COMUNALI A REGGIO CALABRIA, quarto mandato per Italo Falcomatà. Ma da ora tocca a Giuseppe
Italo Falcomatà, sindaco di Reggio dal 1993 al 2001 |
Nel 1993, quando il professore comunista Italo Falcomatà diventava
sindaco di una Reggio Calabria letteralmente devastata da Tangentopoli e dalla
guerra di ’ndrangheta, andavo ancora all’Università e la frequentazione con una collega reggina – che oggi
è una brillante giornalista e scrittrice – mi consentì di prendere pian piano
contatto con una realtà che per me, fino ad allora, aveva coinciso
essenzialmente con la strada verso Pentimele che facevo la domenica per andare
a vedere la Viola basket.
Un giorno, passeggiando per Messina, mi scioccò affermando:
<<Certo che Messina è proprio una bella città, avete un sacco di alberi!>>.
Onestamente, non avevo mai pensato a Messina come una “bella” città: sì, per
posizione e impianto originario sarebbe potuta essere stupenda, ma ero già
ampiamente abituato a vederla vilipesa e consegnata al degrado per ammirarla.
Eppure – come avrei potuto verificare passando lo Stretto più e più volte –
aveva ragione: in confronto a Messina ma anche in linea generale, all’epoca
Reggio era bruttissima. Sporca, spoglia, morta, più simile a un paese che a un
capoluogo di provincia (e su questo aspetto sorvolo, ma sapete di che parlo).
Reggio, però, aveva avuto una clamorosa botta di fortuna:
eleggere Italo Falcomatà. Tanto che, dopo quel primo mandato deciso dal
consiglio comunale in seguito alle dimissioni di Giuseppe Reale, nel 1997 il
professore pidiessino sarebbe stato riconfermato nella prima elezione diretta
del sindaco e, pur non avendo la maggioranza in consiglio comunale, avrebbe
talmente inciso sulla rinascità della città (la “Primavera reggina”,
ricorderete) da ottenere un terzo mandato, stavolta con Pds e Margherita al 28%
e la maggioranza nell’aula di Palazzo San Giorgio, nel 2001. Pochi mesi dopo,
Italo Falcomatà avrebbe annunciato di avere la leucemia alla quale si sarebbe
arreso a dicembre di quell’anno. Ricordo le lacrime di un collega della
redazione di Reggio per la morte del “suo” sindaco, o le immagini del funerale:
sembrava quasi il corteo che attraversava Cinisi per ricordare Peppino
Impastato, con tutta la città – la città del “boia chi molla”, la città di
destra per antonomasia – in strada a salutare l’uomo che l’aveva fatta
rinascere.
Sì, perché in quegli otto anni Reggio Calabria aveva vissuto
una trasformazione incredibile: soprattutto sbloccando i fondi del “decreto
Reggio”, Falcomatà era riuscito a riqualificare, abbellire, rendere vivibili
zone degradate, a creare le condizioni per un rilancio delle attività
commerciali e della movida, a regalare
il completamento del “chilometro più bello d’Italia”, il lungomare che oggi è
dedicato proprio a lui. Uomo di spessore e di coerenza al di là dell’appartenenza
politica, rimediò persino una denuncia per non aver voluto rimuovere il fascio
littorio dal Municipio e rischiò tantissimo firmando sotto la propria
responsabilità l’agibilità dello stadio ancora non pronto per l’esordio della
Reggina in serie A.
Il figlio Giuseppe, appena eletto sindaco dopo due anni di
commissariamento per infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni di
centrodestra prima guidate e poi ispirate da Peppe Scopelliti, aveva appena 18
anni quando Italo Falcomatà morì: troppo giovane per diventarne subito l’erede,
ruolo che parve toccare al vice sindaco (e poi facente funzioni) Demetrio
Naccari Carlizzi sconfitto però proprio da Scopelliti alle comunali dell’anno
successivo. Proponendosi come continuatore proprio dell’azione di Falcomatà,
Scopelliti innestò sulla “primavera” il cosiddetto “modello Reggio” del quale tutta
l’Italia ha recentemente scoperto il doppiofondo. E proprio questo è il primo
dato che spiega i risultati del voto di domenica: tra due idee di sviluppo, consegnando
a Giuseppe Falcomatà la vittoria al primo turno e la maggioranza in consiglio
comunale la città ha scelto quello che non aveva il “lato oscuro”. Domenica,
senza mezzi termini, è maturato il quarto mandato – postumo, quasi in memoriam – per Italo.
Mi dicono che Giuseppe sia un ragazzo intelligente, e
sicuramente non vivrà questa pesante eredità come un limite: i reggini sono
convinti che lui abbia un vantaggio rispetto agli altri, ovvero il Dna di
Italo, e per questo hanno affidato il loro futuro a un novizio della politica –
renziano della prima ora, ex capogruppo di opposizione dopo essere stato consigliere
circoscrizionale – che nelle primarie del Pd aveva vinto con appena 200 voti di
scarto nei confronti di Mimmo Battaglia, altro “figlio” (in senso politico,
stavolta) di cotanto padre. Molto più netta la sua affermazione alle urne di
quella nella scelta del candidato sindaco della coalizione: altro dato, questo,
che deve far riflettere.
Ora, però, tocca a lui. Finora si è mosso bene, ha resistito
alla tentazione di mettere in lista pezzi di quel centrodestra che muove ancora
migliaia di voti, aprendo piuttosto ai centristi che si erano allontanati dallo
scopellitismo imperante. Ma ora si tratta di amministrare una città allo
sbando, prima depredata e da due anni commissariata, e non sarà facile. Nell’entusiasmo
della vittoria ha parlato di “nuova Primavera”, ed è quello che i reggini si
aspettano da lui: che sia un nuovo Falcomatà. D’altra parte, chi se non lui?
Commenti
Posta un commento