Visto
che di norma non azzecco una previsione nemmeno per la legge dei grandi numeri,
quando in questi giorni che precedono la pausa per l’All Star Game (che si
celebra nel prossimo weekend) ho controllato le classifiche della Nba, per
verificare come stesse andando il mio pronostico, ho quasi avuto un coccolone.
E
sì, perché quando la regular season si
avvicina addirittura ai due terzi – le squadre hanno tutte giocato più di 50
partite sulle 82 totali – i rapporti di forze sembrano più o meno
sovrapponibili a quelli ipotizzati ad inizio d’anno da IlMaxFactor, salvo una o
due eccezioni che: 1) intanto ci sono sempre; 2) possono essere dovute anche a
fattori imprevedibili; 3) non cambiano in modo sostanziale l’aspetto di un ranking comunque rispondente ai valori
tecnici delle squadre.
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Mike D'Antoni e James Harden (gazzetta.it) |
La
sorpresa principale sono ovviamente gli Houston
Rockets di Mike D’Antoni, splendidi terzi a Ovest e che io – pur essendo un
dantoniano “doc”, e questa è un’aggravante – avevo immaginato in terza fascia,
quella delle squadre con l’obiettivo dei playoff. Reduci da un ottavo posto e
liberatisi di una serie di equivoci tecnici (primo fra tutti la presenza di
Dwight Howard), con la “magata” di Arsenio Lupin che si è inventato James
Harden playmaker i texani stanno letteralmente volando, non solo in classifica
ma anche in campo: ritmi altissimi, scelte di tiro concentrate nei primi
secondi dell’azione e un Barba leggendario a guidare l’attacco (29 punti, 8
rimbalzi e 11 assist di media!). Anzi, difende pure più del solito. Certo, con
questa strutturazione è probabile che i Rockets paghino dazio nei playoff,
quando il gioco si fa nettamente più fisico, ma a questo punto eviterei di
sottovalutarli ancora...
Restando
alla Western Conference, gli altri scostamenti – comunque meno ampi – rispetto
al mio ranking riguardano in negativo
i Los Angeles Clippers che però sono
in calo perché stanno pagando l’infortunio della loro “stella” Chris Paul, i Portland Trailblazers comunque in corsa
per i playoff dopo una bellissima stagione 2016 e i Minnesota Timberwolves ai quali sembra sempre mancare il soldo per
fare la lira quando però, con fenomeni come Wiggins e Towns, per tutto il resto
dovrebbe esserci Mastercard. Del calo dei Clippers stanno approfittando gli Utah Jazz di coach Quin Snyder e di un
fantastico Gordon Hayward. Particolarmente azzeccate – dicono in Calabria: Se non mi vanti tu, mi vantu ieu – le previsioni
relative ai Memphis Grizzlies pur tormentati
dagli infortuni dei loro “big” ed agli Oklahoma
City Thunder che, nell’anno 1 dell’era post Kevin Durant, hanno in Russell
Westbrook il probabile – e, fino a questo momento, meritatissimo – Mvp della
Lega (31 punti, oltre 10 rimbalzi e 10 assist di media: una “tripla doppia” su
base stagionale che non si vede dagli anni Sessanta). Che bravo. Westbrook,
intendo.
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John Wall e Bradley Beal, i "Maghi" di Washington |
Ad
Est, alla fin fine, IlMaxFactor le ha prese praticamente tutte: a meno di
suicidi di massa dopo l’All Star Game, solo i New York Knicks non faranno i playoff tra le squadre che avevo
indicato come papabili per la postseason.
E anche qui, tra infortuni, incertezze sul futuro di Carmelo Anthony e più in
generale il circo che si ferma ogni anno nella Grande Mela ad inizio stagione e
ci resta per sei mesi di repliche, ci può stare. Fino a un certo punto sembravo
aver completamente cannato il giudizio sugli Washington Wizards che però si sono rimessi in carreggiata (8
vittorie nelle ultime 9) e avendo a disposizione una quantità di talento
assurda, specie nel backcourt, si
sono rapidamente issati nelle posizioni che contano. Al contrario, dove rischio
la figuraccia è nel giudizio sui Miami
Heat, che dopo aver fatto di tutto in avvio per darmi ragione ora hanno
messo in fila 12 vittorie consecutive e non sono così lontani dai playoff...
