martedì 10 settembre 2013

US Open: lo scambio più cattivo di sempre

Novak Djokovic, n. 1 del tennis mondiale
Non sarà ricordato come lo scambio più bello di sempre per vari motivi: intanto perché si è chiuso con un errore (che tuttavia definire “gratuito” sarebbe blasfemia) anziché con un colpo vincente. Poi perché sicuramente, nella storia, di scambi più spettacolari, conditi da colpi di classe e tocchi eleganti, in un Borg-McEnroe o in un Sampras-Agassi (giusto per non andare troppo lontano con la memoria, ai “gesti bianchi” di sua maestà Clerici per capirci) ne saranno stati giocati tantissimi. E anche perché chi ha vinto lo scambio ha poi perso il match. Però il lunghissimo, insistito, reiterato tentativo di omicidio reciproco perpetrato da Nole Djokovic e Rafa Nadal lunedì notte durante la finale dell’US Open merita un posto, ancorché piccolo e marginale, nella storia del tennis. Per quello che è stato e per quello che sarebbe potuto diventare. Il video è finito in tempo reale su Youtube, vale la pena vederlo. Partiamo dalla situazione di punteggio: Djokovic, n. 1 del mondo che la straordinaria condizione di Nadal (n. 2) relega abbastanza curiosamente al ruolo di sfavorito sulla “sua” superficie, ovvero il cemento di Flushing Meadows, ha perso il primo set 6-2 e si aggrappa al servizio nel secondo, provando poi a prendere fiducia sulla risposta. Il serbo, quasi all’improvviso, ha una chance: palla-break sul 3-2 in proprio favore. Nadal gli serve sul rovescio e cerca di tenere la pallina nella parte sinistra del campo di Djokovic con lo slice finché, variazione dopo variazione, spostamento dopo spostamento, lo scambio inizia a diventare più duro e il pubblico (che a New York non aspetta altro) inizia a rumoreggiare. I fuochi d’artificio sono accesi da un drittaccio anomalo dello spagnolo sul quale Nole si difende con un top robusto, e da lì è follia pura: altra mazzata, altra replica nerboruta del serbo e “ora giochiamo a chi tira più forte”. Si susseguono altri quindici-venti colpi con la pallina che sembra dover prendere fuoco, o deformarsi come il pallone dei cartoni di Holly e Benji, mentre viaggia da una riga all’altra rischiando di fare i buchi sul campo. A questo punto, entrambi i giocatori sono ovviamente in debito di ossigeno e cominciano ad accompagnare ogni randellata con un gemito sempre più alto – la Sharapova è silenziosa, al confronto – prima di fatica, poi quasi di dolore, infine di disperazione per quella specie di muro che chiude l’altra parte del rettangolo e rimanda indietro tutto quello che tirano, solo più forte e più vicino all’incrocio delle righe. Non sono tanto i 54 colpi – che già fanno uno scambio da ricordare – quanto questo mix di violenza e precisione, di furia assassina e geometria applicata a lasciare senza parole: e quando Nadal, trovatosi in mezzo al campo dopo aver fatto il tergicristallo per due minuti sani, mette in rete un rovescio quasi di controbalzo, il pubblico impazzisce e il telecronista di Eurosport inizia a urlare frasi sconnesse mentre Nadal mastica silenziose bestemmie e Djokovic, poverino, pompa le braccia al cielo come se avesse vinto il titolo. Il problema è che l’esultanza di Nole toglie al serbo praticamente tutte le (poche) energie residue, tanto che – spossato fisicamente e scarico mentalmente – dopo essersi issato sul 4-2 si trova subito 0-40 nel game successivo, nel quale restituirà il break pur dopo aver lottato e recuperato. Resisterà allo schiacciasassi Nadal il tempo di strappargli nuovamente il servizio per chiudere 6-3 il secondo set e di procurarsi ancora tre palle-break sul 4 pari nel terzo: perse queste opportunità, il campione del 2011 (e finalista altre tre volte con questa) si sgonfierà cedendo 6-4, 6-1 e consegnando al maiorchino il suo tredicesimo torneo del Grande Slam. Che per uno che ha dovuto sopportare per anni Roger Federer, non è poco.

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