sua «porca figura» e ha tolto le scarpe per lanciarsi nelle danze a piedi nudi
(ma per i bis è uscita in sneakers), è parso che fosse un «al mio
segnale scatenate l’inferno»: da allora è stato un crescendo di coinvolgimento ed
entusiasmo culminato nel pezzo finale, la meravigliosa Il cielo d’Irlanda
di Massimo Bubola, cantata scendendo in platea e attraversando tutto il teatro
in mezzo agli spettatori impazziti, tra selfie, abbracci, autografi e
tanto di quel (bel) rumore, anzi tanto di quel casino da farci quasi dimenticare
di essere a teatro.
Foto: © Enrico Di Giacomo
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