Power
rankings e premi individuali. Oggi come oggi, nessuno pronosticherebbe una finale
diversa da Golden State-Cleveland, e
non mi sento di fare eccezione perché i pur commoventi San Antonio Spurs da un
lato e il nutrito ma non eccelso lotto di sfidanti dall’altro (anche se io,
fossi nei Cavs, starei parecchio attento ad Indiana) non sembrano in grado di
impedire il threepeat, ovvero la
terza Finale consecutiva con le stesse protagoniste. Il rocambolesco epilogo
della partita di Natale, vinta di un punto da Cleveland, e il -35 pagato alla
Oracle Arena, paradossalmente, non spostano di troppo gli equilibri perché,
soprattutto fuori casa, i Warriors hanno dimostrato di essere comunque più
forti ma di non aver ancora assorbito lo choc della rimonta dello scorso
giugno. In più, se l’arrivo di Durant ha obiettivamente aggiunto al loro
arsenale una bella arma in ottica anti-LeBron, il talento e la forza fisica di
Kyrie Irving sembrano ancora un enigma per coach Steve Kerr, specie nei finali
di partita. Una possibile sorpresa? Beh, gli Spurs ovviamente e ad Est i
Celtics.
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Russell Westbrook è il mio candidato per il titolo di Most Valuable Player |
Anche
la corsa al premio di Mvp appare ristretta a due candidati. Quello che James
Harden sta facendo a Houston è incommensurabile: immaginate uno Steve Nash di
1.95 che va uno contro uno di forza e dà via la palla così volentieri da fare tutti
felici. Ma in tutta onestà, e nonostante non sia mai stato uno dei miei giocatori
preferiti, non puoi non dare l’Mvp a uno che, in questo basket pazzescamente
fisico e veloce, va in tripla doppia una partita su due. Russell Westbrook tutta la vita e un pensiero inquietante: quei due
erano compagni di squadra e giocavano insieme al numero 3 di questa classifica,
Kevin Durant, che un rutilante mese di gennaio ha riportato agli onori della
cronaca insieme al campione in carica Steph Curry. (Ormai sembrano quasi
Stockton e Malone, che in coppia vinsero pure il premio di miglior giocatore
dell’All Star Game.) Honorable mention
per il piccolo grande Isiah Thomas (in doppia cifra di media nel solo quarto
periodo!), il meraviglioso Kawhi Leonard di San Antonio, ovviamente LeBron.
Altri
premi: difensore dell’anno finalmente a Draymond
Green di Golden State su Kawhi Leonard, sesto uomo in palio tra Eric Gordon di Houston e Lou Williams
dei Lakers (che ha già vinto nel 2015 quando era a Toronto), con leggera
preferenza per il primo in forza dei risultati dei Rockets, giocatore più
migliorato a Giannis Antetokoumpo
dei Milwaukee Bucks senza nemmeno aprire la discussione. Infine, il rookie dell’anno che non può non essere Joel Embiid dei Philadelphia 76ers,
alla sua prima vera stagione dopo due anni negati dagli infortuni (occhio al
suo compagno di squadra Dario Saric che è buono sul serio), e il miglior
allenatore. Anche qui, un solo nome: Mike
D’Antoni e tutti a casa, anche i bravissimi Brad Stevens di Boston e Quin
Snyder di Utah.
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Luke Walton dà indicazioni a D'Angelo Russell (nba.com) |
Il “caso” Lakers. Dunque, riassumiamo: L.A. non andrà in finale (e
neanche ai playoff), l’enigmatico D’Angelo Russell è lontanuccio dal premio di
Mvp e anche coach Luke Walton sta incidendo meno del previsto. Certo, il cast è
quello che è: l’ex vice di Kerr a Golden State sta ancora cercando l’equilibrio
tra un nucleo di giovani talenti poco inclini alla difesa e una panchina che dà
maggiore energia ma aggiunge poco dal punto di vista tecnico, anzi. La
promozione in quintetto di Nick Young e, più recentemente, di Tarik Black lo
dimostra. Nella desolazione dei cuori in inverno gialloviola, è stato comunque
superato il totale di vittorie dello scorso anno. L’idea è che i Lakers siano a
una superstar, anzi più che altro a un leader dal valere i playoff. Nel
frattempo, specie allo Staples Center lo spettacolo non mancherà. A patto di
avere pazienza e sempre che gli annunciati stravolgimenti societari non
finiscano in malora. Buon All Star Weekend a tutti e appuntamento alla fine
della regular season.
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