venerdì 10 febbraio 2017

NBA: quando la lezione è servita. (Quasi) tutto secondo pronostico


Visto che di norma non azzecco una previsione nemmeno per la legge dei grandi numeri, quando in questi giorni che precedono la pausa per l’All Star Game (che si celebra nel prossimo weekend) ho controllato le classifiche della Nba, per verificare come stesse andando il mio pronostico, ho quasi avuto un coccolone.
E sì, perché quando la regular season si avvicina addirittura ai due terzi – le squadre hanno tutte giocato più di 50 partite sulle 82 totali – i rapporti di forze sembrano più o meno sovrapponibili a quelli ipotizzati ad inizio d’anno da IlMaxFactor, salvo una o due eccezioni che: 1) intanto ci sono sempre; 2) possono essere dovute anche a fattori imprevedibili; 3) non cambiano in modo sostanziale l’aspetto di un ranking comunque rispondente ai valori tecnici delle squadre.

Mike D'Antoni e James Harden (gazzetta.it)
La sorpresa principale sono ovviamente gli Houston Rockets di Mike D’Antoni, splendidi terzi a Ovest e che io – pur essendo un dantoniano “doc”, e questa è un’aggravante – avevo immaginato in terza fascia, quella delle squadre con l’obiettivo dei playoff. Reduci da un ottavo posto e liberatisi di una serie di equivoci tecnici (primo fra tutti la presenza di Dwight Howard), con la “magata” di Arsenio Lupin che si è inventato James Harden playmaker i texani stanno letteralmente volando, non solo in classifica ma anche in campo: ritmi altissimi, scelte di tiro concentrate nei primi secondi dell’azione e un Barba leggendario a guidare l’attacco (29 punti, 8 rimbalzi e 11 assist di media!). Anzi, difende pure più del solito. Certo, con questa strutturazione è probabile che i Rockets paghino dazio nei playoff, quando il gioco si fa nettamente più fisico, ma a questo punto eviterei di sottovalutarli ancora...

Restando alla Western Conference, gli altri scostamenti – comunque meno ampi – rispetto al mio ranking riguardano in negativo i Los Angeles Clippers che però sono in calo perché stanno pagando l’infortunio della loro “stella” Chris Paul, i Portland Trailblazers comunque in corsa per i playoff dopo una bellissima stagione 2016 e i Minnesota Timberwolves ai quali sembra sempre mancare il soldo per fare la lira quando però, con fenomeni come Wiggins e Towns, per tutto il resto dovrebbe esserci Mastercard. Del calo dei Clippers stanno approfittando gli Utah Jazz di coach Quin Snyder e di un fantastico Gordon Hayward. Particolarmente azzeccate – dicono in Calabria: Se non mi vanti tu, mi vantu ieu – le previsioni relative ai Memphis Grizzlies pur tormentati dagli infortuni dei loro “big” ed agli Oklahoma City Thunder che, nell’anno 1 dell’era post Kevin Durant, hanno in Russell Westbrook il probabile – e, fino a questo momento, meritatissimo – Mvp della Lega (31 punti, oltre 10 rimbalzi e 10 assist di media: una “tripla doppia” su base stagionale che non si vede dagli anni Sessanta). Che bravo. Westbrook, intendo.

John Wall e Bradley Beal, i "Maghi" di Washington
Ad Est, alla fin fine, IlMaxFactor le ha prese praticamente tutte: a meno di suicidi di massa dopo l’All Star Game, solo i New York Knicks non faranno i playoff tra le squadre che avevo indicato come papabili per la postseason. E anche qui, tra infortuni, incertezze sul futuro di Carmelo Anthony e più in generale il circo che si ferma ogni anno nella Grande Mela ad inizio stagione e ci resta per sei mesi di repliche, ci può stare. Fino a un certo punto sembravo aver completamente cannato il giudizio sugli Washington Wizards che però si sono rimessi in carreggiata (8 vittorie nelle ultime 9) e avendo a disposizione una quantità di talento assurda, specie nel backcourt, si sono rapidamente issati nelle posizioni che contano. Al contrario, dove rischio la figuraccia è nel giudizio sui Miami Heat, che dopo aver fatto di tutto in avvio per darmi ragione ora hanno messo in fila 12 vittorie consecutive e non sono così lontani dai playoff...

Power rankings e premi individuali. Oggi come oggi, nessuno pronosticherebbe una finale diversa da Golden State-Cleveland, e non mi sento di fare eccezione perché i pur commoventi San Antonio Spurs da un lato e il nutrito ma non eccelso lotto di sfidanti dall’altro (anche se io, fossi nei Cavs, starei parecchio attento ad Indiana) non sembrano in grado di impedire il threepeat, ovvero la terza Finale consecutiva con le stesse protagoniste. Il rocambolesco epilogo della partita di Natale, vinta di un punto da Cleveland, e il -35 pagato alla Oracle Arena, paradossalmente, non spostano di troppo gli equilibri perché, soprattutto fuori casa, i Warriors hanno dimostrato di essere comunque più forti ma di non aver ancora assorbito lo choc della rimonta dello scorso giugno. In più, se l’arrivo di Durant ha obiettivamente aggiunto al loro arsenale una bella arma in ottica anti-LeBron, il talento e la forza fisica di Kyrie Irving sembrano ancora un enigma per coach Steve Kerr, specie nei finali di partita. Una possibile sorpresa? Beh, gli Spurs ovviamente e ad Est i Celtics.

Russell Westbrook è il mio candidato per il titolo di Most Valuable Player
Anche la corsa al premio di Mvp appare ristretta a due candidati. Quello che James Harden sta facendo a Houston è incommensurabile: immaginate uno Steve Nash di 1.95 che va uno contro uno di forza e dà via la palla così volentieri da fare tutti felici. Ma in tutta onestà, e nonostante non sia mai stato uno dei miei giocatori preferiti, non puoi non dare l’Mvp a uno che, in questo basket pazzescamente fisico e veloce, va in tripla doppia una partita su due. Russell Westbrook tutta la vita e un pensiero inquietante: quei due erano compagni di squadra e giocavano insieme al numero 3 di questa classifica, Kevin Durant, che un rutilante mese di gennaio ha riportato agli onori della cronaca insieme al campione in carica Steph Curry. (Ormai sembrano quasi Stockton e Malone, che in coppia vinsero pure il premio di miglior giocatore dell’All Star Game.) Honorable mention per il piccolo grande Isiah Thomas (in doppia cifra di media nel solo quarto periodo!), il meraviglioso Kawhi Leonard di San Antonio, ovviamente LeBron.

Altri premi: difensore dell’anno finalmente a Draymond Green di Golden State su Kawhi Leonard, sesto uomo in palio tra Eric Gordon di Houston e Lou Williams dei Lakers (che ha già vinto nel 2015 quando era a Toronto), con leggera preferenza per il primo in forza dei risultati dei Rockets, giocatore più migliorato a Giannis Antetokoumpo dei Milwaukee Bucks senza nemmeno aprire la discussione. Infine, il rookie dell’anno che non può non essere Joel Embiid dei Philadelphia 76ers, alla sua prima vera stagione dopo due anni negati dagli infortuni (occhio al suo compagno di squadra Dario Saric che è buono sul serio), e il miglior allenatore. Anche qui, un solo nome: Mike D’Antoni e tutti a casa, anche i bravissimi Brad Stevens di Boston e Quin Snyder di Utah.


Luke Walton dà indicazioni a D'Angelo Russell (nba.com)
Il “caso” Lakers. Dunque, riassumiamo: L.A. non andrà in finale (e neanche ai playoff), l’enigmatico D’Angelo Russell è lontanuccio dal premio di Mvp e anche coach Luke Walton sta incidendo meno del previsto. Certo, il cast è quello che è: l’ex vice di Kerr a Golden State sta ancora cercando l’equilibrio tra un nucleo di giovani talenti poco inclini alla difesa e una panchina che dà maggiore energia ma aggiunge poco dal punto di vista tecnico, anzi. La promozione in quintetto di Nick Young e, più recentemente, di Tarik Black lo dimostra. Nella desolazione dei cuori in inverno gialloviola, è stato comunque superato il totale di vittorie dello scorso anno. L’idea è che i Lakers siano a una superstar, anzi più che altro a un leader dal valere i playoff. Nel frattempo, specie allo Staples Center lo spettacolo non mancherà. A patto di avere pazienza e sempre che gli annunciati stravolgimenti societari non finiscano in malora. Buon All Star Weekend a tutti e appuntamento alla fine della regular season.

